Ritirano il Tissot Pole Position Awards prima dell’inizio della conferenza stampa post qualifiche, i poleman di MotoGP, Moto2 e Moto3 del Mugello, in un clima di incredulità generale.
Seduti ai tre lati del podio, davanti a Deniz Oncu e Aron Canet, ci sono tre italiani increduli, felicissimi: Marco Bezzecchi, Luca Marini e Fabio di Giannantonio completano una prima fila tricolore conquistata sotto i fulmini del cielo di casa. Ridono, si raccontano qualcosa, e quando iniziano le domande si guardano tra loro come quando a scuola arrivava il momento di prestare attenzione.
L’inglese è un po’ traballante, l’accento romagnolo di Bezzecchi e Marini accentua lo sforzo di spiegare i concetti di una lingua non loro, abituati però ad usarla spesso, spessissimo, in quelle occasioni formali. Bez una domanda proprio non la capisce, si guarda intorno e poi ammette in italiano: “Oh, io non capito”. Tutti ridono, ma mica di lui: ridono con lui. È contagioso, con quei capelli e quel modo di fare estroso che lo rendono simile, più nel ricordo che poi nelle realtà dei fatti, a un giovane Marco Simoncelli.
Diggia parla dritto al punto, quando gli chiedono dei fulmini in pista risponde che neanche li ha visti: “Ah Quartararo ha detto che facevano paura? Io quando corro mica guardo il cielo. Guardo la strada e basta” e aggiunge che essendo “i piloti più forti del mondo” cose così sono richiese.
“Se hai paura vai piano” aggiunge Luca Marini, con quel “go slow” detto alzando le spalle che fa sorridere ancora di più i giornalisti in sala.
È tutto così, un botta e risposta di ironia, schiettezza, spensieratezza tra lingue qua costrette, là accentuate e sentite. Ed è bellissimo, perché reale. Ti riporta indietro al “I will be arrest” di Simoncelli a Lorenzo, al “gli tira il culo” di Valentino a Biaggi e a quella verità motoristica che ha sempre dato unicità alla MotoGP.
Qualcosa su cui oggi, tra i tanti dubbi di un motomondiale sottotono, Dorna e tutti gli organizzatori dovrebbero puntare con coraggio e convinzione. Perché è la magia della MotoGP, qualcosa che nessun altro ha e che, neanche lavorando su show e spettacolo per anni, potrebbe riuscire ad avere. È intrinseco, scritto tra le curve delle piste del loro calendario e nel modo in cui sono stati cresciuti, è semplicemente loro, e di nessun altro.
Mentre tutti guardano alla Formula 1 come mentre di paragone, di giudizio e di occasione di crescita, visto il successo internazionale arrivato dopo l’ingresso dell’americana Liberty Media nel circus, forse l’attenzione della MotoGP sarebbe da cercare altrove.
Nello spettacolo sì, proprio come quello ricercato dalla Formula 1, ma da uno show meno patinato, meno costruito. C’è da sfruttare, la spensieratezza e la genuinità di questi ragazzi, non da nasconderla dietro costrizioni inutili. C’è da proteggere la loro originalità e metterla in evidenza. Come a dire “andate a Monaco a vedere lo show della Formula 1, il lusso e l’aggressività di quei giovani spettacolari” ma venite anche qui, al Mugello, in giro per il mondo insieme al motomondiale, a godervi anche questi, di ragazzi fuori dal comune. Che ridono e si prendono in giro, senza guardare guardare fulmini, pioggia, aspettative e confronti. Perché sono così, così e basta. E su questo bisogna puntare.