Pro Me Ipso Pugno. Combatto per me stesso. Questo leggo sul petto di Fabio “Spigolo” Mastromarino mentre si toglie la maglia fradicia di sudore post allenamento. Luca, il fotografo, lo fa mettere in posizione per fargli qualche scatto.
“Fra' ma quant’è che pesi?” gli fa Luca.
“Eh sto sui 72 chili e mezzo, preciso preciso per la categoria mia”.
“Ma io sono alto quanto te e peso quindici chili di più, e mica c’ho ‘sto fisico!”
Fabio sorride, e nel sorriso c’ha un incisivo scheggiato che fa troppo delinquente di Romanzo Criminale.
Siamo nella palestra Revolution, a Cinecittà. C’è poca gente, si possono allenare solo gli agonisti. Due ragazzi, Patrizio e Andrea, si stanno scaldando prima di fare delle riprese di sparring. Ci sono i due maestri resident, Lorenzo Catalano e Eugenio Agnuzzi. Eugenio segue personalmente la parte tecnica di Spigolo. Mi fermo a chiacchierare con lui, che è anche il CT della nazionale di pugilato under 22.
“È bravo Fabio, ha talento e ha un cuore d’acciaio. Sopporta dei carichi di lavoro animaleschi. Ma deve imparare a usare la testa, durante i match. Deve capire come uscire e rientrare, prevedere il movimento, prendere i tempi, e soprattutto deve usare sto jab sinistro benedetto. Lui va sempre alla pugna, alla battaglia, ma è un rischio che non puoi permetterti sulle 10 riprese”.
Spigolo è un pugile professionista. Ha 25 anni, e viene da Tor Sapienza. Il 5 marzo 2021 combatterà al Pala San Quirico di Asti, per strappare la cintura al campione italiano in carica dei pesi medi, El Chapo Oliha. I due hanno già combattuto nel 2018 e Fabio perse ai punti, è la sua unica sconfitta in un record altrimenti pulito: 8 vittorie, 1 sconfitta, 1 pareggio.
“Anche a ‘sto giro sarà una bella battaglia” dice Fabio.
Durante l’allenamento, Fabio era una macchina da guerra. Faceva 2 minuti di scatti a mille all’ora, e poi 4 minuti di colpi di potenza al sacco. Il tutto per 10 volte. Luca gli scattava le foto e lui impassibile.
“Manco m’accorgevo del flash. Ero concentrato sulla scheda”.
Ci spostiamo nel suo quartiere, Tor Sapienza. Ci dà uno strappo Lorenzo della Revolution.
“C’ha detto culo che c’è Lorenzo, sinnò ce toccava una bella ammazzata di autobus!” fa Fabio, mentre siamo in macchina.
Tor Sapienza: un corso, un tabacchino, le pizzette al taglio, un parchetto, tanti palazzoni. Una zona popolare, una delle tante delle borgate romane.
“Il mio quartiere? È casa. Do vado vado me saluta qualcuno. Ce stanno certe volte che da casa mia pe' arrivà in piazza ce metto mezz’ora, e sarà manco un chilometro. Tor Sapienza è dove so’ cresciuto, le prime stronzate fatte, le delusioni e i ricordi belli, Tor Sapienza sono i miei amici che quando si poteva venire agli incontri facevano un tifo da stadio” ci dice Fabio mentre ci accompagna nel blocco di palazzi più cazzuto della zona.
Come hai iniziato a fare pugilato?
“C’avevo all’incirca 12 anni. Avevo iniziato a frequentare amicizie sbagliate, facevo cazzate. Mi madre, dopo sospensioni e bocciature, per togliermi dal parchetto dove mi fumavo le prime cannette mi obbligò a fare sport. Le dissi che volevo fare pugilato perché mi sentivo che m’avrebbe aiutato a sfogarmi. Iniziai e c’avevo tecnica zero, ma menavo come un fabbro! Stradarolo proprio. Il mio allenatore del tempo mi portava avanti e a 16 anni ho esordito da dilettante”.
Che scuola hai fatto?
