Una foto da incorniciare. La doppietta in qualifica e il doppio podio di Johann Zarco e Jorge Martin, nel deserto del Qatar, è un momento magico per il Team Ducati Pramac, in testa alla classifica piloti MotoGP, con il francese due volte campione Moto2, e con una giovane promessa che è già una splendida realtà, nell'altra metà del box. Dietro le quinte di questo straordinario successo di squadra, c’è l’attenta regia di Francesco Guidotti, team manager e grande burattinaio di un team di 25 persone in pista, 35 a regime normale pre-covid.
Fiorentino, classe 1972, Guidotti ha già una grande esperienza avendo lavorato per tre importanti Case motociclistiche quali KTM, Aprilia e Ducati. Non poteva essere diversamente, considerato che, a soli quattro mesi, Francesco era già in un campo da cross assieme a papà Fabrizio, per anni punto di riferimento dell’Aprilia e scopritore di tanti campioni della velocità, e il fratello Giacomo, oggi capotecnico di Taka Nakagami. Francesco è entrato presto in questo mondo, facendo studi tecnici e poi subito la gavetta in pista.
Come hai iniziato?
Ho fatto studi tecnici, ma ho iniziato prestissimo lavorando sul campo, come meccanico, seguendo la passione per le corse, dna della nostra famiglia. Quando ho iniziato si faceva un po’ di tutto.
Stiamo parlando della fine degli anni Ottanta e il mio babbo era il riferimento in Aprilia per i piloti privati che usavano le RSW replica. Durante l’inverno montavamo le moto, che poi venivano vendute, quindi facevamo assistenza tecnica in pista. Sono partito dal lato tecnico, ma piano piano mi sono ritagliato il mio spazio nella gestione di piccoli team. Progressivamente ho smesso di occuparmi della parte manuale e mi sono orientato sempre di più verso la parte organizzativa, all’interno di un team, e verso quella della gestione delle persone.
Come è cambiata la figura del team manager negli ultimi anni?
Moltissimo, ed è molto diversa se fai il team manager per una Casa ufficiale o per una squadra satellite come Pramac, anche se lavoriamo in stretto contatto con Ducati. Per quel che mi riguarda ho più margine di manovra e rispondo direttamente a Paolo Campionti. Quello che non cambia è la centralità del ruolo del team manager, riferimento per tutto le persone che lavorano all’interno della squadra, a partire dai piloti.
Quanto conta il fattore psicologico nello svolgimento del tuo lavoro?
È fondamentale. A questo livello e a queste velocità, alla fine è la testa del pilota a fare la differenza, ma le cose vanno dette nel momento e nel modo giusto. Bisogna anche rendersi conto della problematica tecnica, della difficoltà di esecuzione di quello che stai chiedendo e infine trovare le parole giuste in base alla personalità del pilota che hai davanti. Questo vale anche per la gestione dei meccanici. È importare creare una bella armonia nel team, smorzare i momenti di tensione, o meglio ancora prevenirli. La mia formazione tecnica mi ha aiutato tantissimo perché mi permette di capire esattamente l’entità del problema. Se la mancanza di risultati deriva da un problema prettamente tecnico, come per esempio la difficoltà di mandare in temperatura le gomme, in questo caso il mio compito è quello di mettere il pilota nella condizione di fare quello che può senza mettersi a rischio. Nel caso di domenica scorsa in Qatar, invece, il focus era il comportamento in gara. Ho avuto la fortuna di parlare con Johann e Jorge insieme, cosa non scontata perché richiede un clima di rispetto e collaborazione tra piloti.
Jorge Martin in Qatar è stato un modello di fairplay, accontentandosi del terzo posto per non rischiare un sorpasso azzardato sul compagno di squadra. Frutto di un briefing ben fatto?
Proprio così. Viste le prove, ci aspettavamo le quattro Ducati davanti. Nel briefing pre-gara avevo chiesto espressamente ai miei ragazzi di non tirarsi staccate impossibili, ostacolarsi a vicenda, danneggiarsi o buttarsi in terra. Arrivavamo da una gara 1 eccezionale e una qualifica fenomenale. Ho parlato ai nostri piloti insieme e sono contento perché si sono comportati da professionisti. Jorge non ha attaccato Zarco perché avrebbe rischiato troppo e questo gli fa onore. L’istino del pilota infatti è diverso. La prima cosa che mi ha detto Jorge dopo la gara è stata questa: “se non fosse stato Zarco, avrei tentato quel sorpasso all’ultima curva!”.
Grande sorpresa di questo inizio campionato, che pilota è Jorge Martin?
È un pilota veloce, maturo per la sua età, rapido nell’adattarsi nei passaggi di categoria e soprattutto capace di cogliere l’occasione quando si presenta. Quando ha vinto in Moto3, Jorge ha mostrato velocità e grande capacità nel gestire il weekend di gara. In Moto2 è salito sul podio appena ha avuto una moto competitiva. Ha attirato l’attenzione di tutti tanto che era corteggiato da Honda e KTM, oltre che Ducati. Per quel che ci riguarda, la scelta dei piloti è condivisa con Borgo Panigale. Martin era in cima alla lista dei piloti da prendere sia per noi che per Ducati.
