Le colazioni al bar sono una di quelle cose che difficilmente sbaglio, a cui raramente rinuncio. Di fronte ad una selezione di paste e ad una macchina del caffè, so sempre, sorprendentemente, ciò che voglio. Alle 6:40 di mattina, in Stazione Centrale, ho venti minuti a disposizione prima di montare su un Intercity diretto a Lecce. Non arriverò in Salento, ma scenderò in piena Romagna: Cattolica-Gabicce Mare-San Giovanni, avamposto più vicino a Misano Adriatico, dove si aprirà il weekend del Gran Premio di San Marino e della Riviera di Rimini (la dicitura ufficiale dell’evento è un unicum nel calendario della MotoGP, nessun’altra Riviera al mondo può ergersi a terra ospitante di una gara della top class). Memorizzo il numero del binario e mi tuffo nel primo bar della stazione. Ha le pareti verde scuro, che è il colore del dollaro, del business, della fretta, della speranza che la giornata lavorativa fili liscia. Insomma, non è un locale che ammette tentennamenti, che ispira discorsi sulla partita della sera prima. Io, al contempo, ho una punta di sonno, ma non è questo il problema.
Chiedo un cappuccino, scelgo di abbinarlo con una sfogliatella. C’è un malinteso con il barista, che sullo scontrino inserisce “fagottino”. Rifacciamo il pagamento. “Sfogliatella liscia o riccia?” – mi domanda lui. “Liscia”, rispondo mordendomi subito la lingua. Preferisco decisamente la consistenza e la fragranza proprie della sfogliatella riccia, ma intanto la fila si allunga e desisto dalla tentazione di ripetere il pagamento per la terza volta. Il problema, quello vero, è che penso totalmente ad altro. Sono eccitato, ho l’accredito media per il Gran Premio romagnolo, il mio primo da inviato sul campo, sul posto, sul circuito. Finora ho sempre, e solo, lavorato da Milano.
Un primo contatto con i piloti l’avevo già avuto. Giugno 2023, Milano, Arco della Pace. Su un palco enorme installato per lo show di avvicinamento al Gran Premio d’Italia al Mugello, ero riuscito ad intercettare Bagnaia, Marini e Bastianini, approfittando di un tempo morto prima della diretta tv. Cinque minuti di intervista a ciascuno, un quarto d’ora per me adrenalinico, che aveva piacevolmente confermato alcune impressioni: i piloti – Pecco, Luca ed Enea – sono ragazzi alla mano. Diretti, gentili. Ti guardano negli occhi durante il dialogo, cercano di instaurare una sintonia con l’interlocutore.
Misano, giovedì pomeriggio. Giornalisti, fotografi, addetti ai lavori in calzoncini corti. Piloti che passeggiano lungo la pista e per il paddock in ciabatte. Gente che parla e ride nel dietro le quinte della conferenza stampa ufficiale, trasmessa live in mondovisione. Tutti si danno del “tu”, il massimo del protocollo è un “Buongiorno” al posto di un “Ciao”. La MotoGP non si formalizza, rifiuta di mostrarsi per ciò che non è mai stata: perfettina, pettinata, silenziosa, diplomatica, confezionata. Si respira una genuinità laboriosa, preponderante. Un disinteresse verso la forma che, se sei all’esordio in un ambiente nuovo, non può che metterti a tuo agio. Con un’ulteriore differenza rispetto a Milano: a Misano non devi rincorrere i piloti per strappare una dichiarazione. Vengono loro a parlarti. Dove? Dopo un paio d’ore scarse in circuito, avverto che saranno tre luoghi contigui, confinanti, a plasmare il mio weekend di gara: la sala stampa, il paddock e la pista.
