Danilo Petrucci nel 2021 si gioca tutto. O, per lo meno, si gioca una sella in MotoGP. Dopo un biennio lontano dalle aspettative di Borgo Panigale infatti, Petrucci ha trovato un accordo con KTM (di un anno soltanto) per correre nel team satellite. Una condizione che, se pensiamo agli anni in Ducati Pramac, al ternano ha sempre permesso di tirare fuori il massimo. Con meno pressioni dal box, un buon risultato diventa una sorpresa e smette di essere un obbligo. Manuel Pecino, giornalista spagnolo tra i più preparati sul motomondiale, lo ha intervistato per Motosprint: ecco i passaggi più interessanti.
"Mi ricordo molto bene la prima visita in fabbrica alla KTM: una giornata favolosa. - racconta Danilo - Mi portarono a mangiare, e poi andammo nel reparto corse, dove potevano lavorare sul motore perché ai tempi avevano ancora le concessioni. Però mi dissero che ero stato ingaggiato affinché la KTM perdesse quelle concessioni. Ma nemmeno due mesi dopo hanno vinto la prima gara, senza di me...Ammetto che avrei voluto essere il primo vincitore con la KTM, e invece è stato Brad Binder. Allora ho sperato di essere il primo pilota di Tech 3 a vincere in MotoGP, e invece è stato Oliveira... Però resta l’obiettivo di vincere, sono qui per questo".
Poi racconta che Gigi Dall’Igna lo avrebbe voluto in Superbike, ma che per il momento l’obiettivo è vincere le gare in MotoGP. Diversamente da quanto accaduto con Dovizioso però, i due si sono lasciati in buoni rapporti: "Io ho sempre avuto un buon rapporto con Gigi, anche se diverse volte mi ha proposto di passare alla Superbike, anziché continuare in MotoGP. L’ho sempre vissuto come uno stimolo per migliorare e per guadagnarmi la permanenza in MotoGP con i risultati. Quando Gigi mi chiamò per comunicarmi che era stata decisa la mia mancata conferma, mi augurò anche di trovare un posto da ufficiale, perché era ciò che meritavo. E secondo loro, Jack Miller era un giovane che meritava un’opportunità. Erano i primi di maggio, a due mesi e mezzo dal via del Mondiale, e così ho avuto la libertà di parlare con Aprilia e KTM. Con gli austriaci abbiamo chiuso in un giorno: è stata una sorpresa per me e per loro, che non si sono lasciati scappare la possibilità di ingaggiare un pilota libero che aveva vinto in MotoGP. Ed ero felice anch’io, con una KTM analoga alle ufficiali".
Tra i sei piloti che nel 2021 porteranno in pista la Desmosedici il favorito di Petrucci è l’australiano: “Penso che Miller sia il più forte al momento. I tre rookie, Jorge Martin, Enea Bastianini e Luca Marini, sono grandi talenti, ma non hanno l’esperienza. Jack è il più rapido, ha talento e a livello mentale non avrà problemi in certe situazioni. Credo che Jack sia il pilota ideale per la Ducati".
In seguito Danilo Petrucci ha fatto una riflessione sugli anni passati in Ducati: "Non rimpiango nulla. -ha detto Petrucci - Con il senno di poi si fanno tante valutazioni: avrei potuto vincere già con Pramac e avrei potuto fare meglio da ufficiale. Ma so di aver dato tutto. Cosa mi resta degli anni da ufficiale? Che in Ducati arrivare primo non è sufficiente, è un messaggio che ti viene trasmesso continuamente. È un’attitudine dura, che può rivelarsi utile in alcuni casi ma non funziona con tutti i piloti. In Pramac mi ero trovato molto bene, per due anni avevo guidato una moto come le ufficiali, quindi non ero un pilota factory ma avevo gli aggiornamenti e una moto di altissimo livello, e infatti andai più volte sul podio, lottando anche per vincere. Ma non sono mai stato il cavallo su cui scommettere, nemmeno quando ho vinto al Mugello, e nemmeno quando, un mese dopo, al Sachsenring avevo gli stessi punti di Dovizioso, un fatto che però era visto non attraverso meriti miei, ma i demeriti di Andrea, che non stava facendo bene. Ci rimasi male. In Ducati ti trasmettono sempre il fatto che devi essere orgoglioso di guidare la loro moto. Credo che invece sarebbe utile essere più vicini al pilota a livello umano. Ma non è lo stile della Ducati. I rapporti con i piloti vengono intesi sotto un profilo ingegneristico: se qualcosa non funziona, si cambia. Credono sempre che la moto sia la migliore, e se i risultati non lo confermano, il problema è relativo al pilota. È un qualcosa in cui secondo me devono migliorare, ma non è più una questione che mi riguarda".
