L’Arthur Ashe, come del resto i centrali di ogni Grande Slam, è da sempre casa dei grandi campioni, casa di chi realizza il sogno di una vita. Luoghi di proclamazione di vecchi e nuovi re. Del secolo corrente, si distingue Roger Federer che ben 5 volte ha messo il sigillo sulla coppa più importante, tra il 2004 e il 2008. Poi, tra il 2009 e il 2023, è stato il turno di Rafael Nadal e Novak Djokovic, lasciando sporadicamente lo scettro di Flushing Meadows ad altri giocatori, come meteore di un regno inespugnabile, di una generazione tennistica che - con il serbo, fresco vincitore della tanto ricercata medaglia d’oro olimpica - non sembra voler tramontare. È strano, quindi, vedere il nome di un ragazzo classe 2001, che quegli stessi campioni li chiamava idoli, riportato sotto a quello del fuoriclasse serbo, eliminato al terzo turno, sulla parete dedicata all’albo d’oro del Grande Slam newyorkese. O forse tanto strano non lo è. Sì, perché la stagione 2024 di Jannik Sinner è stata tutto fuorché casuale, un crescendo dal giorno uno. A Melbourne, l’altoatesino inaugura la stagione con un trionfo, ottenendo così il suo primo Slam in carriera ai danni di Djokovic, battuto in semifinale, e del russo Daniil Medvedev, superato in finale con una rimonta da 2 set sotto. Un preludio, forse, ma la verità è che nessuno – quel 28 gennaio - avrebbe mai pensato di vedere i colori azzurri sul tetto del mondo, al numero 1 del ranking mondiale, meno di 5 mesi dopo, il 10 giugno 2024. Il primo italiano a raggiungere tale obiettivo. Dall’Australia a oggi, di tornei Jannik ne ha vinti 6, di cui 2 Masters 1000 e, appunto, 2 tornei del Grande Slam. Questi ultimi, entrambi sul cemento, fanno di lui il quarto tennista di sempre ad aver compiuto l’impresa nel medesimo anno (con Djokovic, Federer e Wilander). A soli 23 anni, ieri Jannik è diventato il primo giocatore fuori dai Fab 4 a vincere due Slam in una finestra di 365 giorni, il primo italiano nella storia a ottenere uno US Open o a vincere sia il torneo di Cincinnati che lo Slam della Grande Mela nello stesso anno, nuovamente con il campione serbo, Aryna Sabalenka e Coco Gauff. Nomi, cognomi, personalità.
Numeri, che fanno sì tanto rumore ma che alla fine, contano poco, soprattutto se ti chiami Jannik Sinner. Attenzione però, non si tratta di ingratitudine ma piuttosto di una testa sulle spalle e un’etica del lavoro che lo porta a volere sempre di più, a discapito dei successi. “Il lavoro non finisce mai, so che posso ancora migliorare […] Bisogna essere orgogliosi delle armi che si hanno e per il resto ci si prova, ci si lavora su. Non vedo l’ora di vedere quale sarà la mia evoluzione”. In fondo Jannik Sinner ormai lo sappiamo, è uno stacanovista, come sappiamo essere estremamente riservato, di quelli che ponderano parole ed esultanze, fuori posto, mai, contenute, sempre. Non a caso, uno dei commenti sotto al video dedicato al Championship Point, sul canale YouTube ufficiale dello Slam d’America riporta: “I love how he celebrates […] no rubbing his win on the opponent, what a decent human being” [“Adoro il modo in cui festeggia [...] senza rinfacciare la vittoria all'avversario, che essere umano rispettabile”]. Perché è questo quello che metti tutti d’accordo su Jannik Sinner, la sua semplicità, umanità e gentilezza. La Nike saluta così il neo-re di Flushing, “it’s hard to beat the nicest guy” [“è difficile battere il ragazzo più gentile”]. ‘Gentile’, ‘cordiale’, ‘buono’ – che dir si voglia - sono tutte possibilità e tutte, senza alcun dubbio, riconducibili a Jannik. Così lo aveva definito l’amico Draper in conferenza stampa, dopo aver perso in tre set una semifinale sofferta sia fisicamente che psicologicamente. “Qual’è un punto debole di Jannik?”, gli avevano chiesto, “Non ne ha, se proprio devo dirne uno è che è troppo gentile”. Tutto torna. Che non è da tutti. Il caso di doping scoppiato a fine agosto, che ha rivelato i retroscena di quanto successo a marzo, hanno diviso l’opinione pubblica e gli stessi tennisti, c’è chi ha chiesto chiarezza, chi pari trattamento, chi ha preso le difese del numero 1 e chi invece, come Nick Kyrgios, l’ha messa più sul personale, per quanto lui sostenga il contrario. Tutto torna: scagionato, Sinner ha dimostrato ancora una volta, e su sua stessa ammissione, come circondarsi delle persone giuste ti permetta di affrontare le difficoltà al meglio, rimanendo fedele a te stesso. Di come la testa faccia tanto, nel tennis come in ogni altro sport, come il rispetto e la discrezione abbiano sempre la meglio. “Soprattutto durante questo torneo ho capito quanto sia fondamentale l’aspetto mentale […] L’ultimo periodo è stato molto difficile, il mio team e le persone che mi sono vicine mi hanno supportato molto”. E poi Jannik si lascia andare a una dichiarazione, di quelle che nel loro essere semplici centrano una verità, di quelle assolute. Dice di amare il tennis ma di aver capito che c’è molto di più al di fuori del campo. Prosegue, infatti, dedicando la vittoria alla zia, la quale sta attraversando un periodo difficile in termini di salute.
