L’Aprilia è roba d’altri tempi nel mondo di oggi. Quando l’Aprilia sbaglia, nelle corse come nella produzione, lo fa per aver dato retta al cuore. Nessuno fa qualcosa di simile. A Noale le moto sanno farle. Veloci, tecnologiche, spesso di riferimento per la categoria. Pensate a Tuono, ad RSV4. Ma anche alle più piccole, le 660, che hanno rimesso in piedi un mercato che prima non c’era. Gli altri inseguono - per fortuna - ma a spiegare al mondo quanti cavalli servano per godere sul serio è toccato a loro. E presto, forse in ritardo rispetto alle previsioni pre pandemiche, arriverà anche la Touareg.
L’Aprilia tratta i piloti della MotoGP come non fa nessun altro. Con Andrea Iannone sotto processo hanno deciso di aspettare. Male per il marketing e malissimo per l’organizzazione, certo, ma un primato di umanità. Anche se con l’umanità non si vincono i premi nella vita, figuriamoci nel motorsport. Oggi, dopo aver offerto una sella ai migliori della Moto2, stanno lavorando per portarsi a casa Andrea Dovizioso. Pare che sia fatta. Pare soltanto però, perché il pilota non è del tutto convinto. Impossibile biasimarlo: a 35 anni, di cui più della metà passati nel motomondiale, ricominciare da zero dev’essere come alzarsi dal letto un lunedì mattina di febbraio. Questo la casa veneta lo sa e quindi pazienta, ma va detto che neanche la Honda riserva un trattamento simile a Marc Marquez. O ancora, in Aprilia hanno messo sotto contratto Lorenzo Savadori preferendolo a Bradley Smith perché l’italiano è felice di esserci. L’inglese magari poteva girare più forte - anche se a Le Mans Savadori ha ripreso in mano la sua stagione - ma guidava la moto per lavoro. Lorenzo invece, dicono dal box, è un ragazzo d’oro. Non era la scelta più facile ma di certo è la più giusta.
L’Aprilia però è anche altro. È un marchio che ha vinto 54 titoli mondiali da cui sono passati tutti i grandi. Te ne accorgi guardando le immagini delle giornate organizzate in pista, gli All Stars, o tornando indietro con la memoria: Biaggi, Rossi, Capirossi. La trinità dei tempi d’oro del motociclismo italiano. Tutti passati da lì, assieme a molti altri, tutti a guidare le RSV 125 e 250 che tingevano di azzurro la pitlane mentre i meccanici scaldavano il motore. Ora, nelle gerarchie del motomondiale, sono quelli che gli americani chiamano underdog, venuti fuori dal niente per fare a cazzotti con i mostri sacri. Adesso però pare chiaro a tutti che arriveranno. Dopo aver sofferto, dopo gli errori e i lunghi anni di sviluppo.
L’Aprilia, per molti di noi, è la moto che sognavi da ragazzo quando una moto non te la potevi permettere, tanto per mancanza di liquidi quanto per lo stato, perché la patente arrivava solo in seguito ad anni passati a sgranare gli occhi a cospetto delle RS elaborate sul lungomare o davanti alla scuola. L’Aprilia, che ci si chiede sempre dove stia andando, sta mirando al cuore. Di chi ne vede una e se ne innamora, di chi comprerebbe una 660 per ricordarsi della 125 o perché è stufo del solito paradigma. Punta anche al cuore di chi guarda le corse perché è una piccola casa italiana (c’è Piaggio a Pontedera, ma le moto le fanno ancora a Noale) che si scontra con un mondo feroce come ai tempi che furono.
Ecco perché dell’Aprilia, alla fine, finisci per innamorarti un po’. È come andare ad una rimpatriata del liceo con la convinzione che sarà tutto un Compagni di Scuola di Verdone quando invece, a ben vedere, non è cambiato nulla: si, non ci sono più le RS due tempi, ma le moto per godere della strada che hai davanti - e della pista in cui vai a correre - ci sono ancora. E si, l’Aprilia non domina nella MotoGP ma sta facendo l’impossible per riuscirci. E lo sta facendo mettendo il cuore davanti a tutto il resto.