Guardi Tony Arbolino e ti rendi conto che ha avuto la grandissima fortuna di trovare il suo talento da piccolo: quattro anni, forse cinque e già andava in moto, costantemente più forte degli altri ragazzini coi quali ha fatto a spallate fino al debutto nel motomondiale nel 2017, sedici anni. Se avesse fatto altro probabilmente avrebbe avuto una vita più complicata già adesso: tosta a scuola se non ne hai voglia, se pensi ad altro perché ti stufi in fretta. Tony è carburato ad emozioni forti, il che probabilmente gli ha reso le cose difficili più di una volta considerando che ad occhio e croce alza il dito medio con la stessa semplicità con cui alza l’anteriore della moto. Se alcuni piloti passano le stagioni a prendere confidenza con l’ambiente, la squadra e il mezzo, Arbolino le passa a calmarsi: troppo cuore, a volte troppa smania. Non stupisce che a prenderlo in custodia ci abbia pensato Carlo Pernat, che i suoi piloti li ha sempre voluti pieni di talento e un po’ rockstar, come tra gli altri lo sono Marco Simoncelli, Andrea Iannone ed Enea Bastianini. Tony Arbolino è parte di quel cerchio ristretto di fenomeni: forti in pista, praticamente inarrivabili con una telecamera davanti. Al tiburon mancava consistenza e l’ha trovata verso la fine dell'anno scorso, probabilmente tramite qualche scossone del patron della squadra, il conte Marc van der Straeten, e dallo stesso Carlo Pernat. Quando dalla MotoGP verranno a prendere un paio di ragazzi dalla Moto2 il talento non basta, devi andare forte sempre e sbagliare poco, essere pronto. Tony a due gare dall’inizio del campionato è primo in classifica con un terzo posto in Portogallo (vero, aggiunge Pernat) e una vittoria in Argentina che lo proiettano verso Austin con la grande certezza di potersela giocare con i migliori, Pedro Acosta e Aron Canet in primis, almeno in attesa di Ai Ogura che sta rientrando da un infortunio al polso destro.
Tony però è un’altra storia, e in mezzo a tutti i piloti di oggi svetta come un irregolare vero: vedi dalle interviste in cui non fa mai uso di quella falsa modestia che tanti piloti continuano a propinarci, per esempio. “Mi sentivo freddo sulla moto”, a raccontato a Sky dopo la vittoria in Argentina. “La moto era un cavallo pazzo, penso di tutti però la mia davvero tanto. Ho preso due o tre rischi che volevo rientrare ai box dalla paura, però ho continuato. Sono contento”. Quando lo senti alle interviste sembra sempre appena uscito da una serata impegnativa tra i club di Ibiza, invece è così di suo, uno spettacolo pirotecnico. “Lopez è un matto, cerca sempre di restituirti i sorpassi”, continua poi. “Io lo sapevo e aspettavo un errore che non arrivava, quindi ho dovuto per forza passarlo. Lui era molto forte nei curvoni veloci, io avevo meno grip però frenavo come un animale, in frenata sembravo indemoniato: la moto si muoveva, io facevo di tutto ma frenavo. Secondo me frenavo come sull’asciutto, forse di più. Andrò a vedere i dati ma frenavo fortissimo”.
Nessun luogo comune, nessuna frase uscita dalla stampante dell’ufficio marketing. Tony Arbolino poteva fare l’ultrà, il dj e tutta una serie di cose più o meno complicate, rischiose e al limite della legalità, invece ha scelto di fare il pilota e questa è una fortuna sua, ma anche nostra: godiamocela, quando si prenderà la MotoGP sarà bello averlo visto arrivare.