È grato Jannik, di aver potuto condividere con lei questo traguardo, è grato di averla avuta accanto durante la sua crescita. E poi fa una cosa. Sull’Arthur Ashe Jannik Sinner augura a tutti la salute, nonostante sia consapevole che questa non sia sempre possibile. Un augurio, questo, che colpisce. Che a 23 anni Jannik Sinner è numero 1 al mondo e possiede un palmares invidiabile ma, come già detto, non sono i numeri a fare il giocatore, la persona. Sempre un occhio di riguardo per il suo team, la sua famiglia, il lato umano, relazionale, quello che a volte – con la cosiddetta celebrità – può venire a meno, quello che per il tennista di San Candido, invece, rimane un pilastro costante. A Melbourne concludeva il suo discorso dedicando delle parole ai suoi genitori, coloro che gli hanno sempre permesso di fare delle scelte privo di ogni pressione. Augurava a tutti i giovani di poter godere di questa libertà. A New York, la salute. E allora, come se ce ne fosse bisogno, abbiamo assistito all’ennesimo esempio di umanità da parte di un ragazzo che sui più importanti campi del mondo mette al primo posto gli altri. Ringrazia il pubblico, un pubblico che non si è animato fino al terzo set, quando c’è stato uno spiraglio di speranza per il californiano.
Che se Fritz stesso ha dovuto spingersi oltre per averne il supporto ‘rumoroso’, Jannik ne è stato scortato in finale, partita dopo partita. Lo possiamo ripetere, quindi, se c’è una cosa che Jannik Sinner sa fare è mettere tutti d’accordo. Persino Andre Agassi, che a 25 anni dal suo ultimo US Open (1999), torna sul centrale di Flushing Meadows e lo fa per la cerimonia di premiazione della finale maschile.
Lo fa per consegnare la coppa più importante a un ragazzo che 25 anni fa nemmeno era nato. È sorridente, che forse l’ex campione americano lo avrebbe fatto con tutti, ma ci piace pensare che anche lui, in fondo, riconosca in Jannik un qualcosa che è difficile da trovare altrove. Colui che ne ha preso le difese sul caso doping, quasi come a presagire il rito di passaggio avvenuto sull’Arthur Ashe.
L’errore dell’avversario, la vittoria. Sorrisi abbozzati, la compostezza delle braccia al cielo, il viso serio ma finalmente libero. Che sul cemento di Melbourne ci si era disteso, Jannik, mentre ieri guardava lontano, come a mettere un punto a una stagione che è ancora lontana dal termine ma che con questo titolo sembra aver sancito, confermato e consolidato una verità: il 2024 è stato e continua ad essere un capolavoro. Mentre Taylor Fritz lascia il centrale a testa bassa, in attesa di esiti migliori, Jannik continua a festeggiare. Giù il sipario sugli Slam di quest’anno, quindi, che quella generazione di cui Djokovic ne è ancora portavoce, forse, il tramonto lo sta per affrontare, che sono due i ragazzi di quella nuova che si sono spartiti in parti uguali i palcoscenici più famosi del tennis. Che, se uno è Carlos Alcaraz, l’altro è Jannik Sinner.