Quando i concetti non bastano subentra l’immaginazione. La Figc e Gabriele Gravina hanno paventato una riforma del calcio italiano: retrocessione per sole due squadre in B, due promozioni in A; due retrocessioni in C, con altrettante promozioni in B, e dieci retrocessioni verso la D. Le reazioni sono comprensibile e ovvie: le squadre, con quel metodo, a tre quarti di stagione smettono di giocare. E la meritocrazia, la speranza dei tifosi di vedere i propri colori fare il salto di categoria, non viene contemplata? Sono ancora più recenti le dichiarazioni di Gravina su un suo eventuale addio, qualora la Nazionale dovesse fallire per la terza volta consecutiva la qualificazione al Mondiale: “Non c’è una norma che lo prevede”. Nonostante la gravità della situazione, quindi, potrebbero non esserci conseguenze politiche. “Se n’era già parlato dopo la Svizzera (dopo Euro 2024, ndr), al nostro interno vige un principio di democrazia sancito e dettato dalle norme federali, e la risposta è stata un 98% di consenso. Quindi evidentemente c’è qualcosa che non torna”. Ma conviene comunque pensare positivo: “Parlarne aprioristicamente mi sembra fuori luogo. Soprattutto perché io per natura sono ottimista: andremo ai Mondiali”, ha detto ancora Gravina a margine della conferenza stampa del consiglio federale.
Tra i critici più duri con Gravina c’è senza dubbio Paolo Ziliani. Sul Fatto Quotidiano i suoi attacchi sono piuttosto frequenti. L’ultimo riguarda il ruolo di presidente della Federazione: “Ma è mai possibile che a nessuno, mentre il carrozzone del calcio italiano precipita nel baratro, venga in mente di commissariare la Figc, azzerare tutto e chiedere a Claudio Ranieri, 74 anni, una vita spesa nel calcio prima come giocatore, poi come allenatore e ora come dirigente, l'uomo che ha firmato l'impresa delle imprese della storia del calcio portando il Leicester a vincere il titolo nella Premier League inglese, è mai possibile - dicevo - che a nessuno venga in mente di chiedere a Ranieri di diventare il nuovo presidente della Federazione?”. Potrebbe essere Sir Claudio l’uomo giusto per rilanciare la Nazionale, sempre conservando la speranza per la fase finale americana nel 2026? Gennaro Gattuso ha ancora i playoff da giocare: prima l’Irlanda del Nord e poi (auspicabilmente) una tra Galles e Bosnia. Ranieri, prosegue Ziliani, considererebbe il calcio “lui sì un bene comune da proteggere e difendere, da curare e rilanciare come la sua importante storia pretende; non come il presidente di oggi, Gabriele Gravina, quello che si aumentò lo stipendio da 36 mila a 240 mila euro giustificandolo con l'indefesso lavoro compiuto nell'interesse della Nazionale, una nazionale che per la seconda volta sotto di lui rischia di non andare a un Mondiale in cui vedremo all'opera Uzbekistan, Curaçao e Capo Verde”. L'impegno di Ranieri con la Roma è noto, difficile che possa rinunciarci. Come dirigente, però, il primo vero colpo è stato Gian Piero Gasperini, forse il miglior allenatore italiano. Alla guida della federazione porterebbe molto, sia in termini di valori umani (ma non scadiamo facilmente nella retorica) sia come valori sportivi: la scalata dei giallorossi della scorsa stagione dimostra che la "cura Ranieri" è ancora efficace.
Nel pezzo uscito per il Fatto cita anche la “delazione fatta pro Moggi ai tempi di Calciopoli”, l’indagine “per il reato di autoriciclaggio per una presunta fittizia vendita di libri antichi ai tempi della Lega Pro” e i suoi sette anni di presidenza “caratterizzati da inciuci, insabbiamenti e sfregi alle regole che ancora oggi gridano vendetta”. In sintesi: un disastro. Ma Ziliani ha un’idea anche su coloro che potrebbero affiancare Ranieri in un eventuale incarico. Infatti, “se può interessare ci sarebbe Paolo Maldini amato non solo dai milanisti ma dall'Italia intera; ci sarebbe Alessandro Del Piero amato non solo dagli juventini ma dall'Italia intera; ci sarebbe Roberto Baggio amato non solo dagli juventini, dai milanisti, dagli interisti eccetera eccetera ma dall'Italia intera. Anzi, dal mondo”. È il momento di cambiare, perché “il tempo della vergogna è finito”.