Il 24 Febbraio è uscita in Italia su Netflix la quinta stagione della docuserie Drive to Survive, forse più equilibrata tra drammi e approfondimenti rispetto alle criticate stagioni precedenti, la cui direzione presa assieme a Liberty Media sembra però inequivocabile: raggiungere il fruitore target, ovvero il giovane americano divoratore di serie TV. Rimane così però a bocca asciutta l'appassionato di auto vecchia scuola?
Era il 2019 quando la prima stagione di Drive To Survive, la serie Netflix dedicata alla Formula 1, fece esaltare gli appassionati sparsi per tutto il mondo, i quali non aspettavano altro da una piattaforma di streaming: una serie ad alto budget che raccontasse tutta la Formula uno, dagli aspetti tecnici, alla preparazione pre-stagionale, fino a far toccare quasi con mano la vita dei piloti e dei principali componenti dei team durante il campionato.
Nessuno dei 490 milioni di fan della Formula 1 fino a quel momento però era nelle mire di Netflix e di Liberty Media. Per le due società era ben chiaro che il circus dovesse diventare un carrozzone itinerante pronto ad essere spremuto il più possibile. Il pubblico però non era sufficientemente numeroso. Il ragionamento alla base è stato fin da subito molto semplice: amplificare in modo esponenziale l'audience verso i nuovissimi consumatori di contenuti, nello specifico consumatori provenienti da paesi che potessero vedere la Formula 1 come un grafico a torta diviso in modo non uguale tra business e sport.
L'operazione Drive To Survive ovviamente è solo uno dei tasselli dell'enorme puzzle che compone la trasformazione della classe regina in un effettivo entertainment brand. Infatti, fin quando la proprietà della F1 era tra le mani dell'ex proprietario Bernie Ecclestone, vigevano severi vincoli nei confronti di terze parti per la produzione di contenuti unici, che si estendeva addirittura all'utilizzo dei social da parte di team e piloti. Ovviamente nel 2016 con la vendita dello sport è cambiato tutto, e l'opera di rebranding da parte di una società americana poteva partire.
Non per forza però questa americanizzazione va vista come il male. Durante i primi step, per capire quale fosse il modo migliore per coinvolgere il pubblico e capire esattamente quali contenuti sarebbero stati i più apprezzati, Liberty Medua ha dovuto raccogliere dati e renderli disponibili agli spettatori, collaborando in particolare con Amazon Web Service (la partnership è tuttora attiva) grazie al quale ha riempito i tracciati di sensori per fornire allo spettatore di F1TV ogni statistica possibile, allineandosi alla metodologia con la quale si segue e si propone lo sport negli USA e potendo, nello stesso tempo, potenzialmente far contenti gli spettatori europei un po' più NERD, affamati di numeri, forze G e distacchi al millesimo di secondo.
Gli ingredienti quindi per metter su una docuserie con la D maiuscola, ricca di nozioni, dettagli ingegneristici importanti, ricerca e sviluppo, mercato e qualche retroscena erano tutti li sul piatto. Quindi tutti contenti? Pare di no.
Far felici tutti è forse un'impresa impossibile: da una parte il pubblico storico, quello dei Niki Lauda e degli Ayrton Senna, quello che “otto weekend all'anno sono sufficienti” e per cui i piloti avevano poco a che fare col politically correct ma sapevano tanto di cavalieri con armatura ed elmo mentre facevano strillare i 3000cc v10; dall'altra la Gen-Z, quella dei contenuti sui social, rapidi e concisi, di facile comprensione se si tratta di sport, un pubblico a stelle e strisce che se si parla di motori, volge lo sguardo quando legge v8 sul cofano di un auto, che ama le corse negli ovali, gli incidenti e le superstar. Drive to Survive è il prodotto perfetto per chi vive oltreoceano, destinato proprio a conquistare gli USA, e lo fa dannatamente bene!
