Ve l’abbiamo raccontato in esclusiva noi: Valentino Rossi (o, meglio, le immagini di Valentino Rossi) fischiato in Spagna, nel bel mezzo non di una gara, ma addirittura di una serata di gala. Roba pure un po’ grottesca per via dei tempi, visto che Rossi non era lì e il suo viso compariva sul maxi schermo tra i vari frame di una clip, con il risultato di questi fischi a intermittenza e inevitabilmente pure in differita. Tutto già raccontato, solo che adesso c’è una piccola domanda da farsi che suona di rivalsa: ma non succedeva solo in Italia? No, non succede solo in Italia, non succede solo nel motociclismo e, udite udite, succede da sempre nello sport in generale, dove si vive sì di performance, ma pure di tifo. Il problema, semmai, è nelle narrazioni. Perché basta aprire questa mattina un qualche giornale spagnolo per trovare titoli diversi da quelli da talebani del moralismo che si leggono in Italia quando succede il contrario e i fischi sono all’indirizzo di Marc Marquez o di un qualche altro pilota spagnolo.
Nelle testate iberiche, infatti, questa mattina i titoli sono quasi tutti per la reazione di Marc a quei fischi, non certo per i fischi stessi. Insomma, raccontano il pilota che ha in qualche modo preso (giustamente, ndr) le distanze rispetto all’iniziativa dei soliti esagitati che – come ormai ampiamente dimostrato – non sono solo italiani e non stanno sempre e solo da una parte sola. “Tutto quello che posso dire è: per favore, rispettate tutti” – Sono state queste le parole di Marquez e non è che abbia tirato fuori chissà quale arringa indignata. Non perché sotto sotto c’ha goduto, ma semplicemente perché anche lui è uomo di sport e, a conti fatti, è perfettamente consapevole che è così che funziona da sempre. E che, al di là di quello che si deve dire per non uscirne male, c’è solo da prenderne atto. Senza prendersela e pure senza stare a fare guerre da paladini del politicamente corretto.
Valentino Rossi replicherà? Certo che no e per lo stesso principio. Male che andrà, alla prossima occasione utile, si presenterà su qualche podio in Spagna sventolando la sua tuta e poi raccontando che l’ha visto fare da Messi, magari mentre uno dei suoi uomini corre verso la tribuna a gridare “questo è giallo”. Per carità, è una battuta e pure una provocazione. Ma solo per ribadire che è giusto che ci sia un limite, ma che quel limite può stare anche un pochino più avanti rispetto a dove lo vorrebbero i paladini del “facciamo credere che ci si vuole sempre tutti solo un gran bene”.
Il 2015, che piaccia o no (e i nuovi “padroni” della MotoGP lo sanno benissimo, visto che c’hanno fatto sopra pure un documentario che ha ri-alimentato il fuoco) resterà per sempre qualcosa di fortemente divisivo e non ha senso stare a invocare pacificazioni plateali o rinnovate alleanze. Quello che avrebbe senso, invece, piuttosto che disquisire se succede o no solo in Italia, se la raccontano giusta o meno in Spagna, è dare valore a un limite che sia più reale. E che educhi piuttosto che condannare. Cominciando col rendersi conto che i fischi sicuramente non sono belli, ma non hanno mai ucciso nessuno. Soprattutto dopo questo 2025 in cui – anche se in Superbike – qualche pilota è stato raggiunto pure da minacce di morte.