È stato il torneo delle rivincite per Carlos Alcaraz, lo spagnolo si presentava a Indian Wells nel primo vero momento di crisi della sua carriera, dopo un finale di 2023 deludente e un inizio di 2024 preoccupante, con la brutta sconfitta contro Zverev agli Australian Open e una pessima campagna sulla terra sudamericana.
Il primo Master 1000 della stagione, soprattutto dopo aver visto il tabellone, era l’occasione per Alcaraz di dimostrare a sé stesso di saper reagire a un momento complicato, sul piano dei risultati, ma soprattutto su quello del gioco. Inoltre, la crisi è arrivata proprio in concomitanza con il periodo di splendore del suo rivale, Jannik Sinner, che ha vinto la Coppa Davis, uno Slam e arrivava a Indian Wells con 12 vittorie e zero sconfitte nel 2024. La differenza stilistica tra i due è evidente, questo è anche il bello della loro rivalità, e in periodi in cui gli stati di forma sono opposti, si nota come queste differenze si accentuino e sembrino allontanarli l’uno dall’altro, come se non appartenessero neanche alla stessa categoria, quella dei fenomeni. Quando Sinner faticava a imporsi negli Slam e perdeva partite inspiegabili nei Master 1000, con Alcaraz in piena ascesa, già numero 1 del mondo e vincitore a Wimbledon, dicevamo che l’italiano aveva troppe poche armi in confronto al rivale, il quale gli era superiore in tutto: nei colpi, nella brillantezza tecnica, nella prestanza fisica, nella tenuta mentale. Negli ultimi mesi, quando la situazione si è ribaltata, abbiamo fatto il ragionamento opposto, Sinner è apparso ai nostri occhi come invincibile, dominatore di un circuito in cerca di padrone, troppo solido e ordinato di fronte alla confusione tattica di Alcaraz. Improvvisamente lo spagnolo è diventato troppo muscoloso, confusionario, lezioso nello sfoggiare il suo talento, addirittura troppo arrogante sul campo da gioco. I periodi di forma cambiano, la percezione che abbiamo di questi giocatori invece, non dovrebbe cambiare, perché il rischio dei giudizi affrettati è quello di fare brutte figure e perdere credibilità, sempre che averla sia un qualcosa di ancora importante.
Questo per dire che Alcaraz arrivava a Indian Wells con il peso di dover dimostrare qualcosa, a séstesso e a un’opinione pubblica che stava cambiando idea su di lui. Ironia della sorte, il tabellone gli proponeva tre giocatori (Zverev, Sinner e Medvedev) che ultimamente gli avevano procurato sconfitte dolorose, innescando nella sua testa dei dubbi in grado di incrinargli la fiducia. E lui non può giocare senza avere la fiducia al massimo, il suo tennis è troppo rischioso, brillante, le sue soluzioni troppo complicate e articolate, per essere messe in campo con una mente infestata dai dubbi. La confusione e lo spaesamento che avevamo visto nei suoi occhi nella partita con Zverev agli Australian Open erano quelli di un giocatore che si rende improvvisamente conto di quanto il suo tennis, che sembra logico e naturale nei momenti di splendore, sia in realtà rischioso e difficile da giocare, quando il momento di forma (inteso come condizione fisica e risultati ottenuti) non è particolarmente positivo. Come succede sempre nelle grandi rivalità, il momento di rinascere è arrivato in occasione della sfida contro Sinner, in una partita molto più importante per lo spagnolo che per l’italiano, per tutti i motivi detti.