La narrazione scelta fin dalla stagione 1 è stata esattamente quella che ci si aspetta da una serie ispirata dalla Marvel. Un pompaggio di antipatie tra piloti e team principal, screzi, scandali e così via, orchestrata per chiudere ogni puntata con un classico: "nel prossimo episodio"... Caratterizzato da un montaggio incalzante, ricco di colpi di scena (presunti) ed incidenti, degno del miglior Michael Bay con un candelotto di dinamite in mano. Ma tutto questo non basta.
Aggiungere tasselli allo show sembra essere qualcosa di abituale per Liberty Media e FIA, dopo lo sfavillante red carpet motoristico offerto dalle città di Austin e Miami nel 2022, nel calendario 2023 compare la nuova tappa di Las Vegas, la città creata per intrattenere - ed in questo caso accontentare - i 400mila spettatori in presenza per singola gara e gli oltre 15 milioni di americani che seguiranno a distanza ogni evento.
Numeri straordinari per la classe regina dei motori, e molto del merito va proprio alla docuserie su Netflix. Se l’obiettivo di LM è da sempre quello di aumentare l’audience, ad oggi il traguardo è stato certamente raggiunto. grazie a DTS nel 2022 il coinvolgimento del pubblico è aumentato del 27% rispetto al 2021, e si prospetta un ulteriore aumento nel 2023 considerando la new entry Logan Sargeant, pilota statunitense, ricoprendo una presenza americana assente in griglia dal lontano 2007, quando su una giovanissima toro rosso un sedile venne occupato da Scott Speed.
Numeri assurdi quelli inerenti ai nuovi fan della classe regina, tutto secondo i piani quindi? Dati alla mano, pare di si. Attualmente il circus vanta oltre un miliardo e mezzo di spettatori in giro per il mondo, numeri in aumento esponenziale dal 2019, che giustificano anche il mega accordo televisivo triennale con l'emittente americano ESPN per una “modica” cifra che oscilla tra i 75 e i 90 milioni di dollari.
Puro spettacolo ed intrattenimento dunque, ma come già detto pare abbia poco a che fare con i complessi argomenti inerenti alla fluidodinamica, con la sofisticata meccatronica e la complessa ricerca della perfezione meccanica europea che tanto piaceva al "vecchio pubblico", ed ha ancora meno a che fare con le capacità di guida dei piloti, o le loro doti di sviluppatori. Uno spettacolo che si colora in Drive to Survive di protagonisti da paddock, di star perfette e senza vizi, politica e scandali di mercato anche nella stagione 5, che appare però, un pelo meno romanzata delle precedenti. Abbiamo visto più tweet che auto purtroppo anche a sto giro, più litigi in ufficio che battaglie tra i cordoli. In pratica, la direzione segnata sembra essere definitiva, pertanto non penso ci sarà da stupirsi se, nel giro di pochi anni, verranno inseriti regolamenti "popolari" tra i digital-fan, come il fanboost o le griglie invertite. Qualsiasi cosa per far cassa.
I numeri della stagione 5 di DTS per adesso lasciano intendere che contenuti, regole, e copertina saranno gli elementi di una F1 perfetta per essere ingurgitata da ciò che chiede il mercato, una F1 che è certamente meno romantica, meno eroica e certamente più patinata dai neon dei circuiti glamour, più consumista che mai e meno coerente col mondo nel quale vive, ma più adatta a chi sta imparando ad amare uno sport come si ama una stagione di Game Of Thrones. Il prodotto dunque piace, e lo fa al punto che, lentamente ma inesorabilmente, sta coinvolgendo anche chi lo disprezza, anche chi è cresciuto con Michael Schumacher, perchè la F1 se la ami, la ami in tutti i modi. Dimentichiamoci quindi i tempi dei gentleman drivers, ed iniziamo ad abituarci ad una F1 che sembra tanto un videogame interattivo con cadenza quasi settimanale, fatta forse meno di appassionati di vecchia scuola, e più di spettatori di oggi.