Viva il caos, per carità. Viva Gran Premi, come quello di Ungheria, che cambiano ad ogni giro, a ogni pit stop, che sorprendono durante e dopo la gara. Ma la Formula 1 ha bisogno di regole, e queste regole devono avere senso.
Possiamo ridurle, limitarle, modificarle. Ma devono essere chiare, uguali per tutti, e non devono cambiare di weekend in weekend. Sono concetti banali, viene da dire, per uno sport storico come la Formula 1.
Eppure già da qualche anno non passa mondiale senza che vengano a galla problemi con le sanzioni, difficoltà nel giudicare incidenti e penalità, metri di giudizio diversi e poca chiarezza. Se a questo aggiungiamo nuove regole, budget cup improvvisati e lotte sociali, la Formula 1 da circus si trasforma in circo.
Partendo dalla sfida all'integrazione, accolta nel paddock al grido del motto lanciato del 2020 We race as one, che non è stata però apprezzata in Ungheria, dove i piloti che indossavano la maglietta con il logo (lo stesso voluto proprio dalla F1) sono stati puniti con una reprimenda ufficiale.
E la coerenza? Non pervenuta.
Sempre in Ungheria è stato sollevato, dal team principal della Red Bull, un secondo punto di fondamentale importanza che sta emergendo in questa stagione: la gestione del budget cup imposto alle scuderie.
Da quest'anno infatti la FIA ha inserito un tetto massimo di budget da far rispettare a tutti i team, un modo per non penalizzare le scuderie con meno possibilità economiche e livellare la competizione. Il problema emerso però in queste ultime gare riguarda le spese non calcolate dalle scuderie: quelle riguardanti gli incidenti, soprattutto se di colpa altrui.
Chris Horner nel giro di due weekend, da Silverstone all'Ungheria, si è ritrovato con ben quattro ingenti danni sulle monoposto dei suoi piloti, due dei quali dai costi molto elevati. Dopo lo schianto al via causato da Bottas il team principal ha detto la sua, inferocito dalla regola FIA e dai problemi che potrebbero derivare - in ottica mondiale - dal tetto massimo sforato per colpe altrui.
Ultimo, ma non per importanza, il solito vecchio tema delle sanzioni. Come vengono date, a chi vengono date, perché e con quale logica. Dopo Silverstone si è discusso molto del ruolo dei commissari che puniscono il gesto e non le conseguenze (correttissimo) ma in Ungheria in molti hanno lamentato un'incoerenza con quanto affermato precedentemente vista la sanzione identica inflitta a Bottas e Stroll.
Inoltre secondo tanti appassionati, e a loro si aggiungono le richieste di alcuni piloti, punire l'uomo in pista per un errore del team non ha senso, soprattutto se in ballo ci sono punti importanti o - come nel caso di Sebastian Vettel a Budapest - il secondo podio della stagione.
Le regole sono regole è vero, ma spesso sono interpretate, cambiate, riletta e riscritte. Perché dunque non partire dal problema e cercare una soluzione? In gare come l'Ungheria incertezze di regolamento smuovono le acque rendendo i risultati più forbidi. Ci divertiamo? Certo, quando il problema non riguarda il nostro beniamino o quando si va a colpire il solito fortunato campione. E' giusto? No.
Meno regole, più chiarezza. E il circus smetterà (finalmente) di essere un circo.