Calzoncini corti, magliettina bianca e un cappellino in mano. E’ così che era vestito il bimbo che in una sola frase, gridata con la voce che tremava e gli occhi che sparavano adrenalina, ha sintetizzato l’intero racconto di Misano 2023: “Babbo, ce l’ho fatta!”. Quella frase è stata, per quel ragazzino, la chiosa di un’impresa. Perché poco prima, insieme al suo babbo, era accalcato in quel minuscolo corridoio del paddock in cui passano i piloti subito dopo il podio, per entrare nella sala stampa dedicata alle televisioni di mezzo mondo. Pochi metri per vederli passare. Ma a volte bastano pochi metri per segnare grandi traguardi. Quel ragazzino, probabilmente, lo sapeva, come lo sanno tutti i bambini. Così, quando dal retropodio è uscito Pecco Bagnaia, in barba a energumeni della sicurezza e pure al suo babbo quel bimbo s’è svincolato via. Ha salito le scale di quella sala stampa dal lato opposto a quello in cui lo stava facendo Pecco e gli ha teso il cappellino, mentre quelli della sicurezza provavano a acciuffarlo. Il resto lo ha fatto Pecco, coi movimenti lenti di uno che – nonostante fosse tutto rotto – aveva appena centrato un’altra impresa e l’autorevolezza di un campione del mondo: giusto uno sguardo per spiegare a quelli pronti a intervenire che quel bambino doveva essere lasciato stare. Ha preso in mano il cappellino, lo ha firmato e lo ha restituito al piccolo temerario che, dalla sua, ha capito che poteva bastare così: s’è girato e è tornato dal babbo. Poi, mentre quel genitore era viola in volto per la meravigliosa sfacciataggine del figlio, un grido ha commosso tutti: “Babbo, ce l’ho fatta!”. Era sempre lui. Ancora lui.
E “Babbo ce l’ho fatta” è pure la frase che viene da dire oggi e che starebbe bene un po’ sulla bocca di tutti i protagonisti di Misano. Soprattutto dopo il mezzo vuoto desolante dello scorso anno che, col cielo che minacciava pure pioggia, c’aveva fatto venire in mente addirittura il petricore (qui il racconto). Facevamo i conti, dodici mesi fa, con il grande dubbio se quella sensazione lì che abbiamo vissuto un po’ tutti fosse di assenza o di perdita. E non è mica la stessa cosa: assente è chi in qualche modo c’è, perso, invece, è chi non c’è ormai proprio più.
I 140000 accessi al Marco Simoncelli World Circuit in questo 2023 non sono paragonabili ai numeri pazzeschi degli anni passati, ma sono una cifra straordinaria se si considera il 2022. Non solo per i freddi numeri, ma pure per il calore che quei 140000 hanno espresso. Insomma, lo spirito delle corse c’è ancora e non è affatto andato perso. Come se questo nuovo modo di “essere corse” può guardare oggi al vecchio modo di “essere corse” e gridargli, appunto, “Babbo, ce l’ho fatta!”.
La stessa cosa che, in qualche modo, possono gridare tutti i nuovi piloti a un babbo ideale che potrebbe essere Valentino Rossi o, vista l’impresa di Misano, magari pure Dani Pedrosa. Un “Babbo ce l’ho fatta” urlato da sotto la quercia che porta il nome del SIC a babbi che stanno ancora lì, che sono semplicemente assenti – o presenti in maniera differente – ma assolutamente non perduti. Tanto che se uno, Dani Pedrosa, era addirittura in pista a far capire che il manico – proprio come lo spirito – non conosce ruggine, l’altro, Valentino Rossi, se ne è stato per quasi tre giorni di fila in piedi su una sorta di trespolo, in un punto del circuito da cui è possibile tenere d’occhio un po’ tutto, dentro una veste che è nuova, ma che ricopre la stessa sostanza di sempre. Lì, pronto a vedere, simbolicamente, i suoi pilotini gridargli da sopra il podio o da sotto la bandiera a scacchi, un “babbo, ce l’ho fatta”. Che poi, in qualche modo, mica è così nuovo rispetto a prima. A Misano, ad esempio, c’è stato il pilota che ha saputo andare oltre al dolore, Pecco, come facevano quelli di una volta. E c’è stato quello che, tra stomaco vuoto, euforia, antidolorifici presi prima della gara e prosecco sul podio, in conferenza stampa c’è arrivato in uno stato molto simile a quello di chi sta mezzo brillo (Marco Bezzecchi). Certo, non saranno le sbornie vantate da Lucchinelli, ma siamo sicuri che ora non sia meglio e assolutamente più genuino? E’ un “babbo ce l’ho fatta” anche questo dubbio. E’ roba grossa e pure un bel po’ potente. E per niente scontata. Perché in qualche modo – sia chiaro: non è una polemica – “Babbo ce l’ho fatta” possono gridarlo anche tutte le nuove leve di quelli che fanno il mestiere di raccontare il motorsport, a quei “padri professionali” che magari vivono un po’ la sofferenza di quanto fosse meglio prima. Non era meglio, era quello lì in quel momento lì. Che non potrebbe essere adesso. Il 2022 ha segnato quel disorientamento a cui porta ogni cambiamento, il 2023 a Misano (ma a dopo una stagione che l’aveva già lasciato intendere) ha dimostrato, invece, che la mezzanotte della notte del mondo è lontana – o forse è già superata – e che “rifiorire” è ancora il verbo perfetto anche quando si sta in mezzo a odore di benzina che brucia, scarichi aperti e gente che celebra la vita sfidando la morte, mentre insegue “un tempo ancora migliore”.