“Niente, ho mollato il liceo dopo essere stato bocciato e poi mi so’ preso il diploma in una scuola privata. Gli ultimi anni di superiori, per quanto ero fissato con la boxe, facevo sega a scuola per andare in palestra la mattina e fare doppia sessione, mattina e pomeriggio. All’allenatore dicevo na volta che c’era assemblea, na volta che c’era sciopero… cioè se penso a cosa avrei fatto senza la boxe mi viene il freddo. Manco ce vojo pensà, può essere che diventavo una brava persona ma magari no”.
Perché Spigolo come soprannome?
“Me l’ha tirato fuori Mirko Carbotti. Eravamo a un match in Spagna nel 2016 da dilettanti. Di solito combattevo a 69 kg, e invece a quel giro spagnolo dovevo fare 67 chili. Ci arrivai, ma in faccia ero scavato. Poi c’ho gli zigomi marcati, i lineamenti duri, mi piace la battaglia alla corta distanza, ed è rimasto il soprannome Spigolo”.
Come sei passato professionista?
“Dopo qualche anno dove facevo i match da dilettante la palestra mia fallì. Non sapevo dove andare, e un amico mio che s’allenava a Casal Bruciato mi invitò ad allenarsi là. Lì conobbi Alex Lucciarini, che m’ha formato tanto, mi portava in America ad allenarmi, ci so’ stato tre anni di fila”.
Figo, ma ci sei stato fisso o a fare dei camp?
“Facevo dei camp. Andavo a New York, alla grande Gleason’s gym. Stavo tre settimane ad allenarmi, mattina e sera, poi tornavo a Roma per lavorare e mettermi i soldi da parte per tornare là. Certe botte. Mi sono allenato con gente davvero tosta. Mi allenavano due grandi, i trainer della Gleason’s: Don Saxby e Hector Roca. Era un altro livello di pugilato. Come se un americano lo porti ad allenarsi a calcio con Totti. Mi so’ fatto i guanti con Shawn Cameron e Mikkel LeSpierre. M’ha allenato. Io ero come una spugna. Allenarsi coi migliori per apprendere il meglio. Infatti, dopo l’ultimo camp in America so’ passato pro in Italia. Era il 2017”.
Pugile idolo del momento e del passato?
“Facile: Tyson, lo stile e la storia sua sono troppo forti. Unico libro che ho letto in vita è stato quello de Tyson, giuro. Anzi pure il libro di Blandamura ho letto, poi nulla. Mi piaceva Miguel Cotto perché è uno tosto, guerriero portoricano. Oggi Golovkin è uno dei miei preferiti, e anche Canelo che negli ultimi anni si è migliorato tantissimo”.
Il titolo italiano quanto conta a livello di futuro?
“Importantissimo. Uno perché sei il campione della tua nazione, è un trampolino di lancio per l’estero. Due, in Italia a livello pubblicitario ti lancia molto”.
Come strutturi il camp pre-incontro? Ti fai seguire da diversi specialisti?
“Sì, un pro deve farsi seguire da chi è competente. Nutrizionista, preparatore atletico, fisioterapista, tecnico di pugilato. Ognuno deve avere il suo ruolo. Inutile avere il tuttofare, il tecnico che ti fa la dieta pe’ ditte”.
E chi li paga questi professionisti?
“Eh so’ soldi che spendo io. Lorenzo Gabrielli è il mio preparatore atletico ma è un amico e mi viene tanto incontro, e ti dico mi ha trasformato un botto a livello fisico e atletico, studia e approfondisce, ci vogliono persone così per crescere. Nutrizionista c’ho uno dei top, Mario Ciarmella. Il mio tecnico è un grande, Eugenio. Poi il fisioterapista… è tutto a carico mio”.
Quindi qual è la vita del pugile in Italia?
