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Finiscono
le Olimpiadi di Tokyo.
Quale eredità
ci lasciano?

  • di Federico Vergari Federico Vergari

8 agosto 2021

Finiscono le Olimpiadi di Tokyo. Quale eredità ci lasciano?
Nell’estate degli addii di Rossi e Messi a Tokyo 2020 piovono notti magiche e si creano ricordi indelebili. Dal record di medaglie alla non necessità per gli “atleti minori” (per la prima volta) di dover ricorrere a un reality per non cadere nel dimenticatoio e sbarcare il lunario. Un’edizione indimenticabile che ci lascia molte certezze e qualche rimpianto. Non ci fosse stato il meccanico di Di Battista forse oggi avremmo salutato Tokyo 2020 dando il benvenuto a Roma 2024. Non sarà così, ma l’eredità di questa Olimpiade è troppo preziosa per disperderla

di Federico Vergari Federico Vergari

È risaputo che per centrare gli obiettivi (metaforici e non) bisogna sempre mirare leggermente più in alto rispetto al centro. Forse pensava a questa strategia Giovanni Malagò quando dichiarò che l’obiettivo della spedizione nel Sol Levante era quello di raggiungere le 40 medaglie. Parlava di quella cifra il numero uno dello sport italiano, probabilmente perché in testa aveva le 36 medaglie di Los Angeles 1932 e Roma 1960, fino a pochi giorni fa edizioni da record. E poi è successo veramente. L’Italia ha conquistato la quarantesima medaglia (un bronzo) con le farfalle della ginnastica e allora la memoria non può che fare un salto indietro a circa un mese fa.

Era il 12 luglio, avevamo appena espugnato Wembley, cantavamo “It’s coming Rome” e Malagò, sempre lui, parlando al Quirinale disse guardando negli occhi Mattarella queste testuali parole: “Quando siamo venuti da lei per la consegna del tricolore (per la cerimonia inaugurale di Tokyo2020, ndr), le parlai di una miccia che era stata accesa e di un inizio di atmosfera che stava coinvolgendo tutto il Paese…”. Più o meno le stesse cose che disse un paio d’ore più tardi a Palazzo Chigi quando però riuscì nel numero (non scontato) di portare a casa di Mario Draghi anche alcuni azzurri reduci (con medaglia) dagli Europei under 23. Come a dire davanti a tutta Italia: ok celebriamo il calcio, ok rendiamo onore al tennis, ma non scordiamoci degli altri sport. Miccia, coinvolgimento, Paese. Diavolo, alla fine è successo per davvero!

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Il presidente del Coni Giovanni Malagò

Segni di mezza estate

E così mentre nel mondo dello sport accadono eventi impensabili (nel senso che non ci si voleva e nemmeno ci si poteva pensare) come l’addio di Messi al Barcellona e quello Valentino Rossi alle gare succedono anche altri eventi che fino a qualche giorno fa sarebbe stato difficile anche sognare. Tipo due ori nella 20 chilometri di marcia (maschile e femminile) di due pugliesi, Massimo Stano e Antonella Palmisano, che per prossimità al campo di allenamento (quello delle fiamme gialle di Castel Porziano) hanno scelto di vivere con le proprie famiglie in due zone difficili di Roma, a Dragona e Ostia, e diventano adesso gli idoli del decimo municipio della Capitale che nemmeno sapeva di dover proteggere e valorizzare tanto capitale umano. Tipo l’Italia davanti a tutti nei cento metri con Jacobs e con la 4X100. E qui cosa altro vogliamo aggiungere? Basta parafrasare Paolo Conte e pensare agli inglesi che si incazzano… o immaginare a come cambieranno le vite di questi atleti, certamente noti, certamente famosi e che probabilmente saranno trattati da oggi con un’attenzione (e compensi) da calciatori. Una frase questa che rende l’idea e che al tempo stesso mette a nudo tutte le debolezze del sistema sport italiano. O tipo con Tamberi che aspettava quel momento da cinque anni e tanto sicuro di poter dire la sua da conservarsi quel gesso che gli impedì di andare a Rio da favorito. E se la rivincita con il destino è un piatto che va servito freddo, Gimbo ha dovuto pure schivare l’anno del Covid per arrivare freddissimo ad affrontare la domanda delle domande: mi gioco l’oro allo spareggio o passo il resto della mia vita a rispondere ma chi te lo ha fatto fare? “Can we have two golds?” è la domanda che ci porteremo dietro da questa edizione e che ci ha aperto il cuore in un momento in cui ancora ignoravamo quante cose belle sarebbero arrivate dalla pista di atletica.

