Non tutti i bidoni sono convinti che le loro malefatte in pista siano frutto di una gigante cospirazione, che impedisce loro di esprimere tutto il loro straripante potenziale. Nell’ampia galassia delle meteore della F1, c’è spazio anche per chi ha grande consapevolezza della propria incapacità. Come Taki Inoue, che ha compiuto un passo ulteriore, autodiagnosticandosi come il peggior pilota che abbia mai calcato il palcoscenico del Circus. Il nostro si è buttato eccessivamente giù, o ha ragione? Per saperlo, tocca ripercorrere il suo vertiginoso percorso.
Takachiho Inoue, detto Taki, vide la luce nel 1963 in Giappone. Come molti altri aspiranti piloti provenienti dal Sol Levante, ad un certo punto dovette spiccare il volo dal nido per spostarsi in Europa. Arrivato in Inghilterra alla fine degli anni Ottanta, constatò un piccolo problema. Non spiccicando quasi parola nella lingua locale, diventava difficile perfezionare comunicazioni efficaci. Se ne rese conto quando, chiedendo dove potesse andare a correre, fu indirizzato sì su una pista, ma per le corse di cavalli. Poteva essere interpretato come un segno del destino, che gli suggeriva di darsi all’ippica. Ma no, il nostro non si arrese.
Il debutto sul grande palcoscenico arrivò nel 1994, in Formula 3000. E qui Taki mostrò tutto il suo incredibile potenziale. Mentre il suo compagno di squadra, Vincenzo Sospiri, arrivò a sfiorare la vittoria, lui colse zero punti. Ma se c’è qualcosa che abbiamo imparato, nel nostro viaggio nella galassia dei bidoni, è che non c’è nulla che una valigia carica di soldi non possa risolvere. E così, proprio nel 1994, Taki ebbe l’occasione da Cenerentola, una gara con la Simtek. E che corsa: il GP del Giappone, quello di casa.
L’esordio fu memorabile. Con la modestissima Simtek, Taki si qualificò in ventiseiesima posizione, a oltre sette secondi dal poleman Michael Schumacher. La gara fu rapida e sostanzialmente indolore. Il nostro, evidentemente a suo agio sul bagnato come un elefante in una cristalleria, si ritirò dopo tre giri per un incidente. Poteva arrendersi qui? Assolutamente no. Però, come anticipato, Taki mostrò fin da subito i segni di una consapevolezza rara tra il bidoname vario. Ex post, raccontò che già allora aveva compreso di non avere la stoffa per essere un pilota di Formula 1.
Taki era arrivato in F1 nell’ignoranza più totale. Non sapeva nemmeno che nella massima categoria ci fossero i pit stop. A domanda a riguardo, molti anni dopo, rispose: “Come facevo a saperlo? Nelle altre serie non c’erano”. Una logica infallibile. Nonostante queste mancanze, il nostro nel 1995 trovò collocazione alla Footwork, scuderia che, per le sue ristrettezze economiche, all’epoca faceva da incubatrice di bidoni. Il miglior risultato di Inoue quell’anno arrivò a Monza. Un ottavo posto che, negli anni Novanta, significava restare fuori di poco dalla zona punti.
Ma a far guadagnare all’ottimo Taki un posto d’onore nella storia della F1 sono stati due incidenti che definire bizzarri è un atroce eufemismo. Il primo occorse durante le prove libere del Gran Premio di Monaco, quando Taki dovette fermarsi alle Piscine per un problema tecnico. In un colpo di genio, decise di slacciarsi le cinture, ma di non scendere dalla macchina, aspettando che qualcuno lo venisse a prendere. Ma, più che essere recuperato, fu centrato dalla Safety Car, guidata dal pilota di rally Jean Ragnotti. La monoposto di Taki si ribaltò, e Inoue picchiò la testa per terra. Fortunatamente, rimediò una commozione cerebrale e null’altro.
Ma il suo rapporto conflittuale con i veicoli di supporto della F1 non era destinato a finire a Monaco. Qualche gara più avanti, in Ungheria, la Footwork di Taki si fermò dopo 13 giri per un problema tecnico. Il nostro scese dalla macchina come un gatto, e si lanciò alla ricerca di un estintore, visto che il retrotreno della monoposto stava prendendo fuoco. Inoue, però, tornando verso la sua vettura non si accorse dell’arrivo dell’auto medica, che finì per investirlo. Taki cadde letteralmente in piedi, come un cartone animato, prima di accasciarsi a terra. Pensate che questa vicenda sia già fantozziana così? C’è di peggio, invece.
Taki, infatti, sarebbe dovuto essere trasportato in ospedale in elicottero per accertamenti. Ma il direttore di gara della F1, Charlie Whiting, gli disse che avrebbe dovuto attendere la fine della corsa, perché non avevano intenzione di interrompere il GP per consentire l’atterraggio dell’elicottero. Taki, così, subì ancora. E una volta arrivato in ospedale, i medici ungheresi gli chiesero dove avesse la carta di credito. Vedere denaro, vedere cure, insomma. Con le ultime forze rimastegli, il nostro eroe riuscì a convincere i sanitari a non abbandonarlo al suo destino.
Non era finita qui. Inoue si trovò addirittura a reclamare il pagamento del suo stipendio, in quella ruggente stagione 1995. E, soprattutto, riuscì in un’altra impresa singolare. Nei 18 GP in cui si articolò la sua sfavillante carriera in F1, Taki non effettuò nemmeno un sorpasso. Manco uno. È questa la motivazione principale per cui il nostro eroe si autodefinisce il peggiore pilota di sempre. Difficile dire se lo sia veramente: la concorrenza è serrata. Una cosa è certa, Inoue è quantomeno campione di autoironia. Oggi è attivissimo su Twitter: seguitelo, non ve ne pentirete.