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Siamo sicuri che la Dorna abbia fatto bene a ritirare il numero 50 di Jason Dupasquier dalla Moto3?

  • di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

17 giugno 2021

Siamo sicuri che la Dorna abbia fatto bene a ritirare il numero 50 di Jason Dupasquier dalla Moto3?
Ritirare il suo numero - e farlo soltanto nella classe Moto3 - è un gesto sacrosanto ma su cui è legittimo esprimere qualche dubbio. Jason era talentuoso, veloce ma non (ancora) un campione o un simbolo, come nel caso di Marco Simoncelli, di Nicky Hayden e di Kevin Schwantz. Adesso il giorno in cui un debuttante chiederà di correre con il numero 50 gli verrà detto di no. Non certo per le vittorie di Jason, per le sue intuizioni o il suo essere una bandiera del motociclismo. Gli verrà detto di no perché un ragazzo è morto a 19 anni mentre correva con passione. Ma così non si ricorda la tragedia invece della persona?

di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

Premesso che non c'è una riposta giusta, esattamente come non c'era per il dibattito sul correre o meno dopo la tragedia, viene da chiedersi se sia corretto ritirare il numero 50 di Jason Dupasquier dalla Moto3. La Dorna infatti, nel venerdì del GP di Germania al Sachsenring, farà una piccola cerimonia per ricordare il pilota elvetico morto durante le qualifiche al Mugello, togliendo il suo numero da quelli a disposizione dei piloti.

La memoria di Jason è sacrosanta, ma ci chiediamo: è spiacevole ricordare un pilota più per come è morto che per come ha vissuto. Jason era talentuoso, veloce ed appassionato, ma non (ancora) un campione. Era al suo secondo anno nel motomondiale, venti partenze in tutto: nessun podio, nessuna pole position. Ritirare il suo numero - e farlo soltanto nella classe Moto3 - è un gesto sacrosanto ma su cui è legittimo esprimere qualche dubbio. I casi di ritiro numero non sono così tanti ma quando è stato ritirato il numero di Marco Simoncelli, così come quello di Nicky Hayden e di molti altri (fortunatamente non tutti scomparsi, come nel caso di Kevin Schwantz) è stato fatto perché quel numero, con quella grafica e per quel pilota, era diventato un marchio. Un simbolo, qualcosa che torna su caschi e moto di colleghi e appassionati. Vedi il 58 del Sic e pensi ai suoi riccioli, all’intercalare di diobò nei suoi discorsi, al talento straordinario e alla profonda umanità che lo caratterizzava. Con Jason Dupasquier non è così, in pochi ricordano colori e forme del numero 50 impresso sul suo cupolino. Moltissimi non l’hanno neanche mai sentito parlare.

Il giorno in cui un debuttante nella Moto3 chiederà di correre con il numero 50 gli verrà detto di no. Non certo per le vittorie di Jason, per le sue intuizioni o il suo essere una bandiera del motociclismo. Gli verrà detto di no perché un ragazzo è morto a 19 anni mentre correva con passione. Ma così non si ricorda la persona, si ricorda la tragedia. Come se fosse un evento del tutto eccezionale, come se nel motociclismo non esistesse la morte. Che invece c’è, spesso lontana ma c’è in ogni disciplina. Che sia una Dakar, delle regionali di minimoto o un giro domenicale con gli amici. Non è bello, ma è così, e far finta che non sia così non rende giustizia a quelli rischiano la vita in sella ad una moto per amore di uno sport. Non piacerebbe nemmeno a Jason forse, che tutto poteva sognare meno che di essere ricordato per la sua morte.

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