"Da dove arriva la tua passione?". E Jamie, ascoltando la domanda, sorride già. Quando parli di monoposto, di competizione e di velocità Jamie Chadwick sorride sempre. Classe 1998, nata a Bath, nel Regno Unito, ma cresciuta all'Isola di Man tra le radici della storia del motorsport, Jamie è la stella assoluta della W Series, la categoria di monoposto nata nel 2019 e dedicata alle donne più promettenti del panorama internazionale.
Senza tuta e casco potrebbe confondersi con una qualsiasi ragazza della sua età ma quando qualcosa cattura la sua attenzione gli occhi, in un attimo, diventano quelli di un pilota: non abbassa lo sguardo, non batte neanche le ciglia. Sono pochi gli argomenti che la trasformano, che in un secondo fanno di lei la pilota più promettente della nuova generazione e la ragazza su cui puntare per vedere, o sperare di vedere, una donna in Formula 1 nei prossimi anni.
"Servono finanziamenti e sponsor per crescere nel motorsport e la W Series fa questo per 18 ragazze che altrimenti non avrebbero queste opportunità" dice serissima mentre gli occhi perdono quel piglio cordiale e amichevole. Si arrabbia quando sente che in molti ancora criticano la sua categoria, accusandola di ghettizzare le donne al posto di aiutarle. Si arrabbia quando dicono che le ragazze hanno le stesse condizioni fisiche di partenza per correre in macchina dei colleghi uomini o che, addirittura, sarebbero avvantaggiate da corpi più minuti. E si arrabbia quando pensa a quanto ancora ci sia da fare per le diversità in questo mondo.
Ma basta una domanda, quella più importante ("ti vedremo in Formula 1?") per farla tornare la Jamie bambina, cresciuta tra le follie dell'Isola di Man e la passione inglese per le quattro ruote, diventata pilota un po' per gioco e un po' per competizione ma sempre, e comunque, pronta a lottare per ottenere il miglior risultato possibile.
Jamie, con i tuoi successi nella W Series sei oggi considerata una delle piloti più famose al mondo, come ti fa sentire?
È qualcosa a cui cerco sempre di non pensare, sinceramente. Le donne nel mondo del motorsport non sono molte, anche se ad oggi la situazione è migliorata rispetto al passato e credo che questo sia in gran parte merito della W Series. Rappresentare questa serie come vincitrice per me è un grande onore ma ovviamente vorrei arrivare ad essere considerata una delle migliori anche nelle classi miste e correre contro gli uomini.
Ma cominciamo dall'inizio: com'è nata la tua passione per il motorsport?
In un certo senso ci sono letteralmente nata. Sono nata nel Regno Unito ma cresciuta per gran parte della mia infanzia all'Isola di Man, che è conosciuta in tutto il mondo per la storia che la lega al mondo del motorsport, soprattutto il TT e le gare motociclistiche. Sono convinta che parte del mio amore provenga proprio da queste radici. E poi sono arrivati i kart: da bambina seguivo mio fratello maggiore quando andava ad allenarsi e correre sui kart così ho iniziato a sfidarlo per divertimento. La rivalità mi ha sempre spinta avanti.
Un conto è correre per divertimento e un altro è scegliere questa carriera come professione. La tua famiglia come ha preso la tua decisione?
Sono stata molto fortunata. I miei genitori mi hanno supportato enormemente, qualunque cosa avessi intenzione di fare. Sono sempre stata abbastanza competitiva in tutto quello che ho fatto nella mia vita, fin dall'infanzia, quindi credo immaginassero per me un futuro del genere. Però non vengo da un "passato nelle corse", la mia non è una famiglia appassionata da generazioni, quindi io e mio fratello siamo stati i primi a prendere questa strada.
Pensi che saresti arrivata dove sei ora, in termini di carriera, senza l'aiuto e la visibilità che ti ha dato la W Series?
La W Series per me è stata estremamente importante. Uno degli aspetti principali, che spesso non viene raccontato, è che si tratta di una categoria interamente finanziata. E uno dei maggiori ostacoli per tutti i giovani piloti, e per le donne in particolare in questo sport, è trovare gli sponsor necessari per finanziare la propria carriera e quindi permettere al pilota di crescere, continuare a correre e migliorare. Quindi no, senza l'aiuto economico, e anche di visibilità naturalmente, che mi ha dato la W Series probabilmente non sarei mai riuscita a competere a questo livello, proprio per i prezzi richiesti per prendere parte a queste categorie.
Ci sono state persone, anche molte donne, che in questi anni hanno criticato la W Series, accusandola di "isolare" le ragazze in una categoria separata al posto di aiutarle. Che cosa ne pensi?
Per me qualsiasi cosa aiuti a coinvolgere le donne nel motorsport è da considerarsi positiva. E la W Series fa questo. Sta dando a 18 giovani ragazze l'opportunità e la possibilità di correre ad un livello che altrimenti non potrebbero raggiungere, seguendo poi una parte del campionato di Formula 1 - con tutta la notorietà che ne deriva - e su piste bellissime in giro per il mondo. Ovviamente in un mondo ideale avremmo una divisione paritaria di uomini e donne in questo sport senza bisogno di una spinta iniziale per aiutare le ragazze.
