Fabio Quartararo è riuscito nella clamorosa impresa di non farsi odiare nemmeno dai Ducatisti, che dall’ultimo appassionato del bar al Direttore Generale di Ducati Corse hanno solo buone parole per lui. Perché al suo posto, su quella moto che gli altri tre non riescono a portare nemmeno nei dieci, Quartararo ci fa i miracoli. Li ha fatti anche in Austria, secondo al traguardo a mezzo secondo da Bagnaia dopo essere scattato quinto. Quattro Ducati davanti e una dietro, quella di Johann Zarco. Bastianini ha dovuto rinunciare - e probabilmente sarebbe stato più veloce del francese - ma gli altri, a partire da Miller e Martín, Fabio li ha messi dietro solo con la manetta. “Sono molto contento - ha detto a Sky dopo la gara - sono stato con le Ducati dal venerdì mattina. In gara è stata tosta, per passare devi aspettare un errore. Questo mi ha messo un po’ uno stop e non sono arrivato in tempo da Pecco, ma sono felice della gara”.
Il francese è la prova vivente del rapporto tra causa ed effetto che regola il motorsport: sei un campione perché prendi il meglio da ogni gara, da ogni turno. Ma solo correndo così lo diventi. Bagnaia lo sta capendo adesso, con la terza vittoria in fila, Fabio lo sa da prima, probabilmente da quando ha regalato un mondiale a Joan Mir che fino alla pausa estiva sembrava già cosa fatta.
Non solo: basta guardare agli episodi di Assen e Spielberg per rendersi conto che Quartararo non porta a casa soltanto il risultato migliore, lo fa anche andando oltre il limite. La scivolata che gli è costata uno zero in Olanda - e un long lap penalty a Silverstone - non lo ha spaventato, tantomeno il recupero di Bagnaia: un sorpasso come quello che ha rifilato a Jack Miller, in un cambio di direzione grande come il bagno in aereo, lo fai solo se sei disposto a rischiare, come ha detto lui stesso: “Passare lì è stato veramente difficile - ha raccontato dopo la gara - non me lo aspettavo. Ho frenato più tardi, lui un po’ prima e di sicuro non se lo aspettava. Anche su Bastianini ho visto un errore piccolo e ho fatto subito quello che dovevo fare. Con questa moto devi fare così”.
Ecco, la moto. Della Yamaha si è detto tutto: non ha potenza, non ha trazione, non ha la facilità di guida di qualche anno fa. Quella moto, velocissima in percorrenza di curva e agile nei cambi di direzione, riesce a portarla sul podio soltanto il diavolo di Nizza, un po’ come è stato (per anni) il rapporto tra la Honda e Marc Marquez. Quartararo è bravissimo, completo, generoso. Non raccontiamoci però che Ducati è una moto migliore in tutto: è vero, con la Desmosedici sono in tanti ad andare forte, ma la Yamaha ha ancora vantaggi che le altre si scordano. E, se è vero che l’anno prossimo avrà più potenza da spendere, è anche vero che Fabio Quartararo con questa M1 è già in grado di vincere, motivo per cui - con tutte le probabilità - la sua Yamaha continuerà ad essere buona per lui e difficile per tutti gli altri. È stato così in Ducati con Stoner, in Honda con Marquez e adesso, in Yamaha, con Fabio Quartararo. Finché il francese continuerà a vincere e a giocarsi il titolo, i giapponesi non si metteranno mai in testa l'idea di sconvolgerla. Anche perché la lezione della Honda, che con i migliori propositi aveva costruito una moto più democratica, è sotto gli occhi di tutti: Marc Marquez è ancora il primo pilota HRC in classifica (avendo corso soltanto sei gare) e una striscia di risultati così negativa non si vedeva dagli anni Ottanta. Fabio nelle corse mette l’anima e un talento esagerato, ma la moto non è quella che gli smanettoni della domenica chiamano un cancello: si fa capire, lo agevola, lo aiuta. In breve, esalta il suo talento, al punto da renderlo El Diablo dei miracoli.