Delusioni di squadra e non…

Di certo non ci ricorderemo di questa edizione per gli sport di squadra che si sono rivelati un fallimento su tutti i fronti. Dalla pallavolo al beach, dalla pallanuoto al basket. Se l’unione fa la forza, questa edizione delle Olimpiadi è l’eccezione che conferma la regola e ci lascia con l’amaro in bocca e tanti successi individuali. Se è vero che da sport come il basket avevamo già avuto una grande soddisfazione anche solo qualificandoci è altrettanto vero che da pallavolo maschile e femminile ci si aspettava quantomeno uno stop molto più vicino alla zona medaglie. E fa sorridere oggi la polemica del ct del volley femminile che accusa le sue atlete di passare troppo tempo sui social dimenticando a volte la vita reale. Così su due piedi pensiamo che più di una polemica forse dovrebbe entrare nel dibattito sportivo una sana educazione all’immagine sul web. Ma come pretendiamo di inserire nel percorso atletico anche un corso di comunicazione social se poi le ragazze del volley – anche quelle di Serie A – sono condannate a una vita da dilettanti? Forse una rivoluzione sociale più che social è quello che servirebbe. Se diamo a un sistema gli strumenti per sostenersi e mantenersi creeremo anche degli atleti e delle atlete più strutturati.

A proposito di delusioni impossibile non citare la scherma. È vero ci ha portato 5 medaglie, ma nessuna di queste è stata del metallo più prezioso. Del resto se siamo abituati a veder giocare il Dream Team e poi questo delude non possiamo non lamentarci. Un concetto questo che vi avevamo in qualche modo già anticipato qualche girono fa raccontandovi la polemica tra Elisa Di Francisca e Julio Velasco (e del perché secondo noi aveva ragione la campionessa olimpica di Londra 2012).

Il medagliere

Che è stato un record lo abbiamo già scritto. 40 medaglie sono tante, anzi tantissime. Spendiamo qualche parola sul maggior numero di medaglie che è arrivato dal nuoto e dagli sport di combattimento. Questi ultimi (karate, lotta, taekwondo, judo) ogni quattro anni destano grande curiosità per poi sparire nel dimenticatoio, salvo poi ricordarci all’inizio della prossima edizione dei giochi olimpici di quanto si sia forti e si abbiano delle importanti scuole sparse per l’Italia. Ha fatto sorridere quanta attenzione ci sia stata attorno al Karate che almeno per chi scrive è uno sport noto, comune e pop ma a quanto pare questa è un’osservazione da figli degli anni Ottanta e di Karate Kid. Chi è nato prima fatica a concepirlo come uno sport comune. Il consiglio, per molti giornalisti della Rai che si sono interrogati sul karate, è allora quello di girare per le palestre di provincia per scoprire quanti ragazzini pratichino il karate in Italia. Peccato – tra l’altro – che dalla prossima edizione sparirà questa disciplina dal tabellone ufficiale delle gare. Verso il 2024 Diciamocelo senza troppi giri di parole. In quanti dopo questa gloriosa spedizione italiana in Giappone si stanno domandando cosa sarebbe successo se…? Mi spiego meglio: Parigi (che ospiterà i giochi tra tre anni) si giocava con un serrato testa a testa l’organizzazione con Roma che – a detta di molti – era in leggero vantaggio rispetto alla capitale francese. Poi però è arrivata l’amministrazione pentastellata della Raggi che ha deciso che siccome con le Olimpiadi girano tanti soldi per evitare che ci fossero furti di denaro e debiti sarebbe stato meglio ritararsi dalla corsa. Un po’ come dire: visto che ci sono troppi incidenti meglio chiudere il Grande Raccordo Anulare. Una scelta del genere non sarebbe insensata e non vi porterebbe a chiedere all’amministrazione di lavorare piuttosto sull’educazione stradale, sul controllo di chi guida e investire sulla sicurezza? Ecco ci siamo capiti. In queste ore sta tornando in auge un passaggio di un vecchio libro di Di Battista in cui spiegava come erano andate le cose. Vi lasciamo di seguito un brevissimo estratto.