Quindi pensi che la W Series sia, ad oggi, la soluzione migliore per una donna per avvicinarsi alla Formula 1?
Penso che sia una delle soluzioni più vantaggiose al momento perché, come ho detto precedentemente, non tutti possono avere un sostegno economico così importante da arrivare al top senza il supporto di terze parti. Però non credo che ci sia un percorso giusto o sbagliato per arrivare alla Formula 1, anche se ovviamente per avere un merito è necessario il successo nella serie minori. Ci sono tante strade diverse per arrivare nella top classe e le strade percorse dai piloti attualmente in griglia di Formula 1 ne sono l'esempio. La W Series è una di queste e sta lavorando per riuscire a ottenere questo risultato.
A livello fisico, nel vostro sport, essere donna crea uno svantaggio iniziale rispetto agli uomini? I piloti sono agevolati dalla loro fisicità?
Sì, le donne hanno uno svantaggio di partenza. Spesso si trascura quanto questo sport sia fisico, impegnativo, e quanto difficili siano da guidare le auto della nuova generazione. Le donne biologicamente riescono a sostenere meno forza, è così per natura, e questo crea uno svantaggio. Non sto dicendo che sia qualcosa di irreversibile: ovviamente con il lavoro sul proprio corpo si può arrivare a colmare il gap, però non è facile. Io in prima persona sono tra quelle che hanno sofferto particolarmente il problema della fisicità e in questi anni ho dovuto lavorare molto duramente per farcela.
Negli ultimi anni sono stati fatti però enormi passi avanti sul tema delle diversità nel mondo della Formula 1, compreso l'interesse per il panorama femminile. Cosa pensi ci sia ancora da fare?
Io credo che il processo sia stato avviato nel modo giusto e che stia progredendo bene: ora molte più ragazze sono interessate a questo mondo, si approcciano da giovanissime, hanno la possibilità di crescere e di trovare sponsor e così via. Manca l'ultimo step: entrare in Formula 1, ma questo non va forzato.
Quindi non vedremo una donna in Formula 1 nel prossimo futuro?
La vedremo sicuramente in futuro. Spero, ovviamente, che quel futuro sia il più vicino possibile.
Vedremo TE, in Formula 1?
Il mio obiettivo finale è quello di essere in Formula 1 nel giro di tre o quattro anni.
Anche Hamilton ha recentemente dichiarato che si dovrebbe fare di più per aiutare le donne a entrare in Formula 1. Cosa ne pensi di lui?
Penso che Lewis sia fantastico. È un grande promotore e sostenitore della diversità nello sport e non ha paura di usare la sua voce per cercare di incoraggiare questo cambiamento quanto più possibile. E sì, penso che abbia ragione, possiamo tutti fare di più per aiutare questo processo. Lewis è venuto anche a trovare noi ragazze della W Series a Budapest, durante il weekend di gara, ed è stata una grande emozione. È un pilota fonte di grande ispirazione.
Hamilton ha anche dichiarato di essersi sentito "il diverso" durante tutto il suo percorso di crescita per arrivare fino alla massima serie. Come una delle poche ragazze presenti in pista è successo anche a te?
Sì, ma quando ero bambina ne ero fortunatamente ignara. Prima di correre con i kart giocavo a calcio e anche lì ero una delle pochissime bambine, quindi per me non era strano essere "la minoranza". Ho sempre fatto tutto per passione però ora più cresco e più mi accorgo delle difficoltà che ho dovuto superare.
Come ti trovi quest'anno con la Jenner Racing? Qual è stata la tua prima impressione con Caitlyn Jenner?
Mi trovo veramente molto bene! Abbiamo avuto un ottimo inizio di stagione e farlo con la Jenner Racing è stato semplicemente fantastico. Caitlyn si è rivelata subito molto attenta come capo e come mentore: ha una grande esperienza in questo mondo quindi poter far affidamento su di lei è grandioso.
Caitlyn infatti è stata in passato una pilota, una grande sportiva ed è da sempre un'appassionata del mondo del motorsport. Deve essere molto interessante avere a che fare con lei...
Sì, mi ha sorpreso molto. Oltre ad aver corso in auto ed essere un'appassionata del mondo dei motori è anche un'ex atleta olimpionica, oro ai giochi di Montréal del 1976. Sa bene che cos'è la pressione nello sport, perché la conosce in prima persona, e sa cosa serve per vincere.
Jamie, un'ultima domanda per te: che consiglio daresti alle ragazze che vogliono entrare nel tuo ambiente?
Se avete una passione non lasciate che niente vi impedisca di portarla avanti. Oggi ci sono tantissime opportunità in più rispetto a quando io ho iniziato e credo sia un ottimo momento per essere una giovane donna che si approccia al motorsport, perché sta davvero iniziando a cambiare qualcosa. Ma che sia facile o difficile quello che bisogna sempre ricordarsi è che niente deve poter bloccare il vostro sogno. Andate sempre e comunque avanti.