Il punto è di quelli che possono definirsi “di prestigio”. In ogni circuito del mondo ce ne è almeno uno e quasi sempre è il posto speciale in cui vanno a guardarsi le gare quelli che non sono semplici spettatori o appassionati. Il posto speciale di Misano è l’area a destra del Curvone. Ci si arriva facilmente dal Paddock, c’è un bello slargo in cui di solito trovano spazio le attrezzature delle TV e da lì si può vedere tutto veramente, con le moto che prima passano a cannone sul Curvone, appunto, e poi entrano, a velocità decisamente più bassa e quindi consentendo di notare ogni dettaglio, nell’ultimissima parte del tracciato. Per tenere d’occhio tutto il resto, invece, c’è il grande maxischermo che serve gli spettatori della tribuna del Carro. E’ lì, a destra del Curvone, che anche Valentino Rossi sceglie di guardarsi il GP o le prove da quando non fa più il pilota di moto da corsa.
C’era ieri e c’era anche venerdì, con un occhio sulla pista, appunto, e l’altro sullo schermo, mentre qualcuno del team che porta il suo nome gli comunicava via via i tempi dei piloti che stava tenendo d’occhio. Però venerdì in quel posto speciale che è a lato del Curvone non c’era solo Valentino Rossi. E’ bastato spostare appena poco più giù lo sguardo per trovarsi colpiti da un uomo che camminava. Sì, impostazione fiera, sguardo preoccupatissimo e scarpe da tennis ai piedi per assorbire migliaia di passi. Su e giù. Giù e su. In un fazzoletto di una cinquantina di metri. Quell’uomo in calzoncini corti e polo era Pietro Bagnaia. Inutile pure stare a spiegare chi è suo figlio. Anzi, forse è il caso di spiegarlo: suo figlio è quel ragazzo che, appena 4 giorni prima, ha rischiato seriamente di non raccontarla dopo un incidente in Curva2 a Barcellona con una moto che gli è passata letteralmente sopra. Suo figlio è quel campione del mondo che, appena ieri, ha dovuto ricordare a tutti qualcosa che troppo spesso ultimamente fingiamo di dimenticare: i piloti sono supereroi. Suo figlio è l’evoluzione di quel ragazzino che proprio Pietro portava a giocare sui pistini di provincia (qui l'intervista in cui ce lo ha raccontato), con una minimoto sottobraccio e uno spirito differente.
Quello spirito Pietro Bagnaia ce lo aveva raccontato tempo fa: “Io non sono mai stato un padre che voleva a tutti i costi un figlio pilota. Anzi, io lo volevo fantino, ma è lui che non ha mai voluto giocare con qualcosa di diverso dalle moto. Però anche con le moto ho preteso che ci giocasse, altrimenti quella passione sarebbe diventata ossessione, e che avrebbe potuto davvero fare il pilota l’ho capito quando ormai il pilota lo faceva già”. Lo spirito, insomma, del padre che vuole che il figlio si diverta. Punto. Senza aspettative sopra. Solo che poi quel divertimento è diventato una cosa seria, fino al tetto del mondo. Fino ai rischi che stare sul tetto del mondo comporta. Compresi quelli in pista. Tanto che, da padre, e pur sapendo che non puoi farci niente perché ormai quel figlio è grande, ti verrebbe quasi da dire “mai vai a fare in cu*o te e le corse” dopo una paura come quella di Barcellona. Invece no: Pietro Bagnaia stava lì. Con quale animo possiamo pure immaginarcelo. Un occhio sulla pista, un occhio al maxischermo e un altro allo smartphone per tenere d’occhio i tempi, con una espressione in faccia che, da padre, è indescrivibile.
E’ stata, probabilmente, l’immagine più bella di tutto il fine settimana di Misano, anche se non è ancora finito. Perché racconta – senza avere la pretesa di volerlo raccontare, visto che Pietro Bagnaia non s’è neanche accorto che gli abbiamo rubato una foto – due verbi che nell’essere genitori dovrebbero avere sempre la A maiuscola: Accompagnare e Accettare. Due verbi con la A maiuscola da anteporre a due parole che invece cominciano con la S e che sono valore assoluto: Sogni e Sofferenza. Accompagnare Sogni. Accettare Sofferenza. Un po' come cantava Vecchioni: "Figlio, so che dovrai colpirmi a morte e colpire forte". Anche attraverso spaventi allucinanti. Con la sofferenza da accettare che, però, deve essere intesa anche come fatica da insegnare, per spiegare a un figlio che i sogni puoi anche andarteli a prendere insieme a un genitore che magari ha la forza di accompagnarti, ma che senza la capacità di divertirsi pure nel faticare, i sogni rimangono sogni e basta. E poi, chiaramente, pure “sofferenza” perché quando c’è di mezzo la velocità i rischi sono quelli che sono. Pecco Bagnaia li ha vissuti tutti sulla sua pelle a Barcellona, suo babbo (così come sua mamma o qualsiasi altro genitore di un pilota) li ha vissuti tutti sul cuore. Pecco starà meglio prestissimo. Per il cuore, invece, non basterà una vita. Ma compito di chi Accompagna e Accetta è non farlo pesare. Magari scaricando tutto su un paio di scarpe da tennis consumate, mentre quel figlio ti passa a fianco a oltre 300 km/h a polso destro ruotato e senza pelare neanche un po’, sopra un missile terra terra su cui è salito zoppicando e appoggiandosi a una stampella, appena quattro giorni dopo un incidente di quelli che difficilmente si raccontano. Sì, Pecco Bagnaia a Misano ha fatto l’impresa pazzesca (a prescindere da come andrà la domenica del GP), ma al Curvone di Misano, lontano da tutti ma nel cuore di un circuito, c’era un padre a piedi che ha fatto più km del figlio in moto e che, forse e senza che lo ammetterà mai, ha fatto un’impresa ancora più grande: rispettare il sogno di un figlio. Con la stessa forza e la stessa capacità di Accompagnare e Accettare - camminando e zitto in disparte, ma da un punto in cui non gli poteva sfuggire niente – di quando, con una minimoto sotto a un braccio e proprio con la mano di quel figlio stretta nell’altra mano, l’idea di vederlo sparato in aria e poi travolto era solo un incubo che era toccato a altri padri.