Ma ha senso andare avanti così? Vederlo lì, ad arrancare in tredicesima posizione, fa quasi tristezza! E’ bollito! Perché non smette?. Domande e esclamazioni che si sentono ogni volta che si parla di Valentino Rossi. E’ così da anni e il 2021 non si sta rivelando diverso. Perché anche dopo i test del Qatar di commenti del genere è pieno l’etere. E pure l’internet.
Non basta, ogni volta, che Valentino Rossi ricordi a tutti l’unica cosa che veramente conta: “mi diverto ancora”. E non basta nemmeno che l’ormai decennale divisione tra canarini e antivalentiniani dovrebbe essere superata in favore di una presa di coscienza: se Vale corre ancora non toglie niente a nessuno. Anche perché se c’è ancora chi gli fa un contratto e gli paga uno stipendio, evidentemente la sua presenza vale qualcosa. Soprattutto in un mondo dove, volenti o meno, è il denaro la prima cosa che conta. Beneficienza non ne fa nessuno, figuriamoci a Valentino Rossi. Se ci sta è perché alla sua offerta di esserci corrisponde una domanda ad esserci ancora. Altrimenti starebbe a piedi come ce ne sono rimasti tanti. Al di là della mera performance, quindi. Sono undici anni che non vince e sei, ormai, che non ne ha neanche la concreta possibilità dopo quell’avvelenato 2015.
Eppure il dibattito è sempre lo stesso. E c’è chi addirittura arriva a scomodare termini come “patetico”, “fa pena”, “mette tristezza”. Questo 42enne da Tavullia è probabilmente, come già affermato proprio su questa testata, l’unità di misura della nostra vecchiaia, l’atleta che ha accompagnato una generazione ed in cui, quindi, si rispecchiano un po’ tutti i suoi coetanei. Che, guarda caso, rappresentano anche la fascia d’età più attiva sui social. Viene da pensare, quindi, che il rigetto non sia dato tanto dalle non vittorie di Rossi, ma dalla consapevolezza che gli anni passano per tutti. E lui che non vince più diventa lo specchio di tutti noi che, in altri ambiti della vita, non siamo più capaci di competere con i giovani affamati e ci avviamo alla seconda metà dell’esistenza.
Forse, però, è una riflessione un po’ troppo antropologica. E magari la spiegazione è più semplice e anche più intuitiva. Per averla chiara, tuttavia, bisognerà fare una domanda alle persone con cui si condivide, o si è condiviso, il letto. O, meglio, l’intimità. Basterebbe chiedere anche alla propria coscienza, ma talvolta è bugiarda, presuntuosa e poco incline ad ammettere la realtà dei fatti. La domanda da fare è: a letto sono ancora come a vent’anni?
Sì, c’è un po’ di ironia. Ma pure parecchia verità. Il fatto che non si è più capaci delle performance di cui si era capaci a vent’anni ci ha fatto smettere di trombare? O di fare l’amore? O di ambire a fare ancora entrambe le cose? No. Assolutamente no. E allora perché Valentino Rossi dovrebbe smettere di correre solo perché non riesce più ad essere protagonista di performance identiche a quelle di quando aveva venti o trenta anni? Non smette per lo stesso principio per cui uno a 40 anni ha ancora una vita sessuale. Anche se non ce la fa per ore di fila come accadeva da ragazzi; anche se adesso solo l’idea di imboscarsi in macchina come un tempo si tradurrebbe con sciatalgie dolorosissime; anche se il fiatone arriva, talvolta, pure prima del piacere.
Eppure non ci si rinuncia mica. Col cacchio che si smette. Anzi, si prende persino coscienza che magari adesso è pure meglio, perché c’è una consapevolezza diversa, una ossessione meno pressante, un gusto che con la fame dei vent’anni non s’era neanche considerato. Ecco, sono queste, probabilmente, le stesse identiche ragioni per cui Valentino Rossi corre ancora. E si traducono tutte in una frase semplice semplice e di sole due parole: “mi piace”. Che nel caso del 46 è esattamente quel “mi diverto ancora” che ripete ogni anno. Il diritto di inveire contro il fatto che Valentino Rossi non abbia ancora appeso il casco al chiodo, dovrebbe arrogarselo solo chi ha già avuto il coraggio di appenderci i propri genitali al chiodo.