Discusso, divisivo, con la sua personalissima visione del mondo, che quasi sempre coincide con la visione del mondo del nazionalismo serbo. Sta facendo ovviamente discutere la posizione assunta da Novak Djokovic, quel “Kosovo è il cuore della Serbia, fermate le violenze”, scritto con il pennarello sulla telecamera, dopo il successo al primo turno del Roland Garros, a Parigi. Il riferimento è a quanto sta avvenendo nel piccolo paese balcanico che si è dichiarato indipendente nel 2008, non riconosciuto dalle autorità serbe e dove da giorni si susseguono episodi di violenza per l’insediamento di quattro sindaci di etnia albanese in cittadine a maggioranza serba. A Zavcan, una delle città della discordia, durante le proteste sono stati feriti 30 soldati (14 italiani) della missione Nato in Kosovo. L’ultima posizione contraria all’intervento politico di Djokovic è arrivato dal ministro dello sport francese, Amelie Oudéa-Castera, secondo cui il messaggio di Djokovic è stato "inappropriato, militante e molto politico”.
In precedenza, la federazione tennistica del Kosovo ha criticato molto duramente Djokovic e ha chiesto agli organizzatori del Roland Garros e all’associazione dei tennisti professionisti (ATP) di punire il tennista serbo. La federazione tennistica francese, che organizza il Roland Garros, ha però fatto sapere che non ci sono regole che proibiscono ai giocatori di mandare messaggi politici. Quindi, nessuna punizione all’orizzonte per il fuoriclasse serbo. L’appello di Djokovic, tra l’altro, segue un altro momento politicamente rilevante al torneo francese per il rifiuto dell’ucraina Kostyuk a stringere la mano alla bielorussa Sabalenka, tra i fischi del campo centrale. Djokovic è un personaggio forte, controverso, che non nasconde mai il suo pensiero. È legatissimo alla Serbia, in Serbia è considerato un eroe nazionale. Il patto è stato sancito attraverso la chiesa ortodossa: nel 2011 è stato insignito dell’Ordine di San Sava, il più prestigioso in Serbia. Non è certo il primo fuoriclasse dello sport mondiale che ci tiene a far sentire la sua voce. Da Muhammad Alì a Diego Maradona, senza contare gli sportivi che hanno lanciato messaggi fortissimi alle Olimpiadi, la narrativa è colma di personaggi che hanno saputo far discutere, anche riflettere, non solo per le prodezze sul campo. Ma la posizione di Djokovic va anche contestualizzata: suo padre, Srdjan, è nato a Mitrovica, oggi nel nord del Kosovo e che è abitata in prevalenza da persone di etnia serba. In passato il fenomeno serbo aveva già parlato dell’appartenenza del Kosovo alla Serbia. Tra l’altro, era stato anche accusato di essere in ottimi rapporti con alcuni leader nazionalisti serbi: dalla foto, nel settembre del 2021, al matrimonio di Milorad Dodik, il presidente della Bosnia-Erzegovina espresso dall’etnia serba. A seguire, un’altra foto discussa con un ex comandante dell’esercito serbo coinvolto nel massacro di Srebrenica.
Un’altra istantanea invece ha coinvolto il padre di Djokovic, che un anno fa ha sventolato, in compagnia di alcuni tifosi russi, una bandiera con il volto di Vladimir Putin, dopo una partita tra Djokovic e Rublev. L’ennesima polemica su Djokovic arriva dopo la caduta dell’ultimo ostacolo alla sua palese campagna novax che è partita poco dopo il via alla fase pandemica: potrà tornare a giocare anche negli Stati Uniti, dove sino a qualche settimana fa serviva la certificazione vaccinale agli stranieri in arrivo sul suolo americano. L’avversione di Djokovic alla vaccinazione Covid-19, sebbene il serbo si sia difeso dall’accusa di essere un novax, l’ha portato addirittura alla detenzione nel gennaio 2022 in Australia (certificato fasullo per partecipare all’Open di Australia) e al bando dai tornei americani.