“Devi investire i soldi nella preparazione del match. Con la borsa che prendi rientri di quell’investimento. Non c’abbiamo un fisso come i calciatori. Gli sponsor sono pochi, tutto è focalizzato sul calcio. Chi deve investire mille euro li investe sul calcio, non sul pugilato. Che poi è una cazzata, perché mille euro nel calcio non so’ niente, un pugile con mille euro in Italia fa un botto di robe e ti promuove tantissimo. Per questo ho fatto il cameriere negli ultimi due, tre anni di vita. Per pagarmi i professionisti che mi seguono”.
Cioè tu fai il cameriere e in più t’alleni tre ore al giorno?
“Eh sì, mo’ col titolo all’orizzonte ho detto ma ‘sticazzi, stringo i denti e vado avanti. Ma è dal 2019 che faccio il cameriere per mantenermi. Facevo il cameriere in un ristorante figo a Piazza Navona, mi gestivo la sala da solo. Mi piaceva stare a contatto con la gente, tutte persone di livello alto. M’allenavo la mattina presto o la sera. Poi col Covid ho iniziato a lavorare in un pub di notte e quindi m’allenavo la mattina…”.
Scusa, perché non fare il dilettante? Ti prendi lo stipendio fisso da Forze Armate, gli Onori alle Olimpiadi…
“Le tre riprese dei dilettanti non mi è mai piaciuto farle. Mi piacciono le battaglie alla lunga distanza. Mi piace la guerra, lo scontro. Tipo Ward contro Gatti per dirti! Le tre riprese so’ sciape. Tu pensa che l’esordio da pro che ho fatto ha ribaltato le regole. Il tuo primo incontro pro deve essere sulle 4 riprese. Io ho scelto un avversario quotato, con vari match all’attivo e non il solito scappato di casa, e ho costretto la Federazione a farmi fare 6 riprese”.
Tu sei l’unico pugile che conosco che ha fatto il merchandising con gli accendini clipper.
“Perché tutti c’hanno vizi. Nove su dieci fumano. Tutti magnano a cazzo de cane. La maggior parte degli amici miei fumano tutti. A ‘sto punto faccio il gadget che è utile. Poi col clipper è multiuso…” e scappa una risata “ma ce sta pure chi li colleziona! Cioè mi sono rapportato con la realtà che mi circonda. Il prodotto salutista non lo avrebbe comprato nessuno dei miei amici”.
Ma voi che ci vivete nella borgata, lo sentite un giudizio, un classismo da parte di chi è di un altro quartiere?
“Lo senti, ma ci sei abituato. Quando vai in centro nei locali chicchettini i buttafuori già ti guardano male perché ti sgamano che vieni da un quartiere. Io quando ho frequentato persone che non sono di Tor Sapienza li vedevo che erano diffidenti nei miei confronti, pensavano che fossi troppo matto. Tutt’oggi resta ‘sta cosa del borgataro, poi vabbò la gente ti conosce e ti apprezza per quello che sei e non per la tua residenza”.
Per una famiglia com’è avere un figlio pugile?
“Eh, un bel cazzo. Io so’ pure figlio unico. Mi madre ha sempre vissuto male la scelta di fare il pugile. Di cazzate ne ho fatte tante, anche precoci per l’età. Tutto subito, ho bruciato tante tappe. E per mi madre e mi padre è stata una bella delusione vedermi così matto e mollare la scuola.”
Un tuo pregio?
“Essere autocritico. Mi analizzo tanto. Ripenso a tutti i dettagli, il difetto minimo. Certe volte mi chiedo ma chi cazzo me lo fa fare?, ma poi mi serve per migliorare. Arrivo ai limiti dell’autolesionismo, ma mi serve arrivarci da solo”
Una debolezza?
“L’orgoglio eccessivo. Se toppi con me su alcune cose sei fottuto, e purtroppo è un limite perché a volte non sento ragioni”.
Hai dei rimpianti?
“Sì, l’ultima volta che andai a New York Don Saxby della Gleason’s mi disse di strappare il biglietto di ritorno. Voleva che restassi là ad allenarmi. Ma non mi avrebbero pagato nulla, né vitto né alloggio. Io purtroppo non avevo una base di partenza economica così solida per investire su di me. Non ce la potevo fare a mantenermi lavorando lì, avrei dovuto fare doppi turni e straordinari e quanno m’allenavo? Sarebbe stato un casino. Però il rimpianto c’è perché non è un treno che passa sempre nella vita”.
