Sono in sala stampa a Valencia, è l’ultima gara dell’anno. Alessandro Barlozzi di Michelin si avvicina al mio tavolo e ci sbatte forte una mano con lo stesso temperamento di Antonino Cannavacciuolo e Mario Brega: “Quest’anno ti porto in fabbrica a vedere le gomme”. Quest’uomo, Alessandro Barlozzi, padroneggia l’arte del vivere ed è probabilmente l’unico vero PR rimasto nel motociclismo, che poi è il motivo per cui riesci a credere senza troppi problemi a qualunque cosa ti racconti. Alessandro, che su LinkedIn si identifica come Head of Michelin Motorsport Media, gira per i circuiti di tutto il mondo scrivendo comunicati stampa dalla vena artistica. È uno che non ti risponderà mai a monosillabi, perché ha sia l’entusiasmo che serve per il mestiere che il cinismo di chi il mestiere ha imparato a farlo da tempo.
Finisce il mondiale, finisce l’anno, l’invito resta in sospeso. Sono i primi di febbraio quando vengo contattato prima da Alessandro e poi da Natacha, di Michelin, che sta organizzando il viaggio stampa a Clermont-Ferrand promesso a novembre e chiede due cose: da dove vuoi partire e che numero di scarpe porti. Un paio di settimane più tardi sono su di un aereo per Parigi. Faccio scalo lì per Clermont-Ferrand, in aeroporto incontro i primi colleghi. Scoprirò più tardi che saremo un totale di quindici giornalisti venuti da tutto il mondo, per la metà francesi. Tutto considerato e rispetto alla media siamo davvero in pochi.
In hotel ritrovo Alessandro, che offre a tutti uno champagne, in compagnia di Matthieu Bonardel (Direttore di Michelin Motorsport), Nora Vass (Direttore Marketing Michelin Motorsport) e Piero Taramasso (Michelin 2R Competition Manager, ovvero responsabile sul campo di gara del progetto MotoGP). Prima di cena viene fuori che dall’ultima volta che era stato organizzato un evento del genere sono passati vent’anni, solo che all’epoca si trattava di pneumatici da strada. Qualcuno che al tempo c’era se lo ricorda anche. Ci raccontano anche che chi lavora in pista lo stabilimento che visiteremo non lo può vedere, che Matthieu Bonardel ha dovuto chiedere per favore di farci entrare ai suoi (pochi) superiori. Dalle facce di questi signori capiamo che è vero. La cena è ottima: roba francese molto elaborata, salse di ogni genere, il cervo come portata principale e dell’ottimo vino a corredo. La mattina la sveglia suona presto. Vengono a prenderci con un paio di navette che ci portano nella sede di Les Gravanchens dove, per l'appunto, vengono costruite tutte le gomme posteriori della MotoGP.
Una volta arrivati ci fanno levare le scarpe, gli anelli, altra roba. Ci fanno poi firmare un NDA che in diverse pagine esprime un solo, importantissimo concetto: se esci da lì con qualche foto non autorizzata quella foto ti conviene venderla abbastanza bene da ricomprarti un posto in cui stare, perché gli avvocati due Michelin ti toglieranno tutto. “È la prima volta che invitiamo qualcuno a fare questa cosa e speriamo non sia l’ultima”, dice qualcuno per rimarcare il concetto. Capiamo tutti abbastanza in fretta che la giornata sarà intensa, con una visita dell’intero processo produttivo la mattina e un tour della zona dedicata a ricerca e sviluppo il pomeriggio. All’inizio ti chiedi come farai a raccontare una bella storia senza le foto, alla fine capisci che c’è fin troppa roba da mettere assieme e, soprattutto, che le foto le hanno fatte loro per te dove si poteva.
Le grosse verità di Michelin: il talento segreto di Mr. Rossi, l’aria secca in griglia e la vera differenza tra diversi bar
Quante e perché: Michelin produce 20.000 pneumatici in una stagione di MotoGP. Ad ogni weekend di gara ne porta 1.200 e ne vengono utilizzate la metà. Quello che deve restituire l’anteriore è il feedback, il feeling, perché devi sentire la gomma e poterti fidare. Il posteriore invece, su cui vengono scaricati poco meno di trecento cavalli, è tutto performance. La gomma dietro è ferro, quella davanti piuma.
