Annunciata nel weekend di Abu Dhabi, poche settimane dopo la notizia della cancellazione della W Series per motivi finanziari, ecco la “F1 Academy”, la nuova proposta della Formula Uno per “preparare le giovani piloti donne” a competere nelle più alte categorie del motorsport. Nascerà nel 2023 e vedrà 15 ragazze sfidarsi in 7 round da tre gare ciascuno (uno di questi si svolgerà nello stesso fine settimana in cui correrà la Formula Uno). I team in competizione saranno 5, tutti già presenti nelle griglie di Formula 2 e 3: l’ART Grand Prix, Campos Racing, Carlin, MP Motorsport e, dulcis in fundo, la Prema Racing. La F1 Academy, si tiene a sottolineare, non sostituirà la W Series (di cui sentiamo parlare per la prima volta dalla cancellazione), ma sarà un gradino per accedervi. Finalmente vedremo nuovamente le donne approdare, dopo quasi 10 anni, nella massima categoria del motorsport?
Già il nome non è di buon auspicio se si considera che, nel mondo della Formula Uno, le cosiddette “Academy” non funzionano quasi mai. Basta vedere il triangolo Alpine-Piastri-McLaren, la FDA che non ha più alcun pilota nei team satelliti Ferrari o Red Bull che ha preferito mettere sotto contratto De Vries (pilota Mercedes, 27 anni), prima di scegliere tra i giovani del suo vivaio. Insomma, le Academy promettono mari e monti, dimenticando però che i piloti per team sono due e che di moltiplicazioni, fino ad ora, c’è stata solo quella dei pani e dei pesci.
Andando oltre i pronostici iniziali, c’è anche da dire che questa vetrina si presenta più come una nuova categoria all-female tra la Formula 4 e la Formula 3 che un’Academy. La Formula Uno giustifica l’aggiunta di questo nuovo step only-for-women, perché “dopo aver valutato le barriere che le giovani donne devono affrontare, è chiaro che non hanno la stessa esperienza dei loro colleghi maschi alla stessa età”. E, se fino ad adesso avevamo creduto che dietro a questo progetto ci fosse la seria intenzione di aiutare e sostenere le donne nel loro percorso nel motosport, dopo queste parole è il caso di iniziare a chiedersi se, alla Formula Uno, il problema delle presenze femminili in questo sport effettivamente interessi.
Non solo la Formula Uno, parlando di esperienza, ignora gli anni che le ragazze passano a competere nei Kart, in Formula 4 e in FRECA, insieme e al pari dei ragazzi, come è giusto che ogni aspirante pilota faccia. Ma propone una soluzione senza prima effettivamente chiedersi “Perché le donne non riescono ad arrivare in Formula Uno?”. Certo, quesito non da poco, ma a cui urge iniziare a dare una risposta concreta. Una delle motivazioni, per esempio, sono gli sponsor, che ormai influenzano pesantemente il passaggio di un pilota da una categoria all’altra. E questo problema tocca chiunque, indipendentemente dal genere, fino a diventare palese nell’analisi dei rookie che esordiscono in Formula Uno: nel 2021 Nikita Mazepin riuscì a fare il grande salto in Haas grazie ai soldi portati da Uralkali, così come è risaputo che l’anno scorso Guanyu Zhou sia riuscito a soffiare il posto a Giovinazzi grazie alle pesanti cifre offerte dai suoi sponsor cinesi.
Che le categorie “femminili” e le aspiranti piloti non abbiano sponsor abbastanza importanti di cui avvalersi lo rende evidente il fatto che la W Series abbia chiuso i battenti prematuramente proprio per problemi di natura pecuniaria. Inoltre Jamie Chadwick, tre volte campionessa della W Series, ha dichiarato di non aver trovato posto in Formula 3 perché, appunto, non ha trovato alcun sponsor disposto a investire su di lei. La ragione di questo fenomeno? Il pregiudizio sulla figura della donna-pilota forse, che porta a considerare gli investimenti su un pilota di genere maschile molto più sicuri (considerando anche che, purtroppo, è da 30 anni che una donna non partecipa ad un Gran Premio di Formula Uno).
E mentre la Formula Uno inserisce la F1 Academy nella sezione “Diversità e Inclusione” dell’agenda “Net Zero 2030”, la Chadwick vola verso l’America per rincominciare la sua carriera dall’Indy NXT, lasciandosi alle spalle proprio quella Formula Uno, che forse non l’ha aiutata abbastanza.