“Nessuno torna dalla Dakar come è partito. In Africa avevo scoperto l’amicizia, la fiducia tra la gente, ma soprattutto avevo capito che quella era la vita che volevo vivere. Ero partito ragazzo, sono tornato un uomo.”
L'anno scorso sul bivacco della Dakar avevo avuto l’onore di conoscere Hubert, vera leggenda della Dakar che – suo malgrado aveva raccolto il testimone alla guida della folle corsa per quasi un decennio (1995- 2003). Carismatico come Thierry Sabine, Hubert Auriol mi aveva colpito per il sorriso e la sua semplicità.
I suoi occhi chiari brillavano ogni volta che la mente tornava in Africa, terra in cui aveva mosso i primi passi (era nato infatti ad Addis Abeba) e che ha poi riscoperto con il rally. Re della Dakar, per me Hubert Auriol incarna il coraggio di perseguire le proprie passioni, senza pensare ad un immediato ritorno, sia economico, sia di approvazione sociale. Mai sazia dei suoi racconti, che mi facevano sorvolare il tenerè, mi sono fatta raccontare ancora una volta, come il mito della Paris-Dakar ha avuto inizio. “Erano gli Anni 70, non c’era internet e eravamo assetati di viaggi. L’Africa rappresentava il mistero”, mi ha raccontato Hubert, “lavoravo nell’industria tessile. Ero piuttosto annoiato della routine dell’ufficio quando tramite amici venni a conoscenza dell’organizzazione di una gara in Africa. Decisi di incontrare Thierry Sabine nel novembre del 1978. Cosa mi colpì di lui? Mi disse: 'devi venire'. Non posi tante domande, bastarono quelle semplici parole a convincermi. Certo ci vuole coraggio ed un bel po’ di follia. Ma amavo viaggiare ed eravamo pronti a seguire l’idea di questo grande visionario.”
Il giorno dopo il Natale del 1978, Auriol allora 25enne, si presentò all’appuntamento al Trocadero. Si era appena comprato una moto e licenziato dal lavoro, perché il capo ufficio non voleva concedergli tre settimane di ferie.
Inseguiva un sogno: l’Africa. Quel giorno cambiò per sempre la sua vita. Mai avrebbe immaginato di vincerla due anni dopo in moto (1981), di trionfare anche in auto e di diventarne il direttore per quasi un decennio (1995-2003).
Oggi la notizia della scomparsa del francese, 68 anni, erede di Thierry Sabine, ha scosso tutti al bivacco di Sakaka, dai piloti, la stampa a David Castera, 48 anni, dallo scorso anno il nuovo direttore del rally. “Negli Anni 80, è Hubert che mi ha ispirato. Lo conoscevo fin da bambino perché mio padre era il suo meccanico e ho iniziato a correre col numero 5 in suo onore”, racconta Castera all’arrivo al bivacco. “ho appreso la notizia mentre stavo sorvolando la corsa in elicottero e faccio ancora fatica ad esprimere le mie emozioni. Lo scorso anno è stato con me un giorno interno in elicottero. E’ stato un momento speciale che racchiudeva 40 anni di storia della Dakar. E’ stato Hubert a mettermi sulle orme di Thierry Sabine”. Thierry Sabine, Hubert Auriol ed oggi David Castera, che accetta il passaggio di testimone con fierezza e un profondo senso di responsabilità. “Sento forte la responsabilità di questa corsa folle e ostile che concede pochi errori. I concorrenti ne sono consapevoli e accettano la sfida. Ne sento però il peso e cerco di fare del mio meglio, con umiltà”.