Giacomo Agostini è forse il primo pilota professionista della storia, di sicuro è il più vincente di sempre. Lui che è il numero uno anche nelle foto, in quel casco tricolore che i piloti di oggi continuano a imitare. Quindici titoli mondiali, dieci vittorie al TT dell’Isola di Man, 123 Gran Premi davanti a tutti, una lunga storia con MV Agusta prima e gli anni con i giapponesi poi, un nome che continua ad essere riferimento assoluto. Giacomo, Mino, Ago: oggi Agostini compie ottant’anni e festeggia ancora come metro di paragone del motocicismo, un metro che lui, in una bella intervista rilasciata a Paolo Ianieri per la Gazzetta dello Sport, guarda pensando all’età: “Me l’ha dato un amico - dice di un metro da falegname, di quelli che si ripiegano su loro stessi - Nasci, qui finisci la scuola, le prime corse, il primo Mondiale, il ritiro e via fino a 80 cm. Lo vedi quanti sono? A pensarci mi vergogno”, aggiunge sugli 80 anni. “E da una parte mi mette anche un po’ di tristezza. Perché mi guardo e dico che è impossibile che siano così tanti".
Agostini però rimane fresco, vivo: “Vado ancora in moto, e l’altro giorno al Paul Ricard ho toccato i 250 all’ora. Mi sento bene, faccio tante cose come prima, non più con la stessa intensità, ovvio, ma non mi sono mai fermato. Salto, corro, vado in piscina, prendo il badile, zappo…”.
Dice, con una sincerità disarmante, di avere paura della morte: “Adesso si, ho paura. Quando correvo non ci pensavo, a quell’età sei un po’ incosciente, però se guardi questo metro ti rendi conto del tempo che passa. E di quanta strada hai fatto”. E che di sogni, ad oggi, non ne ha più: “Sono onesto, sogni da realizzare non ne ho, perché sono convinto di avere avuto molto dalla vita. Questa mia grande passione, questo grande amore che è la moto mi ha dato tutto. Pensa a quanti come me che amavano le corse, hanno cominciato e poi non sono riusciti a fare niente. Io invece ho avuto più di quello che sognavo, non sarei onesto ma un vigliacco se mi lamentassi. Invece sono un uomo felice. Anche se sì, ogni tanto me lo dico che mi piacerebbe correre ancora in moto”.
Ci è arrivato così Giacomo Agostini agli 80 anni, con la consapevolezza di aver dato tutto ma senza la nostalgia del passato di cui, però, ha piacere a parlare: “Io ho avuto nel paddock la mia famiglia, nel senso che stavamo tutti assieme, eravamo un gruppo, anche se ovviamente c’erano le rivalità. Oggi hanno mille cose, i motorhome, l’aereo privato, il cuoco, noi ci arrangiavamo. Ma era bellissimo. Non invidio nulla ai piloti di oggi, i sacrifici fatti, correre una seconda gara con la tuta bagnata perché non ne avevo una di riserva, non avere nessuno che si occupasse di me, del casco... Quando sono passato alle auto, mi sono trovato a cucinare io per la squadra, mi piaceva stare coi meccanici, vedere come si occupavano della mia moto, portar loro da mangiare la sera…”.
Agostini racconta di essersi sentito un uomo della gente. Lo fa parlando degli ultimi, di chi soffriva una vita difficile: “I minatori belgi, il giorno dopo una mia vittoria a Spa, portavano il tricolore giù in miniera. Ci sono stato pochi mesi fa a Marcinel, a visitarle, ed è stato un colpo al cuore vedere in che condizioni lavoravano. E morivano”. Quando gli viene chiesto con chi vorrebbe correre un'ultima gara, Ago si lascia andare, mescola i protagonisti: "Vorrei avere vicino a me Mike Hailwood, Kenny Roberts, Jarno Saarinen, Valentino Rossi e Marc Marquez. Ma due file non bastano, nella terza metto Phil Read, Jim Redman e... Marco Lucchinelli. Con una griglia così arrivano 400mila persone a vederci”.
Chiude, infine, con quel 15 monolitico, impresso per sempre nella storia delle corse che ancora nessuno è riuscito ad avvicinare: "Battermi? Penso che sia possibile, ma per il momento no, non vedo nessuno. L’unico è Marc Marquez, se tornasse come prima. Spero guarisca, ma ha perso tre anni, l’età avanza e sarà dura arrivare a 15”.