La prima frenata forte della sua nuova vita in MotoGP con Aprilia, Jorge Martìn ha dovuto farla a Brno. Ma non in pista. E nemmeno da sopra la moto. Bensì in sala stampa, quando ha pinzato di brutto sulle sue ghiandole lacrimali e sulle sue emozioni per non scoppiare a piangere. E la sua conferenza stampa del ritorno, che è stata intensa, chiara, schietta e senza politicismi, si potrebbe riassumere tutta con tre parole che Jorge ha detto dopo essersi alzato dallo sgabello, dopo aver capito che il “plotone” di giornalisti non l’avrebbe fatto sentire uno già condannato dai tribunali morali, dopo essersi reso conto che sì, finalmente è tornato davvero. “Ca*zo, quasi piango!” – ha detto. Lo ha fatto in Italiano, parlando con se stesso, ma a alta voce. No, non si stava rivolgendo a qualcuno di Aprilia: Jorge Martìn parlava con Jorge Martìn e lo ha fatto in Italiano.

Signori, è un segnale potente più di tutto il fiume di parole speso fino a pochi secondi prima. Perché racconta di un ragazzo che ha ancora tanta fame, di un ragazzo che ha sofferto da matti in quello che per lui doveva essere l’anno con il numero uno: per nove mesi senza una motocicletta sotto il sedere. Cadere, rialzarsi, cadere ancora, rialzarsi ancora e poi di nuovo cadere. Fino a perdere anche un po’ l’orientamento, perché un pilota – diciamolo senza dubbi – preferisce le ruote piuttosto che i piedi. E è, sostanzialmente, anche quello che Jorge ha spiegato nella sua conferenza stampa. “No regrets”. “Nessun Rimpianto” – ha detto, rispetto a tutto quello che è successo in questi mesi di tira e molla con Aprilia. Solo, semmai, l’amarezza per qualcosa che in fondo non è così assurdo nelle corse e nello sport in genere, ma che questa volta ha avuto una mediaticità che ha rischiato di essere controproducente per tutti.
Invece a vincere è stata la ragione. Quella, però, che riesce a mixarsi con la passione e che porta a capire, sia dalla parte di Aprilia che da parte dello stesso Jorge, che i muri contro cui mandarsi vicendevolmente a sbattere possono servire a misurare anche quanto ci si vuole. E il grande merito di Aprilia è aver fatto comprendere a questo Martìn – rotto, sofferente e nel bel mezzo di comprensibili capricci – di volerlo davvero tanto. E’ bastato a ritrovarsi. E adesso servirà a ripartire. Come? Senza aspettative. “Non sono qui per gareggiare – ha detto ancora il campione del mondo – Sono qui per misurarmi. Era importante esserci a Brno perché questo ci permetterà di avere dati e sensazioni su cui lavorare insieme a Aprilia per tutta la pausa estiva”. In una parola sola? Cazzimma. Di quella che spinge e in qualche modo salva pure. Con Jorge che arriva pure a fare un passaggio di una tenerezza quasi infantile, qualcosa che ha suonato, in sintesi estrema, così: voglio riconquistare la fiducia di quei miei tifosi che si sono sentiti in qualche modo delusi.

Su quello sgabello Jorge Martìn non ci ha messo il culo di un pilota, ci ha messo l’anima di un uomo, lo spirito di un ragazzo che ha un sogno e che a quel sogno non ha mai voluto rinunciare, provando pure a capire se inseguirlo insieme a qualcun altro avrebbe potuto essere più semplice. E’ debolezza? No, è umanità. E’ mancanza di riconoscenza e gratitudine? No, è ponderare prospettive in un momento umano in cui di ponderabile e ponderato c’era niente davvero. Chapeau a Jorge, che forse da “non pilota costretto a stare fermo” ne ha azzeccate poche, ma alla sua nuova prima “da pilota tornato” ha saputo presentarsi da solo in sala stampa con la sua faccia più pulita. Vera. Autentica. Prima di ammettere che sì, stava pure per piangere. E prima di capire se in quegli abiti tutti neri potrà esserci davvero tutta la luce che lui spera. Che Aprilia spera. Che lui e Aprilia, adesso, proveranno a generare.
“Sono contento di essere qui dopo tanti mesi di sofferenza – ha detto subito - E sono contento di dire che nel 2026 correrò ancora con Aprilia”. Sbam, la notizia l’ha sganciata subito. E con tutta la convinzione negli occhi che serve per convincere chi lo scettiscismo deve esercitarlo per mestiere, in una sala stampa che per un attimo ha interrotto quel solito brusio che c’è sempre. “Primo, secondo, terzo infortunio, ho cominciato ad avere sempre più dubbi. Non solo sul futuro ma anche su me stesso – ha ammesso - Dovevo prendere una decisione e le scelte erano provare più a lungo l’Aprilia o un altra strada. Aprilia ha rifiutato, rispetto questa cosa. Avrei potuto continuare oltre in questa lotta, ma nella vita bisogna prendere decisioni. Non sono un idiota, so che insieme abbiamo un grande potenziale e spero di essere veramente preparato per quello che succederà”.
Quello che succederà. Come qualcosa a cui, appunto, ci si prepara, ma senza l’affanno di dover specificare niente. Sapendo che adesso si tratta solo di ricominciare, partendo dal più significativo degli inizi: volersi davvero. E fanculo se viene pure un po’ da piangere. “Non mi pento di niente – dice ancora - penso nessuno possa capire cosa vuol dire ritrovarsi in ospedale con 12 costole rotte e non dormire per una settimana. Non ho chiesto scusa perché penso di aver fatto il meglio per la mia carriera. Ora parleremo insieme. Sarà importante per me avere una famiglia nel paddock. Se ci ho parlato? Si, certo”. Ci ha parlato e probabilmente ha intuito pure che in Aprilia le scuse non le vuole nessuno. Perché “torna qui, lasciati abbracciare” è stato sempre tutto quello che Aprilia ha avuto da dire davvero a Martìn e tutto sommato anche al suo manager, Albert Valera.
Il resto, ormai, è solo una parentesi messa alle spalle. “Honda era un’opzione ma non l’unica – ammette ancora Martìn - Una relazione è come le montagne russe, ma alla fine se ti piace una persona lavorerai duro per tenertela. Non voglio dire che non sia successo niente: abbiamo avuto un grosso scontro, però ora siamo insieme e vogliamo lottare insieme per il futuro. Certamente non sarà facile, ma l’importante è che siamo qui”. Qui, a Brno, e adesso, dopo tutto quello che è stato. “Quando sei più giovane o ignorante – taglia corto Jorge - pensi di meno a quello che può succedere. Io imparerò da questo, come sempre accettandolo”