Il weekend argentino della MotoGP ha messo in chiaro una cosa: buona parte dei piloti vincenti, in Italia, vengono gestiti da due personaggi che questo sport l’hanno visto crescere, Valentino Rossi e Carlo Pernat. In Moto3 Andrea Migno arriva terzo con una tuta da amatore, la Moto2 la vince Tony Arbolino e, per un attimo, la MotoGP stava per restituirci un podio full Academy formato da Bezzecchi, Bagnaia e Morbidelli. In breve, Valentino Rossi e Carlo Pernat riescono a fare da soli quello che strutture e organizzazioni da migliaia di euro (come la Rookies Cup di Red Bull) sognano la notte, ovvero portare piloti straordinari alla massima espressione del motociclismo.
Probabilmente questo succede perché per quanto il motorsport viva di tecnologia le corse si fanno ancora col pilota ed è sempre quest’ultimo ad avere la meglio sul mezzo meccanico. Così saper valutare l’approccio dei piloti, la loro capacità d’improvvisazione e più in generale la componente umana è ancora fondamentale. Questo è soprattutto il lavoro di Carlo Pernat, che ha raccontato decine di volte (una su tutte in Belín che Paddock, Mondadori) di come dopo Marco Simoncelli gli fosse completamente passata la voglia di fare il manager. Quando sono arrivati altri a chidergli un aiuto e lui ha capito che senza le corse non riusciva a stare, Carlo ha sempre scelto piloti che potessero dare il meglio umanamente, un po’ com’era stato prima col Sic. Oggi Pernat ha portato Enea Bastianini nel team ufficiale Ducati - dopo due stagioni oltre le aspettative e un titolo in Moto2 - e sta cercando di fare più o meno lo stesso con Tony Arbolino. Li trova grezzi e puri, veloci, insegna loro un approccio diverso e li porta a vincere: un fuoriclasse. Di Valentino poi non c’è niente da dire che non sia già stato detto e ripetuto allo sfinimento: Rossi all'Academy ha sempre trasmesso un'enorme passione per le corse e un grande spirito da squadra. Anche lui, a ben vedere, ha cominciato con Marco Simoncelli, che a forza di chiacchiere e risate lo aveva convinto ad allenarsi con lui. Da lì sono arrivati in tanti, di cui quattro - Franco Morbidelli, Luca Marini, Pecco Bagnaia, Marco Bezzecchi - in MotoGP, e a conti fatti praticamente un quinto della griglia di partenza della massima categoria si allena quotidianamente a Tavullia.
Tra riccioli, cerotto al naso e quel diobò usato come intercalare Marco Bezzecchi lo ricorda un po’ più degli altri, ma la verità è che questi ragazzi sono tutti figli di Marco Simoncelli. Figli del Sic che a vent'anni appena ha avuto il tempo di insegnare a due monumenti al motociclismo, Valentino e Carlo, una cosa fondamentale: dài un’occasione, apri una porta, concedi qualcosa a chi può meritarlo. Ne troverai pochi di adatti e qualche volta potrai sbagliare, ma la soddisfazione che ti può restituire il pilota giusto, scelto a pelle, sarà gigantesca e non la troverai in nessun modo da altre parti. Può essere un modo di amare. E così, quando Bastianini vince le gare sconvolgendo i piani di Ducati, o Migno sale sul podio con una moto in prestito, qualcosa finisce per ricordarti di Marco che sapeva essere imprevedibile e aveva un enrome talento nello scuotere il mondo delle corse a botte di genio e gioia. Sono dovuti passare degli anni prima che riuscissimo a capire che più dei ricordi, della squadra di papà Paolo e dell'affetto della gente Marco Simoncelli ci ha lasciato questo regalo enorme, affidato all'idolo di quando era bambino e al suo vecchio manager: avete fatto così bene con me, fatelo anche con altri.