“Non ci sono avversari per Rea”, dice Max Temporali a fine di gara 1 a Magny-Cours, dove l’irlandese della Kawasaki si è preso l’ennesima vittoria importante sotto una pioggia torrenziale. “Vince sempre e comunque, nonostante tutte le possibili condizioni. Una volta c’erano piloti come Biaggi, gente che aveva vinto tanto nella MotoGP ed andava a misurarsi con piloti come Jonathan, ma adesso non c’è nessuno con quel background a sfidare Rea.”
Nel 2020 il Cannibale ha raggiunto il sesto titolo nella Superbike, un primato assoluto che va ad aggiungersi al resto del suo impero statistico: maggior numero di vittorie, di podi, di giri veloci in gara e di punti in campionato. Un dominatore.
Oggi come in passato, Rea ci ricorda una regola d’oro della boxe: non vince il lottatore che dà più pugni, ma quello che sa incassare meglio. Lo ha dimostrato con Alvaro Bautista nel 2019 quando lo spagnolo, dopo aver vinto dieci gare consecutive, si è perso tra litigi con la squadra ed un’inaspettata fragilità mentale. Rea ha incassato in silenzio, difendendosi al meglio delle sue possibilità ed aspettando che l’avversario abbassasse la guardia. E in quel momento, quando l’irlandese ha cominciato a rispondere, Alvaro si è fatto travolgere. Johnny ha fatto lo stesso nel 2020, al punto che ad Aragon abbiamo visto Scott Redding -suo principale contendente al titolo - entrare nel box piangendo a dirotto, frustrato per non essere riuscito a tenere testa al Cannibale. Non sono molti gli sportivi che hanno ridotto il proprio rivale in lacrime.
Poche settimane fa ha dichiarato che non correrà per sempre, ed è un altro schiaffo alla concorrenza. Perché lascia intendere che a poterlo fermare è solo la voglia di passare ad un'altra vita. Non certo un pilota più giovane, veloce e affamato di lui.
La gara di Magny-Cours di quest’anno non è il suo capolavoro, ma una carta d’identità fedele al suo personaggio: una sintesi perfetta del suo stile, della costanza impugnata come un’arma per schiacciare gli avversari. Prima di vincere in pista ha vinto dentro al casco, in una sfida di nervi contro un Loris Baz coriaceo ma -verrebbe da dire- troppo umano per uno come Johnny. Perché il Cannibale non sbaglia quasi mai, nemmeno con un avversario attaccato al cordone per gran parte della gara. Sotto la pioggia, a cercare di imporre il ritmo, la sua Kawasaki era stabile come se stesse guidando sull’asciutto. E se insegui aspettando solo un piccolo errore che non arriva mai, quell’errore prima o poi lo farai tu. L'irlandese non è il più veloce di ogni turno in ogni Gran Premio e non è certo esplosivo come sa esserlo Marc Marquez, ma allo spegnersi del semaforo è l’unico che sarebbe in grado di portare la moto al traguardo anche correndo su di una lastra di ghiaccio.
Forse è vero che a Jonathan Rea mancano dei veri avversari. Perché Scott Redding è veloce, ambizioso e pieno di talento, ma non ha il peso psicologico su cui può contare un campione del mondo. Roba che Max Biaggi, arrivato in Superbike con 4 mondiali in 250 e diverse stagioni in 500, non si è mai fatto mancare.
C’è chi dice che dovrebbe correre in MotoGP, magari partendo da un buon team satellite per poi lanciarsi verso la caccia al mondiale. A noi sembra, però, che parte della grandezza di Rea stia proprio nella dimensione in cui si trova: una Casa che ti offre una sorta di contratto a vita, una moto competitiva ed il numero uno sul cupolino (a cui lui non ha mai rinunciato nonostante ormai vada di moda farlo), sono parti di un’armatura micidiale per incassare le botte dagli altri. E, al momento di restituire il favore, nessuno è in grado di farlo come lui.