“Io ero estremamente contrario alle Olimpiadi, ma non ero sicuro che i romani la pensassero come me. In quei giorni mi domandavo se fare un referendum cittadino e proporlo durante le due settimane precedenti il ballottaggio non fosse una soluzione più morbida rispetto a un «no» secco. Decisi di telefonare a Massimo, il mio meccanico, e gli chiesi di radunare un po’ di amici perché, gli dissi scherzando (ma neppure troppo), «dovevamo prendere una decisione politica»”, racconta Di Battista in Meglio liberi. Lettera a mio figlio sul coraggio di cambiare. E poi continua: “[Massimo] radunò una decina di persone: l’edicolante, il fruttivendolo del quartiere, un paio di parenti, un pensionato. Io arrivai all’officina in motorino, lo parcheggiai, scesi, mi tolsi il casco e chiesi a Massimo se si trattava di persone di fiducia. Te poi fida’ disse lui. Così, quasi in modo solenne, domandai cosa ne pensassero delle Olimpiadi a Roma. Le loro risposte furono molto aspre, e non posso riportare le parole esatte per evitare querele. A ogni modo uscii dall’officina, dal mio «soviet» personale tra bulloni, pezzi di ricambio e olio, e mandai un messaggio a Virginia: «Sulle Olimpiadi nessuna esitazione, linea durissima. La stragrande maggioranza dei romani sta dalla nostra parte»”. Ecco. Promettiamoci una cosa solennemente: a luglio del 2024, durante la cerimonia di apertura dei prossimi giochi ripensiamo intensamente a queste righe.

Ascensori sociali

Lo sport oggi in Italia uno dei pochi ascensori sociali che ancora funzionano. Lo sport può dare a molti ragazzi una possibilità di crescita, di lavoro, di futuro. Banalizzando sugli sport minori – ma nemmeno troppo – possiamo dire che l’assunzione da parte di una forza armata dà all’atleta la possibilità di potersi concentrare con calma sulla propria carriera, pensare ad allenarsi e a crescere in attesa che ogni quattro anni il mondo sportivo italiano si ricordi che esistono anche altre discipline. Oggi però siamo davanti a un unicum mai accaduto: le prossime olimpiadi saranno fra tre anni e un anno in meno fa la differenza. Inoltre i successi (soprattutto quelli dell’atletica leggera) uniti al record di medaglie garantirà una coda lunga su Tokyo. Questo significa che per la prima volta potremmo avere su alcuni sport un’attenzione fissa che non abbiamo mai avuto. Come si tradurrà tutto questo in maniera pragmatica? Ci saranno forse più iscritti in nuove discipline, ci saranno sponsor che ci ricorderanno quelle imprese che abbiamo ancora fresche nella mente e sicuramente ci sarà un altro tipo di narrazione che ci porterà verso Parigi 2024. Insomma Tokyo2020 ci lascia un’eredità importante perché per la prima volta non c’è la necessità per molti atleti di dover puntare su qualche reality per sbarcare il lunario e per ricordare al mondo che esistono anche altri sport. È un’occasione più unica che rara per un definitivo salto di qualità. Stringiamola forte e conduciamola al traguardo. Come Tortu ha fatto con il testimone della staffetta in quella notte magica che raramente dimenticheremo.

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