Jannik Sinner è solo, il suo animo è all’erta. Lo attende un compito arduo, come un macigno calato sopra il suo giovane cuore. Deve vincere sé stesso prima di riuscire a domare l’avversario di giornata in finale agli Us Open, Taylor Fritz, dentro quell’intricato labirinto in cui azioni e pensieri si intrecciano convulsamente alle emozioni. È lo scenario definito nel corso dei secoli partita di singolare, sfida in cui anticipo o inganno avviano la lotta tra due contendenti. La posta in palio è smisurata: il trono del tennis quale numero uno mondiale. Intanto, grida tumultuose salgono dal pubblico mentre Jannik percorre, passo dopo passo, gli ultimi metri fino alla luce accecante del campo centrale più grande del mondo. Regola il respiro e bisbigliando a bassa voce ripassa il piano. Un’idea in grado di prevedere la mente avversaria e le traiettorie capricciose della palla, musa del gioco imprevedibile ed eterna. Il suo potente influsso, capace di animare passioni assolute, attraversa il tempo. Dalla Roma imperiale in cui era di moda la “Pila Trigonalis”, gioco di battitori e di risponditori, agli studi di Leonardo da Vinci sul moto della palla stessa. E chi può dire se Galileo Galilei forse leggesse “De Ludo Globi” del filosofo Nicholas Causanus, o il “Trattato del Giuoco della Palla” dell’abate Antonio Scaino da Salò nei suoi momenti di otium operoso. Oppure, ancor più semplicemente, se tra una lezione e l’altra osservasse gli studenti dell’università di Padova dilettarsi nel gioco della Pallacorda, una pratica già molto diffusa nelle corti rinascimentali di tutta Europa. È un gioco, ma non per la sua mente vocata all’osservazione tenace e granulare di ogni elemento del creato. Eppure, il padre della scienza moderna deve affrontare la storica prova al cospetto dell’inquisitore Vincenzo Maculani per la sua opera “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, il tolemaico e il copernicano”. Pubblicazione in contrasto col pensiero aristotelico dominante nella élite del momento e, peggio ancora, col magistero della Chiesa. Dovrà giocare la sua più grande partita. E chissà, forse smentire sé stesso e il suo sapere, per potersi salvare la vita?
Curiosamente, in quel testo si osserva come le orbite planetarie siano illustrate anche attraverso il gioco della Pallacorda, autentico indiscutibile antesignano del tennis. “E di qui nasce la soluzione di quell’effetto che i giocatori di Pallacorda più esperti fanno a lor vantaggio, cioè d’ingannar l’avversario col trinciar la palla, cioè rimetterla con la racchetta obliqua, in modo che ella acquisti una vertigine in se stessa contraria al moto del proietto”.
In tal maniera, Galileo rileva i segreti delle rotazioni oggi note come back-spin, dove la palla rimandata in avanti verso il campo opposto vola in aria girando all’indietro.
“Dal che ne seguita che, nell’arrivare in terra, il balzo che andrebbe verso l’avversario resta come morto, la palla si schiaccia a terra e rompe il tempo della rimessa”.
Principi universali, validi nel passato così come nel presente in cui il futuro è già annunciato.
Se le vie del Signore sono infinite, quelle capaci di riflettere sconfinati orizzonti possono trovarsi in molti posti e dimensioni diversi. Del resto, quando si affronta la madre di tutte le partite, timori e insicurezze possono sabotare qualsiasi intento, anche quello di un formidabile agonista così come quello di uno straordinario scienziato.
Occorre allontanare la subdola traditrice: quella regressione cognitiva in grado di ridurre in polvere anche il più alto sapere, trasformando il più preparato e ardito combattente in un fanciullo sprovveduto. Questa è la parte oscura della partita, una e sempre diversa, a suo modo metafora della vita. Cosi in quella di ciascun singolo tennista la palla non potrà mai essere colpita due volte alla stessa maniera, nel medesimo preciso punto del tempo e dello spazio. In breve, ciò che essenzialmente conta non è la forma del gesto, ma il tempo sulla palla abbinato alle caratteristiche psicologiche, senso percettive, coordinative e fisiche individuali. Per queste semplici ragioni ogni racchetta è da sempre unica e irripetibile, e interpreta con modalità distinte sia l’azione tecnica, sia il gioco. Nessun tennista colpisce la palla esattamente come un altro. Un fatto noto e universale, e quindi fatto proprio da Jannik Sinner, per rappresentare scenicamente un nuovo tennis, grazie all’ausilio di materiali tecnologici innovativi. Un’evoluzione ancora in corso, accompagnata da una squadra d’eccellenza costruita intorno a competenze specifiche, aperte a quei principi di osservazione, analisi, sperimentazione e deduzione, introdotti proprio da Galileo.
Di fatto, nessuno tra i grandi campioni ha compiuto i progressi dell’italiano, in così breve tempo. Quando risponde, contiene affondi prorompenti e, se aggredito, sembra conoscere ogni via di fuga per sottrarsi all’offensiva avversaria, per poi contrattaccare. Nei momenti difficili, è il tennista che perde meno campo, mascherando le difficoltà. Se invece riesce a comandare l’azione, cannoneggia con l’artiglieria pesante, sia nella risposta, sia nello scambio. La seconda palla di servizio difende il “quindici” con percentuali sontuose; mentre la prima risolve situazioni complicate, facendo la differenza tra vittoria e sconfitta. A memoria, non ricordo un attaccante di rimbalzo tanto devastante, e nel contempo così abile nella fase difensiva. È quindi possibile affermare come lui sia un colpitore con le caratteristiche dell’incontrista. Per chi conosce un po’ di tennis, lui è come un Connors con le sembianze di un Djokovic, ma con i nervi di Borg. Una cosa mai vista. Un fuoriclasse autentico, un giovane capace di una maturità sorprendente. Forse la sua unicità risiede proprio nel mistero capace di renderlo psicologicamente evoluto. Di fatto, quando Jannik Sinner è in campo pare non avere ventitré anni, ma più di quattrocento, quasi fosse coetaneo di Galileo.