Un vecchio saggio diceva che nel tennis i problemi cominciano quando vinci il primo set 6-0. Jannik Sinner è reduce addirittura da un 6-0 6-1 inflitto a Casper Ruud nei quarti di finale di Roma. A ventiquattr'ore di distanza, la semi contro Tommy Paul - regolarista che non si discosta eccessivamente dal gioco del norvegese - sembra una pura formalità. Scontato che Jannik vinca ancora in maniera netta, impossibile immaginare un copione diverso da quello che tutti hanno prefissato in testa: la finale contro Carlos Alcaraz.
Invece dopo i primi sette minuti di partita Sinner è già visibilmente sudato, in maniera quasi anomala. Non ha dovuto affrontare scambi lunghi, è vestito di nero da testa a piedi ma non gioca sotto il sole: l'orologio segna le 21, sul Lungotevere hanno appena acceso i lampioni. Pochi metri più in là e, nel Centrale del Foro, undicimila persone indossano golfini e giacchette, stanno a braccia conserte o muovono la gambetta, non per la tensione ma perché queste serate romane di maggio inoltrato sono subdole: il tramonto rosso dietro Monte Mario ti inganna, profuma d'estate, ma poi rilascia un'umidità che si amalgama benissimo col ponentino ispido e prematuro, infilzandoti proprio lì, tra capo e collo. Passano altri venti minuti e Sinner è spalle al muro, mentre il tabellone assegna uno smargiasso 6-1 in favore di Paul.
Per Tommy, che nella off season derapa col trattore tra polli e pecore della fattoria di famiglia nel South Jersey, Roma è una seconda casa. Reilly Opelka gli ha trasmesso l'amore per la Lazio, lui l'ha coltivato alla sua maniera, idolatrando Ciro Immobile - che chiama "Immobail" - e prendendo la buona abitudine di stilare il bilancio di fine stagione in compagnia di una gricia e di selezionatissimi aficionados biancocelesti, che lo accolgono a braccia aperte alla Canottieri affiliata, dove Paul prepara ogni edizione degli Internazionali d'Italia. L'anno scorso solo un illuminato Nicolas Jarry lo privò della finale contro Zverev, ma la sostanza non cambia. Tommy nella capitale si riscopre spensierato, si dimentica dei problemi, anzi li risolve immagazzinando vittorie e saldando i debiti pendenti. Il Ford F-150, adorato pick-up che gli ufficiali giudiziari della Florida gli hanno pignorato "per la mancanza di un paio di rate", è tornato subito nelle mani del suo manager, prontamente spedito oltreoceano per sistemare la questione. Con la vita che gli sorride, Tommy Paul gioca meglio anche a tennis: serve prime, lascia andare il suo dritto filante, tiene i piedi dentro al campo, si fomenta se un romanista lo insulta, si rasserena se dagli spalti gli canticchiano "vola un'aquila nel cielo...". Achille Lauro prima del match aveva scaldato l'atmosfera del Centrale con "Incoscienti giovani", Tommy non è più uno sgarzolino e pretende una sola cosa da se stesso: non fare la fine di Ruud.
Infatti sta per combinarla grossa, Tommy Paul. In meno di mezz'ora ammutolisce il Foro, facendo sembrare Sinner lento, impacciato, preda di una serata no. A questo punto Jannik sente il fiato di tutta Italia che gli grava sul groppone, che gli si arrampica sulle spalle, che gli sussurra ossessivamente: "Svegliaci dall'incubo, devi andare in finale, devi ribaltare la partita, vinci per favore". Le sente tutte queste vocine quando va a servire all'inizio del secondo set ma, mentre un giocatore normale verrebbe schiacciato e travolto da una pressione del genere, Jannik riesce a sbloccare gambe e braccio, a nutrirsi delle paure di Paul, che più si avvicina alla carrambata più portentosa della sua carriera e più le palline si aggrovigliano sul suo piatto corde. Per ristabilire le distanze sono sufficienti un paio di contropiedi col rovescio lungolinea, un paio di dritti che accarezzano i 160 km/h e un passante in corsa che rispedisce nella gola di Paul un attacco giocato all'incrocio delle righe: 6-0 Sinner.
Nel terzo set Jannik torna a traballare, ma per questioni più fisiche che tecniche. Si tocca il flessore della coscia destra, subisce un controbreak, i movimenti non sono fluidi, zoppica tra un punto e l'altro. A Sky gli fanno la TAC, mandando in onda l'ingrandimento della vescica che si staglia sulla pianta del piede destro. Il problema sembra però diverso, di origine muscolare, anche se Sinner darà un colpo al cerchio e uno alla botte, dichiarando che la contrattura patita è un effetto della vescica, che lo costringe a distribuire il peso in maniera innaturale. Lo dirà dopo aver vinto la ventiseisima partita consecutiva, che doveva essere una passeggiata e invece è rimasta appesa fino all'ultimo sul filo della psicosi collettiva. Alla fine l'ha portata a casa, ed è l'unica cosa che conta, insieme al fatto che domenica avremo la finale che tanto bramavamo: Carlos Alcaraz da una parte, un italiano in finale a Roma 47 anni dopo l'ultima volta dall'altra. Tommy Paul, dopotutto, riavrà il suo pick-up e sarà incondizionatamente amato da una delle due sponde della città più bella del mondo.