Piove sul bagnato a Suzuka per la FIA, la Federazione sotto accusa per la cattiva gestione del regolamento che pesa più che mai sulla credibilità della Formula 1. Dal budget cap alle sanzioni in pista passando per la sicurezza che, sotto la pioggia di una domenica giapponese, torna prepotentemente a far discutere appassionati, addetti ai lavori e piloti.
Ma forse anche la stessa Formula 1, che si appoggia alla società di Liberty Media e che rappresenta una realtà completamente diversa rispetto alla FIA, dovrebbe iniziare a farsi delle domande: acclamata in questi ultimi anni per gli ottimi risultati che sta ottenendo in termini di ascolti e gradimento, la Formula 1 ha però un problema che non può continuare ad ignorare e che, in qualche modo, la accomuna con la MotoGP: il calendario.
Dalla lunghezza stremante di 22 gare che il prossimo anno diventeranno addirittura 24 (un sogno per chi la guarda dal divano ma un vero incubo per chi ci lavora) ai viaggi privi di ogni logistica e sensibilità ambientale, tema che almeno sulla carta interessa moltissimo Liberty Media, passando per le scelte azzardate che non sembrano prendere in considerazione le varianti meteorologiche dei luoghi in cui la Formula 1 è chiamata a correre. Partendo proprio da Suzuka infatti il problema del meteo, con un ottobre spesso molto piovoso e una luce ridotta che porta la pista a "scurirsi" già nel tardo pomeriggio compromettendone la visibilità, avrebbe dovuto far insospettire gli organizzatori ormai da anni, ma il desiderio - anche in termini di sponsor - di inserire l'amatissima pista giapponese in un contesto di quasi fine calendario è un'occasione troppo ghiotta per essere sprecata.
Dopo gli incredibili mondiali di Senna e Prost decisi a Suzuka, il successo di Michael Schumacher che riporta la Ferrari a vincere un titolo mondiale nel 2000 e tantissimi altri successi iridati, il Giappone sogna un ruolo decisivo nel calendario come, per altro, è successo proprio nel 2022 su terra Honda per il pupillo della Red Bull Max Verstappen. Spostare la tappa in un altro periodo, a marzo all'inizio del campionato o da agosto a settembre così da evitare anche la stagione delle piogge da maggio a luglio, non sembra essere però una soluzione interessante in termini di sponsor per la Formula 1, che preferisce mantenere la tappa giapponese in un ottobre decisamente a rischio meteo.
Una situazione che anche la MotoGP conosce ormai bene, con calendari sempre più fitti e con tappe extraeuropee che mettono a rischio interi weekend di gara, considerando poi le difficoltà di piloti e delle stesse moto di affrontare tempeste tropicali su piste quasi allagate. Dalla recente Thailandia, dove l'intero schieramento si è fermato aspettando il passaggio di un diluvio infinito, così da poter dare il via alla gara, fino allo spettacolo di Mandalika, in Indonesia, dove a marzo la MotoGP ha fatto il suo debutto tra fulmini in pista e uno sciamano chiamato a scacciare la pioggia per dare il via alle danze.
In questo contesto si inseriscono anche i grandi punti di domanda europei: la Formula 1 che nel 2020 ha scelto di correre a Imola a inizio novembre, con rischio altissimo di maltempo, gelo e nebbia, e il Motomondiale che il prossimo anno scenderà in pista a Valencia a fine novembre, dove il clima con ogni probabilità sarà ben più rigido di quanto i piloti di MotoGP siano abituati a dover sopportare.
Il clima non si può prevedere, certo, e anche situazioni che sono sempre andate bene - come la Formula 1 in Belgio, a Spa, a inizio settembre che lo scorso anno ha assistito a uno dei peggiori temporali mai visti in una domenica di gara - possono improvvisamente risultare difficili (o impossibili) da gestire, ma con ogni probabilità un calendario più attento al cielo sopra i circuiti e meno agli incassi nei portafogli aiuterebbe in questo processo estremamente complesso.
Non da dimenticare infine la questione green: in un ambiente sempre più attento alla questione ambientale gli spostamenti enormi, costosissimi e dispendiosi in termini di CO2 e inquinamento appaiono quantomeno ridicoli: dall'Arabia Saudita all'Australia alla Cina per poi spostarsi a Baku e poi andare a Miami e infine tornare in Emilia Romagna e così via, in un via vai che toglie tempo agli addetti ai lavori, sempre più stremati dagli spostamenti, e limita un processo di svecchiamento ambientale che si preoccupa delle Frecce Tricolore sopra Monza ma dimentica questioni di importanza molto, molto maggiore.