Altro che una semplice vittoria. Quello che Flavio Cobolli ha fatto a Wimbledon è qualcosa che va oltre il tennis. Perché ci sono partite che contano, certo, ma poi ci sono momenti che segnano. E quello andato in scena sul Campo 2 del torneo più iconico del mondo è stato un piccolo, grande pezzo di storia azzurra. Un giovane che gioca senza paura, che lotta punto su punto, che conquista il pubblico con il gioco ma soprattutto con il sorriso. E un padre che, sugli spalti, non riesce a trattenere le lacrime. Sì, Cobolli ci fa impazzire. Perché è autentico. Perché mentre il papà si scioglie in lacrime, lui resta lì, solido, con quella simpatia dilagante che lo rende irresistibile anche nei momenti di massima pressione. “È un momento che non dimenticherò”, ha detto a fine match, con la faccia di uno che sa di essersi guadagnato tutto. Poi ha scherzato, come sa fare solo lui: “Adesso mi merito il Centrale o il Campo 1”. E nessuno ha potuto dargli torto. Perché affronterà proprio Djokovic. E sì, se lo è meritato.

Cobolli è l’antieroe che ti sorprende. È stato un match importante, certo. Ma è il contorno che lo rende indimenticabile. L’abbraccio mancato con il padre perché era troppo preso a trattenere le lacrime. L’autoironia con cui Flavio ha trasformato la tensione in energia. La naturalezza con cui parla di tennis come se stesse raccontando una giornata qualsiasi. Ma non lo era. Non per lui. E non per chi lo segue. In una giornata che ha visto Lorenzo Sonego lottare con coraggio ma arrendersi di nuovo a Ben Shelton, dopo Melbourne e Parigi, anche a Wimbledon il copione si ripete, e in cui Novak Djokovic ha celebrato il suo ritorno da marziano con una dedica a Federer (“Ogni tanto vorrei avere il suo serve & volley, è la prima volta che guarda una mia partita e io la vinco”), è stato Cobolli a prendersi la scena. Con il cuore. Con il sorriso. E con quella scintilla che ti fa pensare: questo qui può davvero diventare un campione. Anzi, forse lo è già.