Prendi un quarto d’ora con Guido Meda. Che poi diventa mezz’ora, che avrebbe potuto essere mezza giornata. Guido entra nel Panama Van con cui siamo arrivati in circuito, un Peak P\10+, con la curiosità di un bambino che guarda, domanda, tocca tutto: “Ma dov’è il letto? Figata. Ah, ma è l’air camping?”, e subito dopo, rispondendo a sé stesso: “No, non dire così che poi dici una cosa che non c’entra”. Guido si siede, le camere sono già accese per puro caso: “È il mio sogno andare ai Gran Premi con un van”. La sensazione è che questo entusiasmo sia l’unico, vero segreto per restare un quarto di secolo nel paddock. Meda dice di essere bulimico di cose da fare, sempre alla ricerca di qualcosa in più, di un’altra maniera per vedere il mondo, come l’uomo fosse l’uomo che ha inventato il caleidoscopio. Dice anche, però, che se è riuscito a rimanere in MotoGP per tutto questo tempo è anche per come i piloti sanno essere persone. Per come si pongono, per quelle posizioni che tra gli uomini mutano nel corso di una vita e che per chi corre ogni domenica si risolvono nel giro di pochissimo: “Questa gente con le sue fatiche, con le sue gioie, coi suoi dolori che poi durano una settimana perché c’è un altro Gran Premio e magari ti cambia tutto. È un bell’allenamento, tu passi da una stagione, o un weekend, in cui pubblicamente sei Dio, a un altra in cui sei giù. E poi sei tutto rotto, poi magari ti rompi ancora. Sono tutte cose molto forti”.

Parliamo di Marco Simoncelli, Doriano Romboni e Luca Salvadori: difficile chiedere, quasi impossibile rispondere. Parliamo poi di Marc Marquez e di questa sua stagione da dominatore assoluto: “Devi anna’ più piano!”, scherza lui, riprendendo una barzelletta micidiale raccontata da Gigi Proietti a Raffaella Carrà su di un uomo che gioca a golf. Dice, tornando serio, che non si può fare a Marc Marquez una colpa per quanto vince, che questo è lo sport. A Bagnaia dà un consiglio di vita che è molto più grande delle corse, di Valentino Rossi dice che è come un film. E poi il gioco degli occhi mutuato dall’ufficio facce di Beppe Viola, una Rolls Royce Silver Cloud e quello che per lui è benzina.
Abbiamo passato mezz’ora con un uomo che racconta le corse, che porta la barca a vela, che guida gli aerei, che va forte sugli sci e sulla moto, che pesta il piede in macchina. Un uomo che suona il piano e prende lezioni di canto approcciando Creep dei Radiohead come si faceva al liceo con le versioni di latino. Uno che, a un certo punto, si ferma e dice: “Se sulla mia tomba ci sarà scritto ‘Guido Meda, quello di Rossi c’è e tutti in piedi sul divano’ alla fine me la sono voluta io che su questi tormentoni qua ci ho giocato. Però mi piacerebbe essere considerato anche per altro”.