Si dice che la boxe sia così affascinante perché è una metafora estrema della vita.
“Tutto quello che vivi è riportato in quei 3 minuti sul ring. Emozioni, sensazioni, cadute. Tutto è concentrato lì. Ed è come nella vita di tutti giorni, dove devi affrontare imprevisti, difficoltà. Sempre a testa alta. Nella vita devi andare sempre avanti, e mica è tutto lineare. Come i round di un incontro. Un round di studio, un round di mazzate, un round di caduta. Un giorno le buschi dalla vita, l’altro giorno je meni tu alla vita”.
Come la vive una sconfitta il pugile?
“Io molto male. Sono competitivo, devo vincere. Me la prendo con me stesso, mi bastono, mi prenderei a schiaffi per non aver fatto abbastanza. Secondo, terzo posto, che cosa sono? Che differenza fa? Il numero uno è quello che conta. Ho sofferto le sconfitte come fossero depressioni. Un pugile dopo una sconfitta ritorna un passo indietro nei suoi bassifondi, come il gioco dell’oca. Però poi mi sono sempre dato la spinta per risalire e andare più sopra”.
Diciamo che ci vuole la fede, per fare il pugile.
“Devi credere per forza in te stesso. Se non credi in te stesso chi lo fa per te? Ci sali tu sul ring. Sei tu che devi averci voglia, che devi motivarti. Se non ti viene, meglio che lasci perdere, credimi”.
Cosa comprerai con la tua prima borsa importante?
“Una casa, perché non mi frega un cazzo delle macchine, degli orologi, delle cazzate. Vengo da una famiglia operaia, ho sempre visto mio padre risparmiare per darmi un qualcosa in più, s’è sacrificato per me e mi madre”.
Oggi in Italia non puoi parlare di sport da combattimento senza che si arrivi a parlare di Willy, di Colleferro, dei frateli Bianchi.
“Non è accettabile quella storia. Non ha nulla a che vedere con gli sport da combattimento. Non vorrei dare una colpa perché non sono un giudice, ma penso che ci fosse un problema con l’allenatore che li seguiva. Se io avessi fatto quel tipo di vita, il mio maestro m’avrebbe dato un bel calcio in culo e buonanotte. E poi ragazzi, la strada ti insegna a portare rispetto al più forte ma anche al più debole. Non sei di strada se infierisci su un ragazzino di 50 chili, non vali un cazzo nella vita di tutti i giorni”.
Hai qualcosa che ti mette paura, che ti mette ansia?
“Ho sempre amato allenarmi e combattere, e la cosa che mi spaventa più di tutto è quando dovrò smettere. Non ci voglio mai pensare. Che farò? Il pugilato è tipo una droga, quando stai a rota è difficile smette. Ti dà tutto. C’era un periodo che mi ruppi la mano, quinto e quarto metacarpo, bucai il parabrezza della macchina. Avevo sta mano che era una pagnottella. I metacarpi rotti, col gesso e tutto. Non potevo allenarmi né fare niente. Avevo i complessi sul fatto che non sarei diventato più un pugile pro. Allora prendevo Ira, il mio cane, e camminavo per 3 ore di fila la mattina, 3 ore la sera, e poi tutta la notte. Stavo in totale depressione. Non sapevo che cosa avrei fatto. Vivevo male, perché pensavo di essermi giocato il futuro per una puttanata”.
Oggi sei felice?
“Adesso sì. Ho trovato il mio equilibrio personale. Col tempo ho capito che te devi accontentà anche delle piccole cose. A volte pensi sempre in grande, che devi strafare in tutto, ma poi capisci che nel frattempo che raggiungi gli obiettivi grossi devi goderti quello che c’hai. Poi certo, se raggiungi subito il bersaglio grosso me’ cojoni, che te devo dì, però se non succede… ce accontentamo de piccole cose, che già avecce un tetto su a capoccia e un piatto ‘ntavola è tanta robba”.