Il club emblema dell’oligarchia russa contro un club-Stato: in un momento storico come quello attuale, Chelsea contro Newcastle United di domenica 13 marzo a Stamford Bridge in Premier League è quanto di più ironico potesse capitare al calcio - a quello inglese ma, più in generale, a quello europeo - per palesare agli occhi di tutti ciò che per due decenni la governance del pallone ha fatto finta di non vedere. Ben svegliati, signori del pallone, e godetevi in cartellone la sfida tra una società sotto sequestro, perché il suo onoratissimo proprietario è storicamente un sodale di Vladimir Putin ed è per questo sotto sanzioni, e il sodalizio rilevato pochi mesi fa, per l’80%, dal fondo Pif, che non è nulla di comico ma l’acronimo di Public Investment Fund, il fondo sovrano dell’Arabia Saudita, un passaggio di proprietà sul quale le Football Association non ha avuto nulla da ridire una volta assicuratasi - sì, fa ridere, ma è così - che non sia il governo saudita a controllare direttamente il club.
Da una parte c’è il Chelsea campione d’Europa in carica, il club entrato nell’elite del calcio a partire dal 2003, da quanto Roman Abramovic lo rilevò da Ken Bates: da allora, la società ha vinto più di quanto non avesse vinto nei 98 anni precedenti (fra i trionfi vanno annoverate due Champions League, cinque titoli inglese, un Mondiale per club) grazie all’attrazione magnetica di contratti opulenti che ha calamitato nella Londra blues alcuni dei più importanti calciatori degli ultimi due decenni, un periodo nel quale a lungo il sogno nascosto - ma in certi casi pure palese - dei tifosi di qualsivoglia club in difficoltà economica era quello di veder piombare un giorno, sul campo d’allenamento, un elicottero con a bordo un oligarca alla Abramovic appunto. Denaro chiama denaro, ambizione chiama ambizione: andò bene a tutti, e pazienza per gli incestuosi rapporti del soggetto con il governo russo. Anzi: a lungo questa vicinanza era stata considerata un bene per le magnifiche sorti e progressive del club e, di riflesso, della Premier League. Bene: da giovedì scorso, nella cornice delle sanzioni alla Russia, Abramovic si è visto congelare dalle autorità britanniche tutti i beni posseduti all’estero, ivi compreso il Chelsea al quale sono vietate da quel giorno e sino al 31 maggio tutte le attività commerciali ed economiche, dalla vendita dei biglietti al calciomercato, fatta salva la gestione ordinaria. Alla base del provvedimento che ha colpito gli oligarchi russi, appunto, la loro contiguità con l’uomo che ha deciso l’invasione di uno Stato sovrano, l’Ucraina, in quella che in Russia chiamano ancora “operazione militare speciale” - non guerra - e che si protrae dallo scorso 24 febbraio.
Ecco, in un altro luogo del mondo, nemmeno troppo lontano ma ritenuto lontanissimo da noi, figuriamoci dall’Inghilterra, c’è un altro Paese che ha subito l’invasione del proprio territorio nella notte tra il 24 e il 25 marzo del 2015: si tratta dello Yemen in cui il conflitto con la coalizione araba a guida saudita va avanti da allora, ha causato oltre 200 mila morti e i cui bombardamenti non fanno più notizia, ammesso che mai l’abbiano fatta davvero così come la situazione drammatica della popolazione yemenita. Seguendo questo ragionamento, per analogia (e tenute comunque presenti le peculiarità delle due guerre) non è che esista poi tutta questa differenza in termini filosofici. Le alleanze geopolitiche però pesano eccome nel racconto dei conflitti e nella loro percezione - il Regno Unito ha contribuito ad armare l’aviazione saudita - e allora ciò che vale per la Russia non vale per l’Arabia Saudita, tanto più in uno sport che forse solo ora si sta accorgendo di essersi consegnato da vent’anni a padroni e partner imbarazzanti e non certo disinteressati, legati a doppio filo con regimi autocratici di diverse aree del mondo. Così, se oggi è la volta della Russia - che nel calcio significa Abramovic, Rybolovlev (Monaco), Savvidis (Paok Salonicco), Gazprom, Usm holding (uno dei finanziatori dell’Everton) - potrebbe arrivare un domani nel quale nuovi equilibri geopolitici potrebbero rendere intollerabili le mani sul calcio di sauditi (Newcastle United), qatarioti (Paris Saint-Germain), emiratini (Manchester City), e l’elenco non si chiude qui.
Dario Di Vico, esperto economico del Corriere della Sera, proprio su MOW fa parlava della necessità di una “diversificazione del rischio” in tema di dipendenza energetica dell’Italia - e dell’Europa - da regimi autoritari, per non dover pendolare da un dittatore all’altro. Una diversificazione che servirebbe anche al calcio e a istituzioni come Fifa e Uefa che oggi, mentre iniziano a pagare le scelte di due decenni, con la rottura degli accordi e le sanzioni tentano di nascondere di avere avuto una parte di responsabilità (Mondiali e finali di coppe europee in Russia, sponsorizzazioni lunghe e onerose con aziende indirizzate dal Cremlino), nella legittimazione di Putin e dei suoi sodali.
Oggi, allora, il Chelsea che paga le sanzioni nei confronti di chi lo ha reso grande - a proposito sul club volano gli sciacalli pronti a depredarlo di tutto quanto possibile, ma il governo britannico potrebbe aprire la strada alla vendita del club, senza che Abramovic ne tragga profitto - e il Newcastle United finanziato dal fondo di Mohammed bin Salman metteranno in scena una partita che, a ben guardare, racconta meglio di tante altre che origine abbiano gran parte dei denari del calcio odierno. Buongiorno, eh.