Sono partiti il 16 maggio, Francesca e Maurizio. Insieme a loro due Honda Transalp, un paio di antipioggia Dainese, sacchi a pelo e tende ripiegati nei rispettivi bauletti. Da Imperia, prima, hanno attraversato la Val Padana. Poi Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia, Bulgaria, Grecia e tutta la Turchia. Ora sono in Kurdistan, dove attendono un visto speciale per poter varcare i confini dell’Iraq. Se non riusciranno ad oltrepassare gli ostacoli burocratici che separano Baghdad dalla regione curda, Francesca e Maurizio cambieranno itinerario. Allungheranno il viaggio di qualche centinaio di chilometri. D’altra parte si sono lasciati alle spalle solo un terzo del tragitto. Perché il loro obiettivo è il Madagscar. Il loro obiettivo è realizzare la missione di Padre Floriano e il sogno di migliaia di persone, che vivono in un territorio immacolato e “dimenticato da Dio”, per stessa ammissione del sacerdote di 85 anni.
Lei, Francesca, è una pilota motociclistica di rally raid, specialista dell’asfalto ma, all’occorrenza, anche del fuoristrada. L’anno scorso è stata l’unica donna che ha preso parte all’Africa Eco Race (una fedele riedizione della vecchia Parigi-Dakar), dove si è classificata quindicesima. Compagna di Maurizio, Francesca è anche fotografa, videomaker e stuntgirl. Ha affiancato Vanni Oddera nel progetto Mototerapia, partecipando al “Viaggio di Marika” e al “Viaggio di Camilla”, per Le Iene. Lui, Maurizio, è un endurista puro: ha portato a termine sei edizioni della Dakar e in due occasioni è stato vincitore della categoria Marathon. I due nel 2021 hanno attraversato le Alpi a piedi, in solitaria, impiegando quattro giorni. L’iniziativa “Zaino in spalla e mano sul cuore” ha raccolto oltre diecimila euro, che sono stati destinati all’ospedale Gaslini di Genova per l’assistenza domiciliare ai bambini oncologici. Ora – attraverso il passaparola generato da video, immagini e racconti pubblicati sui loro profili social – Francesca e Maurizio vorrebbero replicare la formula per aiutare Padre Floriano e la popolazione dello Ihorombe, una regione meridionale del Madagascar.
Francesca e Maurizio sono belli perché sono uniti; nel viaggio, nell’avventura, da quel desiderio irrefrenabile che li porta a sognare in continuazione. Sono belli perché non si fermano, non rinunciano mai a percorrere la loro strada, seppur alternativa, scomoda e impervia. Sono belli perché possono essere baciati dal sole, inondati dalla pioggia, sferzati dal vento e dalle più grigie noie burocratiche, eppure a fine giornata li vedrete sempre sorridere: “Oggi siamo un po' delusi, perché alla dogana tra Kurdistan e Iraq ci hanno rispediti indietro e non ci hanno neanche permesso di imbarcarci su un aereo per Baghdad per ottenere il visto speciale. Era un intoppo che in parte avevamo calcolato, però Orietta di Shaula Viaggi, numero uno, ci ha preso questo mitico hotel 5 stelle, perché secondo lei avevamo bisogno di un po' di lusso e un po' di relax. Noi ce lo prenderemo tutto. Siamo già andati in consolato italiano e adesso stiamo valutando le variazioni della strada. Penseremo ad un piano B!”, raccontavano quattro giorni fa da un marciapiede nei pressi di Irbil. Come a dire: “Tutto questo fa parte del gioco”. Francesca e Maurizio raccontano l’essenza del viaggio. Con foto, video e qualche riga su Instagram, trasmettono quella meravigliosa prospettiva secondo cui il contrattempo rappresenti solamente un’occasione in più che ci viene offerta. Per soffermarci su qualcosa che altrimenti avremmo ignorato. Per approfondire panorami, paesaggi e conoscenze che difficilmente si sarebbero ripresentati davanti ai nostri occhi. Nel loro caso, l’intoppo di Irbil è stato un motivo in più per visitare l’altopiano curdo ed entrare in contatto con una terra, con un popolo, ai quali troppo spesso si guarda di sfuggita.
È proprio con quegli occhi vispi, vivi e alla costante ricerca di storie genuine che Francesca e Maurizio devono essere rimasti colpiti dai racconti di Padre Floriano. Lui, imperiese come Gerini, fa parte dei sacerdoti missionari di San Vincenzo da quando aveva diciott’anni. Due anni più tardi, nel 1962, Floriano andò in Madagascar. All’epoca raggiungere un’isola dell’emisfero opposto, bagnata dall’Oceano Indiano, non era un gioco da ragazzi. Ancor più difficile, una volta lì, era riuscire a tornare indietro. Così Floriano è rimasto sull’isola, ha visto lo Ihorombe: una regione meridionale, una grande savana. Ha conosciuto la gente dello Ihorombe: “Persone che lavoravano a 50 chilometri da casa, che da mangiare si portavano un avocado, o un pugno di riso, e poi andavano a caccia di cavallette. Vivevano con quello. Trovavo ingiusto che, mentre si parlava dell’uomo sulla luna, certa gente dovesse vivere in quelle condizioni. Una volta un coccodrillo ha azzannato una ragazza mentre pescava. le amiche l’hanno portata su un sentiero di ottanta chilometri, tutto saliscendi, al mio piccolo centro d’aiuti. Il braccio però era già andato in cancrena e hanno dovuto amputarglielo. Mi sono arrabbiato, ho pensato a quella ragazza che di lì a poco si sarebbe sposata e avrebbe avuto dei figli senza nemmeno poterli tenere in braccio. Quella è stata la molla per farmi dire ‘se nessuno costruisce una strada per l’ospedale, allora la costruirò io’. Insieme ad altri amici volontari, ho trovato chi mi aiutava e siamo riusciti a costruire 40 km di strada che collegasse i vari villaggi all’ospedale di Iakora. Veniva da me un sacco di gente a chiedermi di lavorare alla strada. Io avevo l’impermeabile, ero più riparato, ma certa gente di notte si fermava a dormire a torso nudo, rannicchiata, nella foresta, mentre diluviava. E il mattino seguente prendeva la zappa in mano per cominciare a lavorare”. Poi Floriano, con altri missionari, ha costruito scuole, chiese, un impianto idroelettrico. Oltre sessantamila abitanti dei vari villaggi dello Ihorombe, però, restano tutt’oggi scoperti, abbandonati. “Sono lontani da tutto, perché non c’è alcun soccorso. Chi non ha abbastanza da mangiare, perché magari i campi non hanno prodotto a causa della siccità, muore di inedia. Ci sarebbero altri trenta chilometri di strada da terminare”, avvisa Floriano ad oltre sessant’anni di distanza dalla sua prima visita in Madagascar. La governatrice di Iakora, negli ultimi mesi, ha constatato che il collegamento è necessario, e ha messo a disposizione i macchinari per terminare la strada e ultimare la costruzione di alcuni ponti. Tuttavia, mancano i fondi per acquistare il carburante e retribuire la mano d’opera. È proprio qui che l’iniziativa di Francesca e Maurizio – La Strada della Speranza – si inserisce. “Aver fatto una strada che poi non serve, non dura, non va tanto bene. Morirei più tranquillo se quella strada venisse terminata”, confessa Padre Floriano. Dare un contributo è semplice, trovate tutto qui.