Tra una gomma anteriore a 1.80 bar di pressione (il minimo consentito) e una a 2.10 bar, la differenza di prestazioni in termini di tempo sul giro è di un centesimo di secondo, un niente, eppure i piloti non fanno che lamentarsi dello sbalzo di pressione. Questo perché a cambiare è il feeling del pilot più che la prestazione della gomma. I più bravi si accorgono che la pressione sta salendo, che la moto va guidata un po’ diversamente e si adattano alle nuove reazioni dell’avantreno, dunque se hai talento per capire la gomma non andrai molto più piano. La moto è solo diversa, devi essere svelto e capace ad adattarti e farlo non è mai banale. Oltretutto, per minimizzare questi sbalzi di temperatura Michelin ha consigliato ai costruttori di far girare dell’aria secca all’interno delle gomme prima della gara per avere meno variazioni. Alcune squadre (poche) lo fanno, la maggior parte no.
Chiedo quali siano i piloti più bravi ad affrontare queste variazioni di pressione, ma gli uomini Michelin mantengono sempre il segreto professionale. Quello che raccontano, però, è che Valentino Rossi è stato il più grande in questa particolare arte. Uno a cui puoi mostrare una foto di lui in gara, dicono, per avere di tutta risposta il giro in cui è stata scattata. Aggiungono che oggi, in griglia, ci sono un paio di piloti che si avvicinano a quella capacità lì, ma nessuno è arrivato al livello del Doc. Il team ideale per lo sviluppo? Marc Márquez, Francesco Bagnaia e Luca Marini.
È un temporale di risposte. Quanto ci mette una gomma a tornare a una temperatura ottimale (attorno ai 130 °C) dopo essersi surriscaldata? Se sei secondo e passi davanti, dove c’è aria fresca, in un paio di giri l'anteriore torna normale. Al posteriore che spinna invece, bastano qualcosa come venti secondi a recuperare la temperatura d’esercizio ottimale. Tutta questa roba la segnamo prendendo appunti su carta, perché il cellulare ce lo hanno sequestrato: è un giornalismo onesto, fatto di un viaggio per arrivare, invito personale e tempi dilatati per capire.
Per chiudere: il materiale che c’è sulla gomma è perfettamente uniforme, a volte l’equilibratura sul cerchio è zero, altre volte cinque grammi. Può capitare che si arrivi a dieci ma da Michelin ci tengono a specificare quanto sia difficile che accada.
Ok, ma come sono fatte le gomme della MotoGP? Ecco come vengono costruite
In fabbrica a Les Gravanchens arrivano i tre componenti di cui è composto uno pneumatico: metallo, tessuto e gomma. Tutta roba costruita in altre sedi sempre di proprietà di Michelin. La lavorazione più importante chiaramente ce l’ha la gomma, che arriva lunga diversi metri e larga come un tappetino per il bagno e viene lavorata da un’ampia serie di macchinari, fino a trasformarsi in lunghe striscioline che vengono avvolte in grossi rocchetti.
Da qui passiamo alla parte in cui ci viene detto di essere dei privilegiati perché nessuno ha mai visto una roba simile, anche che chi lavora nel reparto in cui stiamo per entrare ha almeno cinque anni di esperienza maturati in un’altra zona dello stabilimento. Entriamo in questa sala coperta da teli neri e vediamo un grosso macchinario, che occuperà un dieci metri quadri, deputato alla costruzione vera e propria degli pneumatici. Uno alla volta, con precisione scientifica, costantemente sorvegliato da due persone, lavora un po’ come fosse una stampante 3D. Ogni gomma impiega circa mezz’ora, acui segue un’attenta analisi visiva da parte degli uomini presenti che oltre a far funzionare la macchina puliscono lo pneumatico da piccole sbavature.
Il macchinario è ipnotico, staresti a guardarlo per ore. È un sistema simile che ha permesso, all’epoca, di costruire gomme personalizzate per i piloti ufficiali, tra cui il famoso gommino del sabato sera. All’epoca, spiega Taramasso, i piloti si sentivano più coinvolti nello sviluppo di una gomma.
Finita la fase di costruzione c’è quella dedicata ai controlli: roba lunga, di una precisione matematica, maniacale e stressante solo a vederla. Ad un certo punto, per capirci, vengono addirittura fatte delle radiografie sulla gomma. In definitiva è molto più il tempo passato a controllare le gomme che quello necessario a costruirle. Finito l’intero processo, un uomo attacca a mano gli adesivi Michelin sulla spalla degli pneumatici e li porta in un container a temperatura controllata.
