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Come Ulisse, ma di Terni: Valencia non è solo l’ultima di Valentino Rossi

  • di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

12 novembre 2021

Come Ulisse, ma di Terni: Valencia non è solo l’ultima di Valentino Rossi
Danilo Petrucci lascia la MotoGP: non c’è più spazio per lui che di spazio ha sempre cercato di occuparne il meno possibile. Ha vinto per ben due volte e qualcuno di quelli che restano non c’è mai riuscito, eppure a doversene andare è lui. L’ha fatto mille volte, ha girovagato tra decine di nuovi inizi in cerca di un’Itaca del motorsport. Che magari per lui sarà tra la sabbia, nel deserto della Dakar. Non male per uno che odiava l’idea di sporcarsi le scarpe.

di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

Dentro un’ultima volta. E’ un pensiero che ha martellato per 1500 km o giù di lì, da Milano a Valencia, tutti in moto e tutti (o quasi) sotto una pioggia che non ha concesso tregue. Dentro un’ultima volta che, però, in verità sono due. Perché una volta al Ricardo Tormo, quasi a ricordare che ogni storia ne nasconde un’altra che magari finisce per essere di “serie b”, la prima moto passata sotto i nostri occhi è stata la KTM con il 9 sul cupolino. Danilo di nome, Petrucci di cognome: il pilota operaio. Quello con la storia da sogno americano che adesso sta per diventare un sogno del deserto. Virando, visto che lui stesso, Danilo Petrucci da Terni, non pensava che la sua carriera in MotoGP sarebbe finita così: di botto e pure male, con risultati mai arrivati e cadute alle ultime giostre. Anche questa mattina Petrucci e la sua KTM hanno rotolato sulla sabbia di Valencia. Come se il destino gli avesse chiesto di non provare a essere protagonista neanche in questa ultima volta. Che sì è la sua, ma è pure l’ultima del più grande di sempre. 
Vite, quella di Valentino Rossi e Danilo Petrucci, che s’erano già incrociate quando nessuno dei due era qualcuno. Il pesarese, come ha raccontato proprio Petrucci, aveva acquistato uno dei suoi primi motorhome dal babbo di Petrucci, uno che per una vita ha guidato il camion di Loris Capirossi e che si chiama pure lui Danilo Petrucci. Un personaggio, insomma, con un figlio cresciuto a pane e motociclette e in compagnia di un nonno, materno, che è scomparso da poco e che a Terni è stato un pioniere. Idee in avanti e nessuna paura del futuro e, soprattutto, una certezza: se credi nei sogni, se lo vuoi davvero, puoi arrivare ovunque anche se i tuoi mezzi non sono quelli di tutti gli altri. Il piccolo Danilo questa cosa qua l’ha imparata presto, sin da quando scorrazzava con la motina da cross mentre il nonno raccoglieva oliva. Fin da quando, quella motina da cross, era l’unico modo per fargli mettere i piedi sulla terra, visto che il piccolo Danilo aveva un terrore: sporcarsi le scarpe.
Un terrore che è diventato la sua fortuna, ma solo dopo che ha imparato, sulla sua pelle e a sue spese, che anche per non sporcarsi le scarpe bisogna sporcarsi le mani. Di sudore e di fatica. Soprattutto quando vieni da una terra che di opportunità ne offre poche e da una famiglia che ok le corse, ma prima le concretezze. E soprattutto quando hai una stazza che è più simile a quelle di un buttafuori che a quella di un pilota. La storia di Danilo Petrucci, il numero 9 della MotoGP, è nota e l’abbiamo già raccontata. Inutile stare a farlo ancora. Ma a quella storia manca un pezzo e è il pezzo che sta scrivendo in questi giorni: un finale all’ombra di un altro finale che oscurerebbe ogni cosa. Un’ultima volta di Serie B, come se alla fine il destino seguisse sempre un filone preciso o, come cantava il buon Guccini, perché c’è gente che è di casa in Serie B. Il punto, però, è da dove si parte. Perchè se è vero che conta l’arrivo, il viaggio e viaggiatori contano di più. Le porte che Danilo Petrucci ha aperto non sono state quelle di tutti gli altri. Non che tutti gli altri non le avessero aperte, ma le sue sono state di più e più pesanti. Perché, a volte, serrate pure da qualche pregiudizio.
Eppure uno così è stato capace di salire due volte sul podio della MotoGP, con una Ducati Desmosedici che sarà stata pure una gran moto, ma con cui hanno vinto in pochi e molto poco. Eppure uno così è stato capace di farsi voler bene anche da chi ha scelto di mandarlo via, tanto che Ducati gli ha subito offerto una sella in AMA Superbike e la stessa KTM, pur dovendogli dire che l’anno prossimo avrebbero puntato su qualcuno di più giovane e meno stanco, gli ha offerto di realizzare un sogno: correre una Dakar. La vincerà? No, non si vince una Dakar all’improvviso e anche la sua storia nel rally più accattivante del pianeta sarà, probabilmente, una partecipazione di Serie B. Fino a che non aprirà ancora una volta le porte, facendo la solita fatica, dimostrando per l’ennesima volta in carriera, che poi è anche la vita, che chi sa dove vuole andare ed è consapevole che alla fine l’unica cosa che conta davvero è che bisogna sporcarsi le mani, alla fine ai sogni ci arriva. Un po’ come un Ulisse, ma del motorsport, con Itaca che, magari, è nel Deserto ed è proprio tra la sabbia che si lascerà trovare.

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