Texas Tornado – due parole e un’allitterazione – che per un amante delle due ruote significano un solo nome: Colin Edwards. Campione del mondo con la Honda nella Superbike dei tempi d’oro (2000 e 2002), prima di disputare dodici stagioni in MotoGP e confezionare una dignitosissima carriera sempre in giro tra paddock e circuiti di tutto il mondo. Nell’immaginario collettivo le prime istantanee che vengono associate a Colin fanno probabilmente riferimento agli anni in Yamaha ufficiale. Prima indossando il blu elettrico targato Gauloises, poi il giallo Camel e infine i vivaci colori Fiat: Edwards dal 2005 al 2007 è stato il compagno di squadra di Valentino Rossi, in uno dei periodi più iconici della lunghissima epopea del Dottore.
Valentino Rossi e Colin Edwards si sono stati subito simpatici, ancor prima di diventare compagni di squadra in MotoGP con Yamaha. Nel 2000 Valentino era l’astro nascente del Motomondiale in sella alla NSR 500 Nastro Azzurro, Colin la punta di diamante della Honda in Superbike. Il colosso di Asaka decise quindi di comporre il suo Dream Team per la leggendaria Otto Ore di Suzuka. I due all’esordio nella speciale gara Endurance furono costretti al ritiro per una scivolata di Valentino, così l’anno successivo arrivarono sul mitico tracciato giapponese con l’obbligo implicito di vincere. Rossi, nella sua autobiografia “Pensa se non ci avessi provato”, ripercorre l’avventura: “In pista andavo fortissimo, davo un secondo a Colin, con la VTR che era in pratica la moto con la quale lui correva nel Mondiale Superbike. Andava ogni tanto a guardare i tempi sul monitor e pronunciava frasi sconnesse, tipo ‘Fu**ing italian fast mafioso’. Alla fine abbiamo vinto per fortuna, ho accolto Colin al traguardo al grido di ‘Non torneremo più qui'. Se avessimo perso la Honda ci avrebbe sicuramente fatto tornare nel 2002, e noi non avevamo alcuna voglia di fare per la terza volta quella gara faticosissima".
Per quanto riguarda il famoso Motor Ranch di Tavullia, invece, Valentino ha tratto ispirazione proprio dal “Texas Tornado Boot Camp” di Colin: venti ettari di parco giochi per bambini cresciuti, dalle parti di Houston. All’interno una pista da flat track, un poligono di tiro e un Saloon provvisto di biliardo, birre gelate e abbondanti hamburger. Il Dottore ha reinterpretato e adattato all’italiana il classico Ranch texano di Colin, che nel 2015 - prima del GP di Austin - lo aveva invitato da lui. Mangiare, bere, guidare di traverso, imparare a sparare con armi da fuoco. Questo fu l’ordine del giorno della visita di Valentino a Houston, con i due ex compagni di squadra che si divertirono insieme, come dimostrano immagini e filmati rimasti su YouTube. “Colin mi mancherà nel paddock. Mi mancherà bere una birra con lui dopo un weekend di gara e dire qualche stupidata. Mi mancherà lui, perché è uno di quello che dice sempre ciò che pensa” – aveva confessato Valentino a Silverstone nel 2014, poco dopo che Colin annunciasse il suo ritiro dalla MotoGP.
Colin dice sempre ciò che pensa, su questo non c’è dubbio. Qualche giorno fa, infatti, il texano classe 1974, ha ritwittato un pensiero eloquente: “Continueranno a creare sparatorie di massa finché non rinuncerai alle tue armi e una volta che avrai rinunciato alle armi, ti uccideranno”, citava la vignetta. Edwards si riferiva con tutta probabilità alle polemiche scoppiate negli States dopo l’ennesima, tragica, strage in una scuola (a Nashville, Tennessee, la settimana scorsa un ex studentessa di 28 anni ha ucciso sei persone, tra cui tre bambini). Il Texas, così come il Tennessee, è uno degli Stati americani più permissivi sul porto d’armi. Basti pensare che due anni fa il governatore repubblicano del Texas, Greg Abbott, ha firmato una legge che consente ai maggiori di 21 anni di portare sempre un'arma con sé, senza bisogno di licenza. Colin Edwards, seppur indirettamente, ha espresso il suo parere a riguardo. Un punto di vista decisamente antidemocratico, che non esclude la teoria del complotto.