“I can’t get no satisfaction”. Era il 1965 quando i Rolling Stones pubblicarono questo enorme successo musicale, ed è anche un po’ la colonna sonora che sta accompagnando in questo momento Stefano Pioli, il supereroe silenzioso di Milano. Ebbene sì, perché nonostante le ottime prestazioni post-lockdown e le quattro vittorie nelle prime quattro partite disputate in questo inizio di campionato, mister Pioli non sembra ancora essere soddisfatto e l’impressione è quella che non si voglia più fermare. Ma facciamo un passo indietro. Tutte le strade di Pioli partono da una regione ben precisa: l’Emilia-Romagna, dove la passione per il cibo va di pari passo con la passione per lo sport. Inoltre, questa “cantera emiliana” ha sfornato molti altri allenatori, solo per citarne alcuni: Carlo Ancelotti e i fratelli Filippo e Simone Inzaghi. Stefano Pioli si forma come calciatore nelle giovanili del Parma, squadra della sua città, per poi passare alla Juventus, con la quale vince in tre stagioni uno scudetto e una Coppa dei Campioni. La sua carriera continua poi in difesa al Verona e alla Fiorentina. Esatto, Pioli è stato un centrale di difesa. Uno di quei centrali ordinati e organizzati, d’altronde a Torino ci arriva giovanissimo e ha imparato tanto guardando giocare e giocando assieme a mostri sacri come Scirea e Cabrini.
La carriera da allenatore comincia però in un’altra città emiliana, Bologna, dove gli vengono affidati gli allievi nazionali. Seguono svariate esperienze in Serie B, con in mezzo una piccola e insufficiente parentesi in Serie A, proprio col Parma. In questi anni Pioli raggiunge una certa maturità e sperimenta il suo modo di giocare prettamente difensivo, quello che lo accompagnerà per il resto della sua carriera. Infatti, il ritorno nella massima divisione italiana non tarda ad arrivare: dopo un’ottima stagione al Chievo, Zamparini lo contatta per la panchina del Palermo. Neanche il tempo di iniziare il campionato, che il presidente rosanero lo rimuove dall’incarico. Stefano cade, ma due mesi dopo è già in piedi. Lo chiama – o richiama – il Bologna, stavolta per la prima squadra. Grazie anche al contributo di giocatori fondamentali come Alino Diamanti e Marco Di Vaio, Pioli raggiunge a fine stagione il nono posto, che resta il miglior piazzamento raggiunto dalla squadra emiliana negli ultimi 18 anni.
Nell’estate 2014 arriva sulla panchina della Lazio. E qui si assiste al vero salto di qualità. All’ultima giornata, al San Paolo contro il Napoli di Benitez, Pioli e la sua Lazio vincono in un rocambolesco 2-4 lo scontro diretto per accedere ai preliminari di Champions League, un traguardo storico per lui. Il preliminare contro il Bayer Leverkusen non va – come direbbe Piccinini –, e a fine stagione Pioli cade, un’altra volta. Ma si rialza, ancora con più fame e ancora con più voglia di imparare. Perché Stefano, che oggi compie 55 anni, non ha mai smesso di imparare.
Una grande occasione arriva direttamente da Milano, sponda nerazzurra, che lo chiama a sostituire il disastroso De Boer. Una piazza forse troppo pesante per Stefano, che arriva come traghettatore in una squadra completamente allo sbando. Il passaggio di società da Thohir a Zhang e la campagna acquisti fallimentare del 2016 (è l’estate dei vari Banega, Joao Mario e Gabigol) non aiutano di certo il tecnico parmigiano. Il destino è scritto e ad accoglierlo, c’è un’altra squadra che lo conosce bene, la Fiorentina.
Uno dei tanti punti di forza di Pioli è sicuramente la gestione dello spogliatoio. Alla prima stagione a Firenze ha dovuto gestire un’intera squadra nel momento peggiore della storia recente della società, ovvero con la scomparsa improvvisa del capitano viola Davide Astori. Un fulmine a ciel sereno che ha spezzato gli equilibri della sua esperienza fiorentina. Ma lo spogliatoio è sempre rimasto unito e la squadra ha portato anche dei risultati, chiudendo la stagione all’ottavo posto.
Non ha mai discusso con i club con cui ha lavorato. Un signore, dentro e fuori dal campo. Quando doveva fare un passo indietro l’ha sempre fatto, in silenzio e sempre a testa alta.
Pioli arriva al Milan soprattutto per la gestione dello spogliatoio della Fiorentina. È stato preso per questo, il gruppo era spaccato e disunito già dopo due mesi dall’inizio del campionato. Pioli è arrivato e in poco tempo ha conquistato tutti. Fondamentale il cambio di modulo, si passa al 4-2-3-1. Un modulo nuovo che va incontro alle esigenze di tutta la squadra e che ha saputo valorizzare tanti giocatori, tra tutti Calhanoglu. Oggi, finalmente utilizzato come trequartista, è probabilmente il calciatore più forte del Milan. Proprio come fanno i migliori al mondo, anche Pioli si adatta ai calciatori che ha in rosa. È riuscito a rivitalizzare giocatori dati per persi come Kessié, Kjaer e Rebic; merito suo è anche la crescita dei giovani come Bennacer, Theo Hernandez e Leao. Poi ovviamente, a dare un contributo enorme alla stagione del Milan, è stato l’arrivo di un campione come Ibrahimovic, il quale ha portato una mentalità vincente alla squadra, sia in allenamento che in partita.
Il Milan è la squadra italiana che ha fatto più punti dopo il lockdown. La vittoria contro l’Inter non è arrivata per caso, è il risultato di un lungo lavoro iniziato esattamente un anno fa. In questi dodici mesi Pioli è riuscito ad entrare letteralmente nella testa di ogni singolo giocatore, mettendo tutti a proprio agio.
Caro Pioli, “you got satisfaction”.
Se siete arrivati fino a qui seguiteci anche su Facebook e su Instagram