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I buoni arrivano ultimi: il meglio e il peggio dei team principal con Mattia Binotto e Guenther Steiner in Drive to Survive

  • di Giulia Toninelli Giulia Toninelli

27 febbraio 2023

I buoni arrivano ultimi: il meglio e il peggio dei team principal con Mattia Binotto e Guenther Steiner in Drive to Survive
Dalla quinta stagione di Drive to Survive emerge, nitidissima, la differenza tra due team principal amici nella vita e opposti all'interno del paddock: Mattia Binotto e Guenther Steiner

di Giulia Toninelli Giulia Toninelli

I bravi ragazzi arrivano ultimi. Si chiama così una delle dieci puntate della quinta stagione della serie Netflix Drive to Survive. Una puntata dedicata quasi esclusivamente a Daniel Ricciardo e al suo disastroso 2022, anno in cui la McLaren ha deciso di rescindere anticipatamente il contratto con il pilota australiano e assumere per il 2023, al suo posto, il giovanissimo Oscar Piastri. 

Una situazione che rimescolato le carte di tutto il mercato piloti ma che ha soprattutto fatto emergere, anche ai nuovi spettatori della Formula 1 che si sono avvicinati a questo sport grazie a Netflix, quella che da sempre è una grande verità nel mondo del motorsport: non importa essere gentili, simpatici o brillanti, l'importante è soltanto essere performanti in pista, ottenere risultati e dare il massimo. I buoni non vincono, i buoni arrivano ultimi. 

Ma quella che per Drive To Survive è una frase adatta alla situazione di Ricciardo, guardando la quinta stagione della serie sembra adattarsi perfettamente anche alle figure opposte di altri due grandi protagonisti della serie: i team principal Mattia Binotto e Guenther Steiner. La stagione inizia proprio con loro due che, a bordo di una 500 azzurra tra le strade delle Dolomiti, ridono e scherzano come amici di vecchia data. 

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Perché lo sono, amici. Non potrebbero essere e apparire più diversi ma Binotto e Steiner si conoscono da molti anni e la collaborazione tra Ferrari e Haas ha rafforzato un legame e un affetto che già da tempo li univa, disegnando all'interno della serie quello che ha tutta l'aria di essere un rapporto sincero. Pulita DTS di quelle "americanate" che l'hanno resa celebre e poco apprezzata da piloti e addetti ai lavori, quello che emerge è il quadro perfetto di due personalità agli opposti: da una parte Binotto, sempre sommesso nei commenti e garbato nei toni, dall'altra Steiner, eternamente e perennemente sopra le righe in tutto e per tutto.

Dal grido "ho chiuso con i russi per tutta la mia vita" arrivato dopo l'annuncio della guerra in Ucraina e la decisione di Haas di interrompere i rapporti con Uralkali e Mazepin, fino all'ormai iconico commento "per due punti lo scorso anno mi sarei scopato tutto il paddock", Guenther Steiner in DTS 5 non si smentisce e mantiene saldo il titolo di protagonista assoluto della serie, vera scoperta di Netflix che, nonostante una monoposto da retrovie, è quasi sempre presente all'interno del programma.

Passare dalle sue decisioni solide e concrete, anche se a volte difficili e discutibili come quella di non rinnovare il contratto al giovane Mick Schumacher, a quelle incerte della Ferrari di Mattia Binotto fa aprire gli occhi sulle difficoltà che la scuderia di Maranello ha messo in campo nel 2022, mostrandosi più volte disorganizzata, incerta nelle strategie e insicura nei confronti dei piloti. Quando parla, Binotto, non alza mai la voce: cambia idea, così come lo si è visto fare tante volte nel corso delle ultime stagioni, e promette obiettivi diversi in vari momenti del campionato. Fatica ad ammettere gli errori del team, anche difronte all'evidenza di altri team principal (Chris Horner in primis) che alle sue spalle all'interno del paddock criticano strategie, scelte, gestione dei piloti e futuro.

Binotto non si impone, come fa Guenther Steiner o come vediamo fare a Toto Wolff in una accesissima riunione tra team principal dedicata al porposing, e così facendo la figura che Netflix ci restituisce è quella di un uomo Ferrari, sicuramente un grandissimo ingegnere e un instancabile lavoratore, a cui però evidentemente manca la capacità di leadership fondamentale per chi ricopre uno dei ruoli più complessi di tutta la Formula 1.

Non c'è un modo giusto di essere team principal, questo è evidente. Ma una cosa è certa: guardando quei due amici seduti su una 500 il carattere di uno sovrasta quello dell'altro, e il carismatico, il vero protagonista, non è vestito di rosso. E Ferrari oggi non si può più permettere questo errore.

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