L’umanità la trovi ovunque. E la trovi pure dentro una gara di moto che segna, per tutti, il primo successo in MotoGP dell’Aprilia e di Aleix Espargarò e che nasconde, come significato che resta nell’ombra, una storia che è, appunto, di rara umanità. Gelosamente custodita fino al momento opportuno. Garbatamente raccontata quando quel momento è arrivato. E è arrivato in Argentina, a Termas de Rio Hondo, quando Aleix Espargarò e la sua Aprilia, che era il brutto anatroccolo e che adesso è un cigno, hanno tagliato per primi il traguardo per la prima volta nella loro storia di marchio e di pilota. Roba che poteva bastare per parlare di una emozione. E invece no, perché c’è un’altra storia sotto che aspettava proprio quel momento lì, proprio quell’emozione lì. Zaini di ricordi che si svuotano. Zampate di umanità che stanno pure nelle vite di uomini e di sportivi che, nell’immaginario di tutti, sono rozzi, sporchi e pure un po’ cattivi a causa di quel modo lì di giocare sempre a non prendere sul serio la morte. A raccontarla, questa storia, è stato Jorge Martin, il fenomeno della Ducati che c’ha provato fino alla fine a togliere questa gioia immensa all’Aprilia e a Espargarò, ma che poi ha detto di non essere mai stato così contento di “aver perso” (che poi un secondo posto è perdere?).
I piloti sono così: animali che si ammazzerebbero quando il cuore batte forte e il motore gira di più e che si riscoprono uomini, capaci anche di quel sentimento meraviglioso e che è vero presupposto della concreta libertà che è la riconoscenza. Lui, Jorge Martin, ha dimostrato di esserne capace, perché Aleix Espargarò ha rappresentato tanto nella sua vita e, in qualche modo, è stato condizione incidentale, ma necessaria, perché anche la storia di Jorge Martin nascesse davvero. “Aleix mi ha dato una casa, sostegno e mezzi, quando io e la mia famiglia non avevamo niente e, anzi, avevamo solo il sogno di correre in moto sul serio – ha raccontato il giovane spagnolo della Ducati - Rovinargli la festa è stata la mia intenzione fino all’ultimo, perché un pilota vuole sempre vincere, ma adesso sono la persona più felice del mondo di aver perso. Io me lo ricordo quello che Aleix ha fatto per me, non provare a batterlo, però, avrebbe significato mancare anche alle cose che lui stesso mi ha insegnato”. Adesso gli ha insegnato anche che la sconfitta può avere un sapore dolcissimo quando il retrogusto è quello dell’umanità.
E’ come una favola dentro un accadimento sportivo che tutti abbiamo descritto come favola e che, invece, è meta di gioia di un percorso di lavoro, di fatica, di visione e di provarci sempre, anche quando va tutto male e sembra che non ci sia nulla che possa far andare dritte le cose.
Ma quando non c’è nulla, c’è, appunto, la capacità di vedere bellezza e umanità. E Aprilia lo ha fatto senza appoggi esterni - perché i cavalletti servono al limite a stare fermi e diventano solo bisogno contro la paura che ogni rischio comporta - dentro la propria storia di marchio che ha le corse nel DNA; Aleix Espargarò lo ha fatto credendo convintamente di riuscire anche quando a credere in Aleix Espargarò c’era rimasto solo Aleix Espargarò . Dando anche una mano a un ragazzino che sembrava bravo, che s’è dimostrato bravissimo e che ora ha pure provato a batterlo e a rovinargli la prima vera festa della sua carriera, come segnale di riconoscimento dell’onore. In quel “provo a batterti nonostante tutto quello che tu hai fatto per me” pensato e detto dentro il casco da Jorge Martin c’è bellezza e umanità, perché c’è la dimostrazione che “chi lascia vincere qualcun altro senza provarci” non è superiore, ma è perdente. Che non è un messaggio da poco. Insomma: è essenza dello sport, del motorsport ancora di più e della vita più che mai. Non si può smettere di prenderne atto ora che persino l’Aprilia e Aleix Espargarò vincono in MotoGP. Adesso che la forza l’hanno cercata fino a trovarla, l’hanno allevata fino a farla esplodere, dentro loro stessi e basta.