Può arrivare dietro, fare fatica. Eppure davanti all’ufficio di Fabio Quartararo nel giovedì delle interviste ci sarà sempre la fila. A Mandalika ne concede otto in una sola giornata e Maider Barthe - che gestisce i suoi appuntamenti - gli consiglia, scherzando, di provare ad essere meno gentile coi giornalisti. Tanto è più forte di lui.
Nelle trasferte asiatiche le squadre di MotoGP non si portano dietro i camion, così abbiamo appuntamento nell’ufficio di Fabio, che si limita ad essere un piccolo prefabbricato da cantiere edile. Quello del francese è il numero 49, saranno otto metri quadrati. Dall’unica, piccola finestra presente si intravede una cassa con scritto FQ Equipment 1, sopra alla quale sono appoggiati un cappello Michelin e una bottiglia di Prosecco: sono i cimeli del podio in India che lui sta portando con sé in questa lunga trasferta. Nell’ufficio di Phillip Island, dopo il terzo posto della domenica (nonché terzo della stagione, a cui si aggiunge la medaglia di bronzo nella sprint di Assen), avrà qualche soprammobile in più per dare un tono all’ambiente.
Dentro c’è un po’ d’aria condizionata e quella che da fuori sembra una cassa è in realtà un piccolo armadio con la roba che serve in circuito, come tute e stivali, un borsone e qualche casco. Di fronte c’è un piccolo tavolo pieghevole in plastica e a fianco due sedie, anche queste pieghevoli, anche queste in plastica. In fondo, su di un divano che potrebbe arrivare da una svendita Ikea, Fabio Quartararo aspetta seduto a gambe incrociate. È un bell’ambiente, ti ricorda che alcuni piloti hanno in testa solo le corse anche se sfoggiano orologi del valore di un bell’appartamento. Nella loro testa c’è la velocità, il resto è superfluo come il colore di una borraccia quando combatti la sete nel deserto. Fabio è abbronzato, tranquillo. A colpire maggiormente tra una risposta e l’altra sono le sue mani: roba alla Mario Brega, fatta esclusione per il tatuaggio “shhh…” sull’indice sinistro.
Allora Fabio, diciamoci la verità: sei il migliore… dopo di noi.
«Ah!», Fabio ride. «Diciamo lo stesso io e Tony Arbolino».
Certo, altrimenti… Come è nata questa cosa?
«Non so come sia cominciata, ma ormai quando siamo in vacanza diciamo a tutti “sei il numero uno, ma dopo di noi”. È diventato un marchio di fabbrica».
Quando vai in griglia con lui, o a parlare con Jake Dixon… dai loro qualche consiglio?
«Non sono proprio consigli, sono amici e io mi limito a parlarci un po’, già a guardarlo per esempio capisco se Tony è molto nervoso. A lui dico anche questo: ricorda chi è il numero uno. Perché la cosa più difficile è rimanere tranquilli, ancora di più quando sei in griglia».
Quest’anno si corrono tante gare in Asia, e comunque da ottobre vi ritrovate con sei gare in otto settimane. Che metodo hai trovato per gestire il jet lag, la stanchezza e le trasferte?
«Io fortunatamente non devo dormire troppo per essere in forma. Dopo il Giappone non sono tornato a casa, sono rimasto qui. Dormo molto poco e non ho bisogno di troppo riposo e questa è una grossa fortuna. Quello a cui cerco di stare veramente attento in gare come questa è l’idratazione, perché è molto diverso rispetto all'Europa».
India, Indonesia, Tailandia: posti bellissimi ma molto poveri. Che sensazione hai quando vieni a correre in questi paesi?
«Eh, ti fa vedere un po’ la realtà. Anche qui, i bimbi ti inseguono vendendo braccialetti per dieci centesimi (ne mostra diversi al polso, ndr). È importante ogni tanto rendersi conto di quanta fortuna abbiamo, a volte perdi la testa per cose di cui non hai bisogno, per problemi piccoli. Questo vale sia per la tua vita come persona che per la carriera da pilota: ogni tanto devi ricordarti cosa è importante e cosa no».
Pensi mai a quando Valentino Rossi, prima di lasciarti la moto, si lamentava con Yamaha per i problemi che continuate ad avere oggi?
«La cosa difficile da accettare è che questi discorsi vanno avanti da 10 anni. Da Maverick, da Lorenzo, da Valentino. Ma io ho vinto anche nel 2021. È vero che la moto del 2021 era inferiore alla Ducati, ma aveva i suoi punti di forza. Non puoi pensare di avere tutto a posto, una moto perfetta, il problema però è che adesso andiamo peggio di loro in ogni cosa, ogni caratteristica. Questa è la differenza più grande. Due anni fa avevamo più negativi che positivi, ma qualche punto di forza c’era ancora. Adesso non c’è più».
Il tuo amico Tom (Thomas Maubant, ndr.) cosa ti dice di questa situazione? Ti consiglia di spingere, di stare calmo, di andartene… lui che idea si è fatto?
«Più che altro mi dice di stare calmo, mi conosce e sa che mi incazzo in fretta. Dalla seconda parte di stagione ho imparato ad essere un po’ più tranquillo, senza pensare tanto alle posizioni che faccio. Penso più a come sto guidando, se sto dando il cento per cento. E se faccio dodicesimo devo essere contento di aver dato il massimo. Quando sei abituato a stare davanti e lottare per podi e vittorie non è facile da accettare».