La sala stampa. Una sala meravigliosa, al primo piano, sopra ai box. Come tutti i salotti che si rispettino, è esposta bilateralmente. Da una parte si affaccia sul paddock. Dall’altra, attraverso vetrate enormi, ecco stagliarsi la pitlane, il rettilineo dei box e buona parte della pista. Alcuni la chiamano “acquario”. Col grandangolo, mi sembra la plancia di comando di un’enorme nave da crociera. Potrei dire che al primo ingresso in sala stampa mi sia mancato il fiato, la verità è che è come l’avevo sempre immaginata: grande, panoramica, con lunghissime file di scrivanie, con televisioni e monitor dei tempi in ogni dove appena alzi la testa. Soprattutto, non ho tempo per sbalordirmi. A pochi metri da me ci sono professionisti navigati che seguo e ammiro da anni, sotto ai miei piedi sento i motori che si scaldano, mi volto verso la finestra e vedo i piloti salire in sella per entrare in pista, scorgo i team manager gesticolare al muretto, i meccanici cambiare numeri e lettere sulle tabelle di segnalazione, mentre le tribune si riempiono. Intanto la MotoGP va avanti, i monitor dei tempi si illuminano di caschi rossi, gialli e bianchi. Dietro di me, in un locale appartato, lo speaker di Misano Adriatico diffonde la sua voce negli altoparlanti di tutto il circuito. Vorrei restare in sala stampa da spettatore, da semplice appassionato, per dedicarmi solennemente a tutto ciò che vedo, per la prima volta, da così vicino. Forse non si può. Nel frattempo, infatti, dovrei anche scrivere. Lavorare. Che bega. Consapevole che Madre Natura abbia riservato al solo sesso femminile la capacità di svolgere più mansioni contemporaneamente, scelgo di selezionare ciò che di più rilevante accade attorno a me.
In gergo si chiamerebbero media scrum, in realtà si tratta di conferenze stampa “improvvisate”, che in MotoGP sono pura routine. A pochi minuti dal termine delle attività in pista, i piloti arrivano a turno in sala stampa, sedendosi ad una delle decine di scrivanie presenti. Hanno ancora tuta e sudore addosso, l’adrenalina in circolo. Li osservi. Per un istante, alla cattedra, si trasformano in un qualsiasi professore delle superiori, che ritira gli smartphone degli alunni durante il compito in classe. A porgere il proprio telefono sul tavolo, vicino alla postazione del pilota, sono i giornalisti – in assembramento - che avviano la registrazione. Parte un giro di domande, prima in inglese, poi nella lingua madre dell’intervistato. Tra i giornalisti scatta una sfida non troppo diversa dall’asta del fantacalcio. Non c’è un ordine prestabilito, vige la legge del più forte, di chi è più lesto a prender parola e ha, allo stesso tempo, una reputazione che lo rende maggiormente quotato per accaparrarsi le prime domande. Il banditore coincide con l’addetto stampa, sempre a fianco del pilota. È lui, con un cenno autoritario del capo, a dire: “Ok, adesso basta così”.
In questi botta e risposta si colgono tutte le verità che pista e tv non possono mostrare fino in fondo. Il media scrum è un contesto privo di telecamere, una situazione che il pilota conosce e affronta con più leggerezza rispetto alle interviste video, sciogliendosi nelle espressioni e nel linguaggio. Intuisci il suo stato d’animo dalle pause che si prende prima di parlare, da dove proietta lo sguardo mentre parla, dalla voglia che ha di scherzare e di scambiare due battute confidenziali a microfoni spenti, dalla camminata con cui lascia la sala stampa. Capisci che Jack Miller, se potesse, forse farebbe a meno di Misano. La KTM non gli trasmette sensazioni positive e lui, in Romagna, non sembra avere le energie per reagire. È insolitamente e perennemente serio, risponde in maniera concisa, mentre gli occhi fissano un punto distante e indefinito. A casa, in Australia, la moglie Ruby sta per dare la luce a Pip Florence, primogenita di Jack. Pecco Bagnaia, invece, dopo la gara ha l’espressione scavata, stanca, segnata da 23 giri di MotoGP sotto al sole, con gli ematomi di Barcellona ancora freschi. Accetta le prese in giro di Marco Bezzecchi nella press conference domenicale, consapevole di essere a corto di quella freschezza che in altre occasioni avrebbe sfruttato per controbattere. Bezzecchi che, intanto, è decisamente su di giri. Continua a sorseggiare lo champagne del podio, esprime concetti non banali con un inglese notevole. È sotto l’effetto di antidolorifici per un infortunio alla mano. Alcol e medicine. Salterà i test del lunedì in via del tutto precauzionale.