Ad ogni modo Petrucci non ha firmato a cuor leggero con KTM. Salire su di una moto nuova e diversa - forse la più atipica per via delle sospensioni WP e del telaio tubolare - è stato una sorta di salto nel buio: "Considerando che la maggior parte dello sviluppo l’ha realizzata Dani Pedrosa, ero un po’ preoccupato, perché non è un pilota che frena forte, semmai controlla bene la moto in uscita di curva. Ma in KTM mi hanno tranquillizzato, spiegandomi che anche Pol Espargaró è forte in staccata come me. Per quanto ho potuto vedere in pista, il punto forte della KTM è il motore, anche se a stuzzicarmi è il fatto che sembri una moto molto completa. Se ripensiamo alle ultime gare della scorsa stagione, il più forte era Franco Morbidelli, con la moto più lenta. Alla fine conta avere la moto più equilibrata, il motore può aiutarti a vincere una gara ma non è tutto. Anzi, è più probabile che con un motore potente nascano problemi nel gestirlo".
Poi Petrucci racconta dell’approccio di Jorge Lorenzo alla Ducati, che negli anni in Pramac ha potuto seguire da vicino: "Per Jorge fu un percorso faticoso: con la Yamaha frenava presto, lasciava subito i freni e aveva una velocità di percorrenza della curva impressionante. Ma con la Ducati non poteva farlo, e poco a poco cambiò. Finì tante volte a terra, ma nel 2018 fece diverse gare impressionanti e vinse anche con la Ducati: faceva la differenza perché continuava a frenare poco, ma staccava più tardi rispetto a quando guidava la Yamaha. Io e Dovi vedevamo la sua telemetria e non capivamo come riuscisse a fare certe cose. Noi frenavamo più tardi di lui, ma per fermare la moto frenavamo di più, applicavamo maggiore pressione sul freno. Lui riusciva ad aiutarsi parecchio con il retrotreno per frenare. Io, però, non ho ancora provato la KTM: ci sono salito in sella tre volte, ma con la moto ferma. Una di queste occasioni è stata in galleria del vento, dove le ruote giravano, ma la moto non si muoveva...".
Infine, Danilo Petrucci parla anche dei due piloti che hanno segnato maggiormente il 2020: uno è Joan Mir, Campione del Mondo contro ogni previsione, l’altro è Marc Marquez che (suo malgrado) ha permesso alla Suzuki di vincere il titolo: "Il Mondiale di Mir è esattamente come tutti gli altri. Joan ha un talento incredibile, e a livello mentale ha mostrato di essere superiore. Non l’ho mai visto né troppo felice né infuriato, è sempre rimasto concentrato su ciò che serviva fare. E quando doveva vincere, ha vinto. Il suo tallone d’Achille è stata la qualifica, se fosse partito davanti più spesso, avrebbe vinto il Mondiale ancora prima e con maggiore vantaggio. Il suo è stato un titolo meritato. Marquez? Non so se vincerebbe con qualunque moto, però non ha paura di cadere. Gli altri, invece, quando sono al limite vedono riemergere l’istinto di conservazione: per la testa ti passa il pensiero che potresti farti male e pregiudicare la gara o la stagione. Marc invece non ha questi pensieri, lui ci prova sempre. Ed è il pilota di maggiore talento della MotoGP".