La tuta non lo aiuta, perché è rossa ai lati e nera al centro. Nera come la livrea della Ducati V4 del Team Barni che con lui sopra, Danilo Petrucci da Terni, sembra una minimoto. Lo vedi quel rosso che ha sui lati perché sborda fuori e rende l’immagine di qualcosa di totalmente distante dalla grazia di un pilota che fa volare la sua moto danzandoci sopra. Lui, Danilo Petrucci, sembra uno che la moto la deve violentare pure un po’, oltre a farle sopportare una stazza che non è la stessa di Alvaro Bautista. Lui, Alvaro Bautista, invece, è un piccoletto, uno col fisico perfetto per le derivate di serie e guida pure la derivata di serie perfetta. Tanto che anche la crisi in cui sembrava piombato dopo Imola è durato giusto due terzi di weekend a Most. Diciottesima vittoria, record rinnovato e primato nel mondiale consolidato grazie anche a una stranissima caduta di Toprak Razgatlioglu. Il turco guida una Yamaha e è un altro generoso da far paura. Stava spingendo da matti, regolando Bautista e la sua velocissima Ducati a ogni staccata, poi la sua R1 l’ha tradito, lanciandolo via in uscita di curva, forse a causa di una foratura.
Fin qui, però, è solo la cronaca di un risultato sportivo. Di un altro intenso fine settimana di Superbike, magari un po’ diverso dagli altri solo perché Alvaro Bautista s’è ritrovato lassù dove praticamente sta sempre solo nell’ultima gara della domenica. Ciò che cronaca sportiva e basta non è, invece, è la storia nella storia di questo fine settimana in Repubblica Ceca. E quella storia lì, senza togliere alcun merito a chi è salito sul gradino più alto del podio, l’ha scritta quello che è arrivato secondo: Danilo Petrucci da Terni. Il ragazzino che ha cominciato con il trial, che poi c’ha provato con il cross e che s’è ritrovato nella velocità. Fino alla MotoGP, fino a due volte davanti a tutti guidando la Ducati Desmosedici del team ufficiale, fino a un passaggio in KTM e una uscita di scena quasi silenziosa, perché concomitante a quella di un certo Valentino Rossi. Di Danilo Petrucci s’è parlato sempre poco, però è stato sempre uno dei piloti più amati di tutto il motorsport. Lui stesso l’ha capito tardi, quando, partecipando quasi per scherzo a una Dakar, ha restituito da solo l’interesse mediatico di un tempo al rally più noto del mondo. Fino a vincere una tappa di quel rally lì (unico al mondo a esserci riuscito dopo aver già vinto in MotoGP) prima di fare su un borsone e andare in America. A fare cosa? A provarci con la velocità, ma tra le buche e su asfalti che nemmeno nelle strade di campagna della sua Umbria. Secondo in quel campionato, dietro a un mostro sacro.
Dare sempre, dare ancora, dare di più e spostare gli occhi un po’ più in là è, però, quasi una malattia per un ragazzo che ha dovuto talmente abituarsi a dimostrare da essere quasi rimasto schiavo di una insoddisfazione latente. Come se non bastasse mai. Non il vincere, non l’ottenere il risultato, ma il dare. Dare come condizione. Ecco, è l’unica condizione che sembra calzare a Danilo Petrucci. Dare è la sua taglia. Lo ha fatto ancora presentandosi in Superbike come un rookie qualsiasi, in una squadra che è gloriosa, ma che è comunque privata. Sembrando un gigante che aveva la pretesa di guidare giocattolini e di andarci pure forte. Solo che le pretese, quando sei abituato a dare sempre, tanto e di più, diventano possibilità.
Danilo Petrucci s’è chiesto a lungo se avesse senso provarci in Superbike per un altro anno. Perché le condizioni per andare forte veramente non potevano esserci. Ma ha preteso e insistito, fino a sfondare nelle orecchie (ma soprattutto nel cuore) di Barni e della stessa Ducati. Gli hanno messo a disposizione una forcella diversa, più lunga in modo che la Panigale risultasse un po’ più alta e adatta alla sua stazza, e pure altre componenti, oltre a un test da dentro o fuori da fare al Mugello. E’ lì che è arrivata la svolta, perché il problema di quelli che sono abituati a dare è che dopo un po’ vorrebbero sentirsi meno soli nel dare. Ha visto che anche chi era con lui in questa avventura ha saputo essere pronto nel “mood del dare” e ha sciolto le riserve: restare ancora anche per il prossimo anno. Cominciando a ottenere risultati importanti da subito dopo, fino al podio di Donington, fino al week end praticamente perfetto di Most, in Repubblica Ceca. Secondo su un gradino del podio che non è quello più alto, ma che non gli ha negato d’essere, anche nella foto di rito, quello con la testa più in alto. Una gara, soprattutto quella di oggi, corsa, come si dice a Terni, con la carogna addosso di chi sente che è ora di raccogliere. Quell’ora è arrivata davvero. Fino al prossimo dare che saprà trasformarsi in regalarsi. E regalare anche a tutti noi un altro pezzo di una storia che è pazzesca veramente.