Correva l’anno 2005, quando al volante della prima Red Bull c’era David Coulthard, lo stesso David Coulthard che fece il suo debutto in Formula Uno su una Williams nel 1994 e che con la stessa vinse il suo primo Gran Premio, in Portogallo, nel 1995. Un pilota esperto, al cui fianco l’italiano Vitantonio Liuzzi e l’austriaco Christian Klien si dovettero spartire la seconda monoposto. Quattro anni più tardi, nel 2009, la scuderia di Milton Keynes raggiunge il successo per la prima volta nella sua storia, al Gran Premio di Cina. Terzo appuntamento della stagione, stagione poi conclusasi con il successo di Jenson Button su Brawn. Erano altri tempi. Quindici anni fa Sebastian Vettel saliva sul gradino più alto del podio, accompagnato dal compagno di squadra Mark Webber, segnando così non solo la prima vittoria, ma anche la prima doppietta. Da quel vittorioso giorno a Shangai, la Red Bull Racing ha cambiato nome, ha cambiato piloti, ha ottenuto risultati sempre più soddisfacenti.
Nel 2010, vince il primo campionato costruttori e il primo campionato piloti, i primi di una serie di quattro consecutivi, in entrambi i reparti, grazie al genio di un ragazzino biondo originario di Heppenheim, Germania. Sebastian Vettel ha portato la Red Bull sul tetto del mondo ed è con lui che la Red Bull, quel mondo, inizia a dominarlo. Formula Uno che sì, è mondo a sé stante ma è anche mondo che cambia, perché dal 2014, a Milton Keynes, la coppa dei campioni non torna. Sette anni in cui Lewis Hamilton si trasforma nel dominatore assoluto della classe regina, otto anni in cui la Mercedes si rivela un team imbattibile. Poi l’approdo in Toro Rosso di un giovanissimo di Hasselt, Max Verstappen, ufficialmente al volante di una monoposto Red Bull, in Spagna, nel 2016. Un ragazzino appena diciottenne al suo esordio tra i grandi, contestato subito, vittorioso subito. Criticato poi nei suoi anni più difficili, campione del mondo, ad Abu Dhabi, nel 2021. Il 2021 restituisce la corona al team di Christian Horner, nella maniera più spettacolare e contestata degli ultimi tempi, all’ultimo giro a Yas Marina. Il 2022 è sempre di Red Bull, di Max Verstappen, a bordo della RB18, il 2023 invece è al volante della RB19, nella stagione forse più dominante di sempre: 21 vittorie, 6 doppiette, 14 pole position, 860 punti totali.
La stagione 2024 è agli esordi, con appena cinque gare disputate, ma sembra che i numeri continuino ad essere dalla parte della squadra anglo-austriaca, trascinata dal campione in carica. Cina 2024, Max vince – in un weekend di sprint race – la gara del sabato e quella della domenica, aggiudicandosi la quinta pole position di fila di quest’anno, la numero 100 per la Red Bull. Nel quindicesimo anniversario della prima gara vinta, a Shangai (e a casa a Milton Keynes) la famiglia Red Bull può festeggiare un traguardo nel traguardo, su una pista che mancava dal 2019. Max Verstappen può ora dire di aver vinto il 50% delle gare disputate dall’ultima volta che il circus si era trovato in Cina. 53 vittorie per l’olandese, 53 per il resto della griglia. La Red Bull, dal canto suo, diventa così la squadra più vincente di sempre – per lo meno dal 2019 – con 117 successi all’attivo, uno in più rispetto alla Mercedes (a quota 116). In conferenza stampa al termine del Gran Premio, il consueto intervistatore accoglie Max Verstappen, Lando Norris e Sergio Perez e da subito la parola al vincitore: “Max, ben fatto, performance dominante ancora una volta da parte tua”.
Scandisce quell’ “again” [“ancora”] con tono sicuro, non potendo fare altrimenti. Perché, se su questa stessa pista, quindici anni fa, c’è chi rimase stupefatto dal trionfo dell’allora Red Bull – Formula One Team, oggi, agli appassionati, non resta che accettare quel copione che dal 2021 sembra non cambiare mai. Quel copione che vede Verstappen, oggi ventiseienne, protagonista indiscusso della classe più ambita, lo stesso che vede l’attuale Oracle Red Bull Racing al vertice delle classifiche piloti e costruttori. Anni di egemonia, tra il 2010 e il 2013, tre invece appena trascorsi. Anni recenti che per qualcuno pesano, ma che di certo non sono pesati a Dietrich Mateschitz, un 2021 che lo ha fatto sorridere, un 2022 che - fino alla morte il 22 di ottobre – ha portato in alto il nome del suo impero. Il destino ha voluto che il titolo costruttori tornasse dopo nove anni in casa Red Bull, presso il Circuito delle Americhe, il giorno seguente la tragica scomparsa. Risultato che la squadra dedicò al fondatore, risultato di cuore, per una famiglia itinerante nata dal sogno di un imprenditore. Un sogno contestato, un marchio ricorrente in numerosi sport ma non in Formula Uno, la quale vide entrare nel suo panorama una casa produttrice di bevande energetiche, in seguito all’acquisizione della Formula 1 Jaguar Racing. Correva l’anno 2004. Correva invece l’anno 2005 quando Mateschitz rilevò la Minardi e creò la Scuderia Toro Rosso, team satellite. Erano altri tempi. Di sogni che oggi, alla edizione numero 75 del campionato piloti, sembrano lontani ma che – in fondo – sono sempre vicini e sono sempre gli stessi. Sotto al podio, il fine settimana, al suono dell’inno austriaco, grazie soprattutto a quel ragazzino che a Montmelò dimostrò che a diciotto anni si può fare tutto, anche a bordo di una Red Bull e che a ventisei, quel tutto, continua a prenderselo, sempre a bordo di una Red Bull.