Il paddock. È un paesone itinerante, l’unica entità che in MotoGP viene effettivamente montata, costruita, artefatta. La Via Monte Napoleone del paddock – il fulcro del paesone – combacia con il viale delle hospitality, vere e proprie ville di rappresentanza che vengono spacchettate da un camion. Al loro interno si contano ristoranti inaccessibili (perché riservati prevalentemente ai membri del rispettivo team) e terrazze panoramiche per aperitivi con dj set. Nella Montenapo di Misano il viavai di gente è un flusso perpetuo, che cerca di eleggere il team con la struttura architettonicamente più lussuosa e accogliente. Il viale che costeggia il retrobox, parallelo a Montenapo, è l’altro snodo cruciale del paddock: i piloti dribblano i passanti in scooter, i loro assistenti fanno lo stesso trasportando tute e caschi. Da qui si accede alla sala stampa, alla pitlane e alla pista. In periferia, invece, risiedono i motorhome – dove dormono i piloti – oltre alla Clinica Mobile e al Centro Medico. Nel paddock, più o meno tutti si conoscono. Volano pettegolezzi, sì, ma intanto – all’occorrenza - ci si aiuta. Rimbalzano consigli e strategie per risolvere alcuni problemi comuni. Primo fra tutti, la cena. Se in città sei paragonabile all’infinitesimale unità di un numero esorbitante, in questo paesone casinaro e fervido, che risorge nei fine settimana, ti senti persona.
La pista. Il pass che ho al collo consente l’accesso alle service road, le stradine interne al circuito. Si snodano al di là dei muretti, delle barriere di protezione. Le imboccano i piloti nel malaugurato caso di caduta, per tornare ai box, dove spesso vengono accompagnati in scooter, ma solo dopo essere stati soccorsi dai marshall, che si appostano proprio ai lati di questi vicoli di servizio. Non esiste prospettiva più ravvicinata delle service road per osservare una MotoGP in azione. Sfrutto la possibilità, per la prima volta, nei quindici – caldissimi – minuti finali delle prequalifiche del venerdì. Sono nel punto più bello di Misano. A dieci metri da me c’è il cordolo interno del Curvone, voltandomi posso decidere se seguire i piloti mentre percorrono la Quercia, o mentre affrontano le due Misano prima del rettilineo principale. Al centro di questo magico spiazzo, nel caso sfuggisse qualcosa, c’è un maxischermo. Trecento cavalli scalmanati in quinta marcia ronzano costantemente nelle orecchie, fatico a stabilirne la provenienza, perché sono avvolto dalla pista e da ventidue MotoGP che cantano. È un frastuono che si insinua in testa, nello stomaco, tra le sinapsi, innescando un irrigidimento. La tensione evolve quando realizzi che il tutto è generato dai ragazzi, gli stessi che poco prima sedevano di fronte a te in sala stampa. E allora vorresti rallentassero un po’; ti concentri affinché non facciano errori, convinto che la tua attenzione possa davvero influire, salvaguardarli. Corri con loro. Pietro Bagnaia continua a camminare nervosamente da un muretto all’altro, pur di non perdersi una curva del figlio. Davanti a me vedo Valentino Rossi. Guarda, guida con gli occhi i suoi ragazzi. Invece di andare in cabina di commento da Sky, lui resta in pista. Adesso capisco perché.
Torno in pista nel lunedì dei test, poco dopo la pausa pranzo. Misano si è svuotata, sono rimasti solo i piloti e gli addetti ai lavori. Passo dalla pitlane e salgo sul muretto. Fabio Quartararo è seduto su una balaustra, ha le spalle rivolte verso il box, la tuta slacciata e gli auricolari. Canticchia, prima di rimettersi al lavoro. Raggiungo la zona del Curvone. Il cielo è limpido, la pelle viene sferzata da un sole ancora estivo e da una brezza leggera, che profuma di mare e accarezza le tende dei marshall. Un commissario, all’ombra, spalanca gli occhi dopo essersi appisolato. Nel raggio di cento metri ci siamo io, lui, e qualche MotoGP che rompe il silenzio a intervalli regolari. Nelle orecchie ho i tappi. La percezione ovattata del panorama che mi circonda rende il tutto ancor più simile ad un sogno. Ripenso ai lunedì qualsiasi, alle pareti di un ufficio grigio e alle stradine sotterranee della metropolitana meneghina all’ora di punta. Qualcuno, con più esperienza, mi ha detto che in MotoGP non è tutto bello. Che il rischio è abituarsi alla vita del paddock, confonderla con la routine. Io, però, ci metterei la firma.