Alcaraz è uscito dalla sfida con il suo grande rivale, imparando nuove cose su sé stesso; dopo un primo set in cui Sinner ha dominato, con il suo ritmo infernale da fondocampo, accentuato da un’aggressività in risposta senza senso, lo spagnolo ha dovuto rinunciare al modo in cui di solito vince le partite o, meglio, al modo in cui preferisce vincerle. Sfidare Sinner in una lotta senza quartiere da fondocampo, per vedere chi tira più forte, è uno sport per cui Alcaraz va pazzo, dimostrare di essere più potente, di poter dominare l’avversario in modo brutale, spettacolare, gli dà una sensazione di superiorità, che va al di là della semplice vittoria. Al momento però, nessuno può battere Sinner giocando in quel modo, da fondocampo, giocando solo sul ritmo, l’italiano è insuperabile in questo periodo, neanche i muscoli dello spagnolo possono resistere alla velocità e la pesantezza della sua palla, e il 6-1 del primo set è stato un esempio lampante. Alcaraz, dal secondo set in poi, ha dovuto cambiare strategia, la forza ha lasciato spazio al ragionamento, le traiettorie dei colpi sono diventate sempre più alte, e hanno mandato l’avversario in confusione, soprattutto sulla diagonale di diritto. Sinner ha perso gradualmente aggressività, dopo la partita ha spiegato come il topspin di Alcaraz (particolarmente efficace sui campi di Indian Wells, in cui la palla rimbalza alta) lo abbia messo in difficoltà e come non sia riuscito a essere più vario all’interno della partita, diventando troppo monotono in seguito al primo set vinto. Lo spagnolo ha lavorato ai fianchi Sinner, giocando tutte le sue variazioni e mostrando piano piano il suo infinito repertorio. Potrebbe essere stata una sfida spartiacque nella loro rivalità, Alcaraz per la prima volta ha capito come disinnescare l’aggressività del suo avversario (aspetto che ha sempre sofferto nelle precedenti 7 sfide) trovando delle contromisure non spettacolari e meno aggressive, ma efficaci, in controtendenza quindi al giocatore che abbiamo visto fino ad adesso.
In finale, Medvedev ha impostato la partita come aveva fatto agli US Open, rinunciando alle sue solite trame di gioco, per essere più aggressivo; lo scorso anno sullo stesso campo, contro il solito avversario, sempre in finale, aveva messo insieme 5 game, venendo completamente scherzato a suon di palle corte e discese a rete dallo spagnolo. Il problema del russo quando gioca contro Alcaraz è quello di essere costretto a snaturarsi troppo, soprattutto su superfici lente come quelle di Indian Wells, si trova nella scomoda situazione di non poter giocare nel modo in cui è abituato, ma allo stesso tempo l’aggressività non lo premia più di tanto, perché la palla non va veloce come dovrebbe, lasciando sempre il tempo allo spagnolo di arrivare sulle accelerazioni e di testare il suogioco a rete, da sempre molto approssimativo. Non è stata comunque una partita facile, la forza del russo sta anche nel riuscire sempre a rimanere a contatto e di rispondere colpo su colpo, anche quando non è quello, tra i due, che sta giocando meglio; il primo set è stato molto equilibrato, e si è deciso per due soli punti (7-5 al tie-break). Nel secondo però, l’aggressività di Meddy è venuta meno e nulla ha potuto fare, contro un avversario ormai in fiducia ed entrato in una bolla di aggressività e brillantezza fisica, da cui non è più uscito. Nessuno riesce a battere Alcaraz quando inizia a giocare in quel modo, troppi sono i modi in cui può farti punto, è come avere una coperta grande metà del letto, da qualche parte rimani scoperto; la violenza dei colpi, uniti alle discese a rete, alle palle corte, ai recuperi difensivi, lo rendono il prototipo del giocatore perfetto.
Sono stati mesi duri, ma Alcaraz ha capito come essere più ordinato, imparando a gestire la confusione tattica che ogni tanto si impossessa di lui. Tutti lo aspettavano al varco e lui ha risposto presente, questo periodo è stato come quando, in Dragonball, Goku è andato ad allenarsi da Re Kaio per affrontare i Sayan in arrivo sulla Terra. Sinner, Medvedev e Zverev hanno alzato il loro livello, c’era bisogno di un Carlos nuovo, migliore. Dopo 6 mesi di ricostruzione, Alcaraz è tornato, e fa più paura di prima.