Sarà che ha quel modo un po’ provinciale, sarà pure per l’aspetto da pacioccone e, ancora di più, sarà per la solita malizia rancorosa che ormai dilaga, ma Alessio Salucci, Uccio, è uno che sul serio non ce lo ha preso mai nessuno. Quando il suo amico di sempre Valentino Rossi ha detto basta con le corse e per Uccio è venuto il tempo di mettersi al timone di un team, erano tantissimi quelli pronti a scommettere che avrebbe fallito e che senza l’immagine vicina di Valentino - che sposterebbe l’attenzione da ogni mossa inopportuna - per il ragazzo di Tavullia che è cresciuto facendo il damigello di compagnia, il Sancho panza del luminoso Don Chishiotte, sarebbero arrivati solo disastri.
La storia, però, ha detto altro. Prima di tutto che si può essere manager anche con l’approccio “pane e salame” e abiti da ragazzotto ormai divenuto padre che ha sposato la filosofia del braghe corte e t-shirt. Sembra poco, ma poco non è. Perché di soldi in MotoGP ne girano tanti e perché se il nome che porti a spasso è fatto di due lettere e un numero, VR46, anche la forma rischia di penalizzarti. Alessio Salucci da Tavullia se ne è fregato, a cominciare proprio dal modo di presentarsi. Lo stesso di sempre, lo stesso di quando, poco più che bambino, s’è fatto spalla (o forse è meglio dire pilastro?) di un’avventura che poi è diventata storia è leggenda. Accettando pure d’essere considerato come quello che ha vinto tre volte di fila il Superenalotto solo per aver avuto la fortuna di nascere a due passi da un predestinato, di diventarne il miglior amico e di godere, anche economicamente, dei suoi successi. Solo che anche qui la storia ha detto altro e la lettura pop sulla figura di Uccio è totalmente disonesta. Perché chiunque ha avuto a che fare con un pilota nella sua vita dovrebbe essere perfettamente consapevole di cosa significhi stare accanto a qualcuno che, per sua stessa natura, ragiona sempre e solo con dinamiche di competizione. Funziona così per chi fa il pilota della domenica, figuriamoci per Valentino Rossi. Stravaganze, stranezze, impuntature tremende e esigenza d’essere primo sempre, anche nel fare le scale, sono una costante dei piloti. E stare fianco a fianco, praticamente da tutta la vita, a uno che non solo fa il pilota, ma è il più forte di sempre e il riferimento di tutti, è roba di cui è capace solo chi ti vuole bene veramente. Perché poi i piloti sono così anche in questo: devono sentire di non essere in discussione, devono avere l’assoluta certezza che il bene che gli vuoi è vero, oltre che profondo, incondizionato e autentico. La fortuna di Uccio, ammesso che di fortuna sia giusto parlare ancora, eventualmente, è stata quella di saper voler bene, di saper essere “amico” nell’accezione più nobile del termine.
Solo che anche “amico” adesso non basta. Perché, al netto delle simpatie o antipatie e delle situazioni che possono essersi create in ventisei anni di carriera nel mondiale di Valentino Rossi, oggi è ingiusto pure definire ancora Uccio come “l’amico di Valentino”. Sì ok, sono amici, ma il ragazzotto di Tavullia è pure quello che tira i fili di un impero che non ha mai conosciuto fallimento, neanche quando, ormai un paio d’anni fa, s’era creato il pasticcio del presunto sceicco con i presunti maga milioni di Dollari da mettere a disposizione. Alessio Salucci da Tavullia, insieme agli altri del cerchio magico di Valentino Rossi, poteva pure giocare la parte del truffato, invece ha accettato quello più scomodo di “quello che c’è cascato ma è pronto a rimediare”. E ha rimediato, chiudendo in poche settimane l’accordo con Mooney, recuperando il tempo perso e presentando il nuovo team nel teatro di Pesaro quando ormai mancavano pochissimi giorni all’inizio del mondiale. Non dirò chi, ma un collega, proprio quel giorno a Pesaro, disse: “Faranno un disastro, è tardissimo per partire e hanno accroccato su qualcosa che non potrà mai fare bene in questa MotoGP di lupi”. Poi la stagione è cominciata e “sbam”: il Team Mooney VR46 ha fatto bene sin da subito, quasi, dimostrando che non esiste nessuna regola secondo cui chi debutta deve finire sempre ultimo (Mi chiedo, oggi, se quel collega ricorda cosa disse quel giorno, ma faccio finta d’essermelo scordato pure io, ndr). Un anno di rodaggio, con punti presi con entrambi i piloti e risultati inattesi, ma pure con la consapevolezza che per migliorare, a volte, serve pure il passo indietro. Chi lo ha capito prima di tutti è stato, ancora una volta, proprio Uccio. “L’anno prossimo correremo con due moto dell’anno precedente, perché ci siamo resi conto che avere due moto diverse è qualcosa di non facile gestione”. Era matto? No. E all’inizio di questa stagione sono arrivate pure le vittorie, con un Marco Bezzecchi che oggi, pur avendo la possibilità di guidare davvero una ufficiale (ma in un altro team), sta lì a pensarci e a prendere tempo. Perché? Perché è consapevole che quello che Uccio ha creato, l’ambiente VR46, probabilmente conta più di un qualche cavallo in più da scatenare in pista. Magari no in termini di velocità, ma in termini di tranquillità, che per un pilota è tutto davvero.
Alessio Salucci da Tavullia la sua “rivincita” (ammesso che la rivincita sia mai stata davvero nei suoi pensieri) se l’era già presa. Ha dimostrato di non essere solo l’amico di Valentino e, tutto sommato, avrebbe pure potuto farsi da parte. Invece ha deciso di rischiare ancora e restare lì. A accontentarsi? No, a rilanciare. Con un nuovo progetto, la chiusura dell’accordo con un nuovo sponsor che sarà annunciato a breve e pure prendendo decisioni decisamente non facili: come puntare i piedi per restare legati a Ducati senza cedere alle (economicamente vantaggiose) lusinghe di quella Yamaha che pure lo ha ospitato nel box per quasi tutta la sua precedente vita. Adesso, “nell’affaire Bezzecchi”, Alessio Salucci da Tavullia sembra essere pure l’unico che è rimasto sempre lucido, capace pure di ragionare al netto dell’emozione e dell’affetto: “Marco ha un gran talento e è giusto che segua la sua strada. Se resterà con noi saremo contenti, se non lo farà saremo lo stesso contenti per lui e noi troveremo una soluzione. E’ chiaro che avere Franco Morbidelli ci piacerebbe”. La soluzione, praticamente, c’è già. Zero impuntature, nessuna prosopopea da manager che si prende troppo sul serio e, in estrema sintesi, il solito mantra: trovare una soluzione. Probabilmente è questo il vero talento di Alessio Salucci da Tavullia e in un mondo in cui la velocità è tutto, “trovare la soluzione” vale quanto avere un polso destro magico. Perché sarà anche vero che all’ombra di Valentino Rossi viene tutto più facile, ma è altrettanto vero – se si guarda con oggettività la storia di Uccio – che tutto ciò su cui ha messo le mani ha funzionato. E parlare ancora di caso o di fortuna è disonesto, persino per i rancorosi.