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Fine del gol fuoricasa.
O del peso specifico di un’emozione

  • di Federico Vergari Federico Vergari

28 giugno 2021

Fine del gol fuoricasa. O del peso specifico di un’emozione
Fare un gol in trasferta era uno stile di vita, un atteggiamento, un modo di porsi davanti alla vita. Perché in fondo alla fine un gol è sempre un gol e quello che rimane è il suo peso specifico. Un giorno lo racconteremo ai nostri figli che una volta i gol non erano tutti quanti uguali

di Federico Vergari Federico Vergari

Non esiste più la regola del gol fuori casa.
Che poi chiariamolo una volta per tutte. Io ho sempre guardato storto quelli che dicevano “Eh… ma il gol in trasferta vale doppio”. Ecco, anche no. Non stiamo giocando a basket e nemmeno a tedesca. I gol valgono sempre 1. La regola piuttosto diceva questo: sommando il match di andata e quello di ritorno, in caso di parità verrà premiata col passaggio del turno la squadra che avrà segnato il maggior numero di reti fuori casa. C’è una bella differenza alla fine. Tanto ormai non vale più, quindi sfatiamo un mito: il gol fuori casa non vale doppio, ma ha un peso specifico maggiore.

Lo confesso, non mi strappo i capelli per l’abolizione di questa regola, sia chiaro. Ha ragione Guido De Carolis sul Corriere della Sera quando scrive che nel 1965, quando venne creata questa regola, il calcio era diverso e le trasferte erano delle vere e proprie avventure. Oggi è tutto più facile, gestibile, amichevole se vogliamo.

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Roma - Slavia Praga, 19 marzo 1996

Quando ho saputo di questo cambiamento ho pensato due cose. Prima di tutto a Roma – Slavia Praga, 19 marzo 1996. Partita di ritorno dei quarti di finale di Coppa Uefa. Si gioca allo Stadio Olimpico e la Roma deve recuperare due reti (a Praga ha perso 2-0).
 
Quella partita finirà 2-0 ai tempi regolamentati. Poi a supplementari la Roma segnerà il terzo gol, ma sarà beffata da un gol balordo di tale Vavra, che in un momento storico in cui il calcio capitolino dava poche soddisfazioni divenne un paladino laziale e un nemico giurato dei romanisti. Con quel 3-1 il risultato finale fu di 3-3 e per quanto spiegato sopra, venne premiata la squadra che fece più gol furi casa. Cioè lo Slavia Praga.

Tutto questo lo sto scrivendo perché quella vittoria del 19 marzo, che poi fu un pareggio, che poi fu una sconfitta, rappresenta per molti romanisti millennial il punto di non ritorno. Il momento in cui avviene il sacrificio al romanismo e al dio del calcio e si diventa un tutt’uno con la squadra tra gioie (poche) e dolori (tanti) nei secoli dei secoli. Quello che sto cercando di dire è che quella sconfitta di 25 anni fa fu un rito di iniziazione per molti ragazzini che capirono quanto è bello vincere pure se perdi e tifare una squadra che dà tutto, ma poi alla fine piange e piangi pure tu e ci si abbraccia e ti guardi con amici e parenti intorno a te e dici: vabbè oh. L’anno prossimo ci riproviamo.

Abolendo questa regola, oggi non succederebbe. Si andrebbe ai rigori e poi chissà. Chissà quante storie del calcio cambierebbero. Chissà quante pagine di pallone si potrebbero riscrivere.  E chissà pure quanti rimpianti o sospiri di sollievo, col senno di poi.

E poi penso al lessico. “Gol fuoricasa” negli anni ha significato tanto altro per estensione e traslazione. Lo usavo da ragazzino coi miei amici quando una ragazzina non ci diceva sì, ma nemmeno no. E allora era tutto un:
- Oh, ma come è andata?
- Ma niente, ha detto che mi fa sapere se riesce a liberarsi. Però m’ha sorriso.
- Ah! Allora è un 1-1 fuori casa, dai!

Ovviamente le cose andavano sempre diversamente rispetto ai castelli in aria che ci si costruiva e allora via a casa di qualcuno che aveva uno dei primi modelli di playstation a giocare a Fifa, ovviamente organizzando un torneo casalingo dove valevano i gol fuoricasa.
Questa espressione si usa spesso in politica, quando le opposizioni fanno registrare un punto al loro favore nel dibattito in aula. Non una vittoria da ribaltone, ma un segnale che potrebbe dare ottimismo alle minoranze governative e far sperare per tempi migliori e credo di averla sentita usare almeno una volta in ogni contesto lavorativo in cui mi sono ritrovato: dall’editoria al giornalismo, dalle radio alle tv locali romane. Forse sono io che ci faccio caso, forse sono io che la uso, o forse parlare con esempi calcistici alla fine è la cosa che ci viene più semplice fare per farci capire e pre rendere un’idea.

Fare un gol in trasferta era uno stile di vita, un atteggiamento, un modo di porsi davanti alla vita. Perché in fondo alla fine un gol è sempre un gol e quello che rimane è il suo peso specifico. Un giorno lo racconteremo ai nostri figli che una volta i gol non erano tutti quanti uguali.

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