Vi aspettavate di lasciare il Qatar in testa al Campionato?
Assolutamente no, ma ci stiamo godendo questo momento! (ride). Sapevamo però di poter fare un bel campionato con Zarco. Ha fatto un anno di esperienza nel team Esponsorama con una moto vecchia di un anno e adesso può battersi ad armi pari con gli ufficiali. Avevamo già cercato Zarco quando correva in Moto2, ma aveva preferito firmare con un team francese come Tech3. Il contatto con Ducati è poi avvenuto nel momento di massima difficoltà per Johann, quando cioè aveva lasciato KTM senza un piano B.
Spesso al centro di polemiche per i suoi sorpassi aggressivi, che pilota è Zarco?
È un pilota che negli ultimi due anni ha sofferto molto: segnato dalla delusione tecnica con KTM, una moto con cui non è riuscito a dialogare, ma anche dalla separazione con il suo manager storico Laurent Fellon, con cui era cresciuto. Adesso ha finalmente ritrovato la serenità e con questa anche la lucidità. E’ vero che in passato spesso si è trovato in mezzo a dei casini, a volte da attore principale, a volte come comparsa, ma non è assolutamente un pilota scorretto.
Come si mantiene un team unito?
L’armonia in una squadra è un requisito fondamentale e nasce dalla scelta delle persone giuste. Sono arrivato in Pramac nel 2012. Quell’anno il team schierava una sola moto con Hector Barbera. Nel corso degli anni mi sono ritrovato a ricostruire il team più volte. Quando è andato via Andrea Iannone, per esempio, ha portato con sé diversi meccanici. Cosa cerchiamo? Oltre alle competenze tecniche è determinate il carattere delle persone perché passiamo tantissimo tempo insieme: lavoriamo, mangiamo e dormiamo insieme perché molti condividono la stanza. Rispetto agli Anni 80-90 quando il capo meccanico contava tantissimo e c’era una struttura fortemente piramidale, adesso il team conta più del singolo.
Senti la responsabilità di questo ruolo tanto da non farti dormire?
No, la vivo con serenità. È vero che siamo in prima linea e sotto i riflettori, per cui se sbagliamo, veniamo additati. Ma è una cosa che gestisco bene e sarebbe deleterio per la squadra trasmettere tensione invece di serenità.
Come concili lavoro e famiglia?
Per fortuna ho al mio fianco da 25 anni Elisa, moglie e madre dei miei due figli. Insieme ci siamo trasferiti di città in città in base al mio lavoro. Elisa fa la mamma a tempo pieno visto che io sono sempre via. Cerco comunque di coinvolgere molto Alessio (15) e Samuele (11). Quando è possibile vengono con me alle gare. Si stanno appassionando alle moto, alla tecnica. Il grande smanetta già sui motori.
Come vedi questo mondiale 2021?
Simile a quello dello scorso anno. Senza un matador alla Marquez sono tanti i possibili vincitori. Occorrerà poi vedere le condizioni di Marc quando rientrerà.
Come spieghi la crisi di Valentino Rossi?
Non è assolutamente facile. Lo abbiamo visto anche con Lorenzo l’anno in cui non si è adattato alla Honda. Il livello è talmente alto che basta poco per ritrovarsi indietro anche se si è Valentino Rossi.
Quanto mancherà Valentino Rossi?
Al pubblico tantissimo visto che in tutto il mondo le tribune sono una marea gialla. Ma il sistema non può pensare di averlo in eterno. Averlo ancora è già un miracolo.
Hai lavorato con tantissimi piloti. Da Max Biaggi a Marc Marquez negli anni dell’esordio in 125cc. Che ricordi conservi?
Con Max ci conosciamo dai tempi della Sport Production, perché il mio babbo Fabrizio faceva servizio di assistenza per Aprilia anche in SP. Max si è fatto notare subito. L’anno dell’Europeo con il Team Italia (1991), io andavo ancora a scuola, ma appena potevo li seguivo come aiuto meccanico. Eravamo due ragazzini che si sono ritrovati a lavorare insieme vent’anni dopo in WSBK sempre con Aprilia. Come pilota, Max tende a mettere molta pressione, a volte anche con arroganza nei modi, ma grazie al rapporto che si era instaurato nel tempo, ho sempre avuto modo di dirgli le cose giuste al momento giusto. Non ci sono stati momenti di grandi tensioni ed infatti ancora oggi ho un buonissimo rapporto. Insieme abbiamo vinto il titolo nel 2010, un momento importantissimo per Aprilia e l’anno dopo è arrivato secondo.
E Marc Marquez?
Ho creduto in lui sin da subito. Mi ricordava Biaggi all’esordio, non solo perché andava forte, ma per quella predisposizione ad assimilare velocemente tutti gli aspetti della gara. L’ho conosciuto al debutto in 125cc. Aveva 15 anni e una faccia da bambino. In hospitality con noi era un ragazzino, ma appena varcava la soglia del box si trasformava in pilota. Mi ha sempre colpito la maturità con cui ascoltava, la sua concentrazione, il rispetto con cui trattava tutto quello che ruota intorno alla moto a partire dalla tuta al casco. E poi la gioia negli occhi ogni volta che scendeva in pista.