Il motorsport è in generale uno sport di sopravvivenza, un Hunger Game in cui ogni gara è cruciale per renderti colui che è degno di rimanere a correre per una scuderia o l’altra. Importante o meno nel Campionato Costruttori, la Haas ha però dato possibilità a molti e molti sono stati fatti fuori anche senza la gravità dei motivi che accompagnerebbero più favorevolmente Kevin Magnussen alla porta. Il pilota danese è figlio d’arte, e compete fin da quando era bambino. Un talento naturale, dalla guida veloce, alle volte furba, forse indisciplinata, che però lo hanno portato ugualmente a diventare un pilota professionista. I suoi successi migliori li ha avuti nella Formula Renault, gli stessi che gli hanno dato lo slancio giusto per entrare in Formula 1. Ma la sua carriera pare essersi congelata lì.
Il debutto nella massima categoria avviene in McLaren, nel 2014, con un bel podio che però non gli permette un contratto molto lungo, spostandolo fin da subito nella Haas. Da lì in poi la fiducia datagli da Guenther Steiner è la sua unica arma, con la quale affronta in maniera determinata e senza fronzoli tutte le gare, approcciandosi persino a quelle di endurance e riuscendo a scaldare quel sedile per un bel po’ di anni fino al momento della frustrazione: il confronto con altri piloti di talento, le immancabili vittorie di Hamilton e la mancanza di podi, lo rendono sì perseverante, ma arrabbiato. La sua versatilità inizia a trasformarsi sempre in più in una sfida funesta e travagliata in cui il conflitto non si ferma alla pista, ma si sposta ai box. Guenther è polemico, il danese altrettanto e scoppia la tensione. Le performance di Magnussen sono sempre deludenti e in realtà, oltre a dare l’incessante colpa alle monoposto, ci si domanda sul se possa effettivamente essere colpa sua. Domanda lecita che genera il litigio, dove le accuse dell’ex team principal sono legate a una mancata dedizione di Kevin, che lo offendono, lo allontanano, lasciando raffreddare il suo sedile che successivamente sarà scaldato da Mazepin.
Il 2020 sarà un momento di riflessione per il pilota danese che però getta un’ombra generale sul futuro della Haas che di lì in poi non avrà nessun miglioramento. Nel 2022 Steiner ha richiamato Kevin in scuderia con una speranza, eppure non sono mancate le critiche. Ammiratori e detrattori si sono però alternati assieme alle delusioni legate a sfide personali. Tutto questo ha plasmato la sua carriera successiva e caratterizzato la sua personalità, la stessa che però non riesce a fargli superare i limiti che vorrebbe. La sua grinta non basta, neanche una monoposto con una guida diversa oggi, grazie a Komatsu, riesce a dettargli bene il ritmo, perché la sua testa è altrove. Ma dove, se non in pista? Sarà la paura di perdere ancora e la voglia di dimostrare sempre più di che pasta è fatto che riempiono d’ansia e scarsi risultati il 31enne che è a oggi in un momento cruciale. Il mercato piloti in fiamme per il 2025 gli dà fiato sul collo e lui non riesce a liberarsene, piuttosto commette errori in pista e fuori, con le parole e sulle quattro ruote e non riesce a divincolarsi da quest’ombra di disagio che vive ogni volta. Dopo l’addio di Nico Hulkenberg, sembra sempre più realistica la possibilità di un suo abbandono dalla Formula 1 e non soltanto per i motivi sopra, ma perché a oggi la sua identità è quella di un kamikaze in pista. Spacciata per la volontà di far conquistare al team mate punti preziosi, visto che al momento sembra davvero più avanti di lui e non più al pari come prima, dimostra in realtà di farlo per ego e per sfregio. Questa sua incoscienza lo ha penalizzato pesantemente nell’ultima gara a Miami, vedendolo coinvolto in una serie di incidenti e sanzioni che hanno attirato commissari di gara e tifosi. Non si è reso conto forse della mancanza di rispetto verso gli altri piloti, ma è parso chiaro che il suo comportamento non avesse nulla a che vedere con lo sport.
Così il filo del suo futuro in categoria sembra sempre più sottile dove, oltre alle critiche, anche la possibilità della perdita della sua Superlicenza si fa sembra più plausibile. In cinque gare ha infatti accumulato ben 10 punti di penalità e non sono per niente pochini. Salto di qualche gara imminente? La possibilità c’è. Sicuramente non è l’unico a rischio, anche Perez ha pochi punti rimasti, ma sembra una situazione senza precedenti qui, dove il pilota rischia la cosa peggiore: il licenziamento. Cosa ha intenzione di fare il danese? Sargeant, Zhou, persino Albon ancora senza contratto iniziano a bussare alle porte della scuderia americana, ma i giovani talenti sembrano avere la precedenza. Sebbene le esperienze passate abbiano scritto solo episodi fallimentari da parte delle giovani promesse, la prospettiva di oggi è ottimistica: Oliver Bearman è uno dei profili migliori per sostituire il pilota, o almeno affiancarlo. Questa notizia ha infatti reso nervoso il numero 20 che in una sua intervista ha dichiarato di voler essere affiancato invece da un pilota esperto. Ma non dovresti essere tu quello esperto, Kevin? I suoi interrogativi sulle capacità di Bearman, sottolineando la sua giovanissima età e la mancanza di esperienza, lo hanno messo ancora di più in cattiva luce nel paddock, visti anche i recenti comportamenti scorretti. Forse la paura di Magnussen che l'allievo superi il maestro è più tangibile di quanto voglia ammettere.
Pertanto Zhou emerge come il primo desiderio del team, dati anche i vantaggi economici che si possono avere da un pilota cinese. Portafoglio chiama e pure qualche desiderio di punti, manca solo qualcuno che sappia guidare una vettura in ascesa e che non promette per davvero un posto a Magnussen per l’anno prossimo. La domanda ora è: quale sarà il suo futuro? Con il suo contratto con la Haas in scadenza e una serie di sfide da affrontare sia sul fronte sportivo che sul fronte disciplinare, il destino del pilota danese è più incerto che mai. Solo il tempo dirà se riuscirà a risollevarsi dalle sue attuali difficoltà o se sarà costretto a lasciare il palcoscenico della Formula 1 per sempre, o ancora una volta, per il momento.