In Moto3 e Moto2 hai passato diversi momenti duri. Ti stanno aiutando a gestire questo periodo?
«Alla fine ha aiutato, ma non tanto. Perché parliamo di 2015, 2016, 2017 e 2018. Da lì in poi è andato tutto a migliorare, ho vinto un titolo. Nel 2022 sono andato in calando, quest’anno sono in caduta libera. Sono passati tanti anni e quello che devi pensare è che come pilota so quello che posso fare, conosco il mio valore. Alla fine devi pensare così. È per questo che sono contento di come lavoro, sono tranquillo e posso rimanere sereno con me stesso».
Hai detto che che Marc Marquez con la Ducati sarà un problema per tutti: lui è andato in Gresini, Franco Morbidelli in Pramac: ti fa un po’ incazzare questa cosa?
«Alla fine la verità è che ogni pilota vuole la miglior moto e adesso la miglior moto è la Ducati, ma non voglio essere invidioso, voglio spingere fino alla fine con Yamaha. Speriamo di avere una moto molto più competitiva l’anno prossimo, poi starà a me scegliere dove voglio andare».
La gente ti riconosce un enorme talento, tutti dicono ‘date una moto a Fabio Quartararo’. Quanto aiuta questo?
«Ne sono molto orgoglioso, perché ho l’immagine di uno dei migliori piloti in griglia. Questo però non significa che io non debba spingere al massimo, anche se non ho la moto devo dare sempre tutto. È nei momenti difficili che impari, e quando hai la moto giusta spingendo sempre al cento per cento vai molto più veloce. Invece se hai una moto un po’ inferiore e non stai spingendo il giorno in cui ti capita l’occasione non riesci a sfruttarla».
Giusto, è un buon approccio per tutto. Senti, tra Pecco Bagnaia e Jorge Martin su chi scommetteresti un centesimo?
«Su Martín. È andato fortissimo, ha grande confidenza. E poi ha fatto paura in Giappone sul bagnato, sull’asciutto a Misano, anche in India: ha messo un sacco di pressione ed è sul podio da tanto tempo. In questo periodo è sempre davanti».
Con tutte le probabilità sei il pilota straniero più amato in Italia. Secondo te perché?
«Magari per il mio nome?».
Ma no, dai.
«Beh, chiaramente fa molto piacere, nel 2021 avevo un po’ di paura quando ho preso il posto di Valentino Rossi. Perché non è che lui ha smesso e io ho preso il suo posto, ci siamo proprio scambiati. Questo mi ha fatto un po’ paura, soprattutto per i tifosi italiani. Alla fine però ho onorato il suo posto».
Molti di questi tuoi tifosi in Italia ti vorrebbero in Aprilia: ci pensi mai a quella moto lì?
«Devi guardare a tutte le moto, capire quali sono le loro migliori caratteristiche… l’anno prossimo dovrò prendere una decisione per capire quale strada prendere, ma io alla fine le guardo tutte».
Come con le ragazze? Sei tra i pochissimi piloti single della MotoGP.
«Siamo io e Alex Márquez (ride, ndr)».
Chi è più sportivo tra voi due?
«Ah, non lo so! Magari possiamo fare una ricerca».
Con quante ragazze sarai stato da quando corri in MotoGP?
Lunga pausa di riflessione.
«Beh, questo non te lo posso dire, è un segreto».
Sei anche saggio. Senti, tu che percezione hai del denaro?
«Alla fine sai, quando ero piccolo mia mamma faceva la parrucchiera e mio papà faceva le chiavi, come si dice… ferramenta? Beh, più o meno. Comunque venivo da una famiglia molto umile, sono stato campione del mondo ed è chiaro che da quel momento porti a casa molti più soldi. Per me la cosa più importante è vedere che la mia famiglia è molto orgogliosa di me e poter fare come qui in Indonesia. Ho potuto invitare la mia famiglia a Bali, capito? Questa per me è la cosa più importante».
Quindi come ti piace spendere i tuoi soldi?
«Mah, non mi viene in mente qualcosa di particolarmente importante. Magari mi interessa di più fare qualcosa per la mia gente. Poi ogni tanto mi compro un orologio, in qualche modo devi anche gratificarti per quello che fa».
Pensi che alla fine il talento e l’impegno che metti in quello che fai ti ripagheranno di tutto?
«Il talento è una cosa e il lavoro è un’altra. Io sto lavorando veramente tanto, non so quanto lavorino gli altri ma sono una persona che si impegna moltissimo sul fisico per essere pronto quando mi trovo davanti. Con il talento adesso non arrivi, o comunque non dura. Devi metterci tanta fatica».
Hai una croce tatuata sul collo, Notre-Dame sul braccio: credi in Dio?
«Sì. È una cosa che viene da mia nonna, che poi l’ha trasmessa a mia mamma e lei a sua volta l’ha tramandata a me. È una cosa di famiglia».
Preghi mai prima di entrare in pista?
«Sì, ma non sempre. Lo faccio soprattutto quando sono più nervoso e sento di dovermi togliere un po’ di stress. Normalmente succede prima della qualifica, che è uno dei momenti più difficili del weekend».
Ultima domanda: hai una sola notte di follia, come la organizzi?
«Prima di tutto senza dormire. E poi voglio tutta la gente, gli amici, la famiglia. Penso che questa possa essere la cosa migliore che si possa fare».
Dove?
«Ovunque. Sai, se sei con le persone giuste il resto non importa granché».