Fabio Di Giannantonio nella domenica di Le Mans parte dalla quarta casella. Scatta bene, mantiene la sua posizione. Sembra aver risolto i problemi di grip al posteriore che al sabato, nella Sprint Race, l'avevano costretto a giocare in difesa. È elegante in sella, efficace sul cronometro: nella prima metà di corsa non ha nulla da invidiare a Pecco Bagnaia e Jorge Martín, così al giro dieci scavalca Aleix Espargaró con un bell'affondo a Chemin aux Bouefs, e si mette a caccia della coppia di Ducati factory. Dopo pochi passaggi, però, la GP23 di Diggia comincia a mostrare segni di stanchezza. In accelerazione sbacchetta, si muove, innesca dei bruschi pompaggi. Marc Marquez, da rapace d'area di rigore, cerca di approfittarne: attacca Fabio alla variante Dunlop ma, diversamente dalle altre manovre di un weekend in cui ha rimontato ventiquattro posizioni, il 93 trova opposizione. Diggia resiste a gomiti larghi, più o meno come ci aveva fatto vedere Pecco Bagnaia due settimane fa a Jerez. Si tiene dietro per altri due giri un Marquez a cui tutto filava liscio come l'olio. Poi l'otto volte campione del mondo ritenta, si infila in curva 1, mentre Fabio tiene coraggiosamente botta all'esterno e frena disperatamente tardi: è lungo Diggia, che deve tirare dritto e tagliare la "esse" di Dunlop sull'asfalto esterno ai cordoli gialloblu. Rientra in pista prestando attenzione ad autoinfliggersi una penalità visto che, oltre a Marquez, lascia transitare Vinales. Come non detto: la Direzione Gara gli notifica un'ulteriore sanzione, un long lap penalty che a Diggia fa perdere anche la posizione su Bastianini. Fabio chiude sesto sul traguardo, dopo essersi difeso con le unghie dagli assalti finali di Brad Binder.
La regola quest'anno è chiara; il long lap penalty scatta automaticamente in caso di taglio di una variante o eccesso di track limits (che poi significa più o meno la stessa cosa, con la differenza che sui limiti della pista i piloti possono giocarsi qualche jolly, sui tagli di chicane - a quanto pare - no). Una regola che nel caso di Di Giannantonio - il quale in quel frangente aveva già perso tempo - è stata applicata in maniera molto formale, così formale da diventare disturbante per chi mastica sport e agonismo. Fabio però l'ha accettata con grande stile: "Mannaggia alla miseria - ha esclamato a Sky senza perdere il sorriso - c'è una regola e va rispettata. Diciamo che ci vorrebbe un po' di umanità perché io lì ho perso due posizioni e il long lap me ne ha fatta perdere un'altra. Purtroppo fa parte del gioco". Poi Diggia si è lasciato volentieri alle spalle le questioni arbitrali e ha raccontato la sua domenica, che è stata molto più tribolata di quanto ci si potesse immaginare: "La mia gara è finita a quindici giri dalla fine, quando Marc è venuto a prendermi. Stavamo mettendo a posto la moto, ci manca solo di fermare i movimenti che si innescano dal posteriore. In uscita di curva la moto è abbastanza pazza e le sollecitazioni oggi mi hanno creato problemi all'avanbraccio. Dopo metà gara l'unica mia arma era battagliare per non perdere posizioni, non per andare a prendere quelli davanti. Sono un filo più grande degli altri piloti come musculatura e quando non sono a posto con la moto faccio un po' di fatica con l'avanbraccio, nel gesto tecnico. Non è sindrome compartimentale, per cui mi sono già operato l'anno scorso".
Un Diggia che gira con i tempi di Pecco e Martín fino a quando la GP23 non gli dice 'basta', che chiude sesto nonostante un avambraccio che strilla e una penalità che grida vendetta, è semplicemente - brutalmente - tanta roba. Fabio continua a crescere, si riconferma il migliore con la GP23 dopo Marc Marquez. Sarebbe quindi una follia, per Ducati, trascurare il numero 49, che quando gli viene chiesto chi metterebbe al fianco di Bagnaia nel 2025, risponde in maniera ineccepibile: "Perché non me?!". Come spesso gli capita, poi, ride.