Secondo Carl Fogarty, Scott Redding è uno dei pochissimi piloti in grado di esportare all’estero la follia britannica, un testimonial migliore anche di Crutchlow e Miller. E, piaccia o meno, è uno degli ottimi motivi per guardare una Superbike dominata da Jonathan Rea. Perché Scott è un irregolare, un hooligan prestato alle due ruote, una rockstar della manetta.
La passione è quella del padre, a sua volta pilota, e l’amore per le corse autentico. Così come la voglia di godersi la vita fino a farsi odiare dal paddock della MotoGP quando, al suo ultimo anno in Aprilia, era diventato più un buffone televisivo che un pilota di moto. Il corrispettivo su due ruote di Pedro dell’Eredità che, frustrato per le domande di Amadeus, rispondeva ‘per me è la cipolla’ in diretta nazionale. Per Scott quelle domande erano una moto poco competitiva, con la quale arrivava (le rare volte in cui riusciva a finire la gara) lontanissimo dai primi.
A questa frustrazione ha risposto con capelli tinti di viola e biondo platino raccolti in una treccia, striptease in pista e casco a grattare l’asfalto. Il risultato? L’immagine del motomondiale, sempre più pulita e sterile, messa in discussione dal pilota dell’ultima fila. Per questo piace tanto a King Carl. E, allo stesso modo, anche gli appassionati hanno cominciato ad amarlo, mentre si comportava come un ventenne palesemente ubriaco alla cena di natale coi parenti. Uno che non ha più niente da perdere e vuole fare un gran casino prima di andarsene. “Forse mi darò alla boxe - dichiarava al tempo - non ho idea di come poter continuare a vivere in un ambiente che odio”.
Così, quando la MotoGP l’ha sputato come un nocciolo d’oliva, lui è tornato a guidare, ripartendo dal basso. Si è riciclato nel BSB, il campionato nazionale inglese, dove il livello era ben diverso e ad ogni gara aveva la possibilità di giocarsi la vittoria. Al contempo però, perdere lì avrebbe significato chiudere la carriera da pilota professionista. Niente elettronica e piste per lo più nuove non gli hanno impedito di vincere il titolo, ritrovando la voglia di guidare di un ragazzino.
A quel punto, nello scetticismo generale, Scott è approdato in Superbike con la Ducati ufficiale rimasta orfana di Alvaro Bautista. Chi lavora con lui racconta di una persona diversa dal ragazzo che si lancia dalle scale di casa con una bici da corsa con l'unico intento di farsi male: Redding ci crede, lavora instancabilmente alla sua forma fisica e mentale, studia le strategie. Ci mette tutto sé stesso. Quando è caduto in gara 1 ad Aragon è andato nel retrobox, si è tolto il casco ed ha pianto fragorosamente con le telecamere che cercano di catturare più lacrime possibili. Perché voleva vincere e basta, l’idea di arrivare secondo era più un incubo che un buon obiettivo.
Oggi Scott Redding compie 28 anni e li festeggia in California con la compagna Jacey Hayden, preparandosi al suo secondo anno nel mondiale delle derivate di serie. Sarà al via per vincere a tutti i costi, pronto a tagliarsi una falange del mignolo pur di correre come fece Troy Bayliss. Se dovesse farcela, entrerebbe nella storia come uno dei ducatisti più veri di sempre. Perché dovrebbe farcela contro Jonathan Rea, genio del calcolo e della precisione, battendolo con il cuore e la follia. Una faccenda che un inglese può capire e che a Borgo Panigale vogliono celebrare. Gli sbandati hanno perso la guerra? Può darsi, ma per Scott Redding è ancora tutto in gioco.