Il Gran Premio della Thailandia sarà l’ultimo del 2024 di Fabio Di Giannantonio, che lunedì tornerà in Italia per operare la spalla sinistra infortunatasi in quella brutta caduta di due mesi fa in Austria, e per rientrare al 100% nel 2025, quando tra le mani avrà una Ducati factory. In questi giorni, in cui Fabio ha raggiunto Buriram dopo l’eccellente quarto posto il Australia (miglior risultato stagionale), è stata pubblicata la sua intervista a Mig Babol – il podcast di Andrea Migno – registrata a settembre tra i due weekend di gara di Misano Adriatico. In quel momento, ovviamente, Diggia e il Team VR46 non avevano ancora deciso per l’intervento chirurgico anticipato: “Mi sono infortunato prima alla clavicola destra al Sachsenring in curva 1 – ha raccontato Fabio senza omettere dettagli - mi è tipo uscito l’osso sul davanti e mi è rientrato passando su una buca con lo scooter, senza fratturarsi. Il problema è che in Austria sono caduto ancora e mi è uscita l’altra spalla, quella mi rompe le scatole. Mi dà fastidio in carena, non riesco a chiudermi, non riesco a ruotare il braccio sinistro verso il serbatoio nelle pieghe a destra. Non sono al 100% ma ci stiamo lavorando. Ho più paura di cadere di nuovo forte, nella vita normale non ho particolari paure”.
Uno dei momenti più belli dell’ultima puntata di Mig Babol (che come sempre scorre via gradevole, tra aneddoti e rivelazioni a ruota libera) si verifica quando Fabio parla di questo 2024 che per lui, dopo tante annate tribolate, è stata la prima stagione in cui ha potuto gareggiare senza la pressione di ottenere una riconferma immediata. Il passaggio nel Team di Valentino Rossi è stato a tutti gli effetti salvifico: “Io negli ultimi anni ho sempre avuto il contratto annuale, che ti costringe a dimostrare qualcosa ogni volta che vai in pista. Ma in moto devi spingere, devi poter sbagliare delle cose. Negli ultimi due anni ho sempre cercato di non sbagliare, invece ora posso cadere, provare. L’anno scorso se cadevo ero a piedi, adesso se cado il team mi dice ‘fatto bene se questa cosa ti fa andare più forte’. Io ora sono contentissimo perché sono nella condizione di poter migliorare tanto come pilota; per me quest’anno e i prossimi due sono importantissimi. Mi hanno accolto in modo pazzesco in VR46, dandomi di tutto e di più, come se fossi uno di voi (Diggia parla rivolgendosi a Migno, coach del Team VR46, ndr). Sono cresciuto tanto quest’anno, e la cosa che ci tengo a dire è che mi hanno fatto tornare proprio la voglia e l’amore per il weekend di gara, che sinceramente avevo un po’ perso. Negli ultimi due anni, in pista ma anche fuori, ho fatto un po’