Le notizie direttamente da Clermont-Ferrand: la regola delle pressioni di cui non parleremo più, le nuove regole per la MotoGP 2024 e un consiglio per il futuro
Prima cosa: ai piloti il nuovo compound 2024 è piaciuto, il che si avvicina molto all’idea di miracolo che hanno in Michelin. Questo perché ai piloti normalmente i cambiamenti non piacciono, sia quando va tutto bene che quando si trovano a rincorrere. Questo, oltre ad una certa soddisfazione, ha portato il team di sviluppo della MotoGP a concentrarsi sul 2025, quando verrà presentato il nuovo anteriore. Cosa cambia? Mentre l’anteriore impiegato nel 2024 viene costruito attraverso un processo “semi automatizzato”, nel 2025 si farà come con il posteriore, quindi attraverso un processo costruttivo decisamente più tecnologico pensato per offrire ancora più feeling ai piloti.
Michelin ammette anche che la crescita delle moto - a causa di aerodinamica e abbassatori - è andata oltre le aspettative, ma che dal prossimo anno si comincerà a lavorare in ottica 2027, quando il regolamento verrà stravolto per rendere le moto più umane e i sorpassi più facili.
Piero Taramasso ci racconta che tutta questa storia che gira attorno alla regola delle pressioni (rovina lo spettacolo, non è possibile in un campionato simile...) in realtà è quasi una mezza invenzione dei team: ora che chi sarà fuori dal range consentito (quindi sotto all’1.80 bar di pressione) andrà incontro a una possibile squalifica o penalità in termini di tempo senza avvisi, di errori non dovremmo vederle. Pare, invece, che le squadre abbiano usato i “warning” concessi dal regolamento 2023 per trarre un vantaggio in determinati circuiti, come se questi warning fossero stati dei jolly per trovare un vantaggio rispetto alle squadre rivali.
Contoinuiamo. La differenza tra i migliori e i peggiori capotecnici in MotoGP la vedi anche dal numero di gomme che consumano: i primi ne preriscaldano (senza usarle) una trentina in una stagione, i secondi possono arrivare a settanta. A questo proposito è interessante sapere che una gomma viene preriscaldata a circa 90 °C, mentre in gara raggiunge circa i 130 °C. Una gomma preriscaldata avrà bisogno di un giro in più per “accendersi”, ma non perde in prestazione. Una gomma che ha raggiunto la sua temperatura di esercizio invece sì.
Rispetto all'anno scorso Michelin ha pensato di eliminare anche questa piccola variabile, così dal 2024 tutti i team riceveranno sempre pneumatici nuovi, mai preriscaldati, con una differenza rispetto al passato: i primi 40 gli offre il costruttore, da lì in poi bisognerà pagare una tassa per ogni pneumatico in più necessario. Questo per appianare il più possibile le prestazioni, garantire sempre gomme fresche e spingere i team meno capaci a migliorarsi sotto questo aspetto.
Infine, come se non bastasse, ci fanno sapere che per scaldare le gomme e raggiungere temperature ottimali di esercizio servono dai due ai tre giri di pista. Ci sono, dicono, piloti molto più bravi di altri a scaldarle nel warm up lap prima della gara, al netto di quanta benzina (e quindi velocità) decidono di investire in quel giro. È qualcosa di cui ricordarsi in futuro quando ci troveremo davanti ad incidenti nei primi due passaggi.
Cara Michelin, telefonaci tra vent’anni
Erano passati vent’anni dall’ultima visita di un gruppo ristretto di giornalisti, esserci è stato bello anche per questo. I piloti invece vengono invitati ogni anno a vedere la produzione, eppure gli unici ad aver accettato sono stati i francesi, Fabio Quartararo e Johann Zarco. A fine giornata siamo tutti stanchi, contenti, emozionati. La sensazione è quella di aver appena portato a termine un corso universitario sulla tecnica della MotoGP, una lunga serie di nozioni e spunti che magari non ti rendono il nuovo idolo del bar ma che, indubbiamente, ti aiutano a capire meglio le corse, soprattutto perché in quei cerchi neri c’è un universo di variabili. In una giornata abbiamo visto i dati, i macchinari, i processi produttivi e tutta una serie di procedure ma, soprattutto, l’enorme passione di questa gente, che nel proprio mestiere crede davvero: erano nervosi anche loro nel portarci lì dentro, eppure l’hanno fatto con la convinzione di essere nel giusto, al punto che a fine visita ci è stata chiesta una foto di gruppo da appendere da qualche parte in ufficio. In un altro ufficio, invece, avranno già da tempo dei nostri familiari nel caso in cui decidessimo di pubblicare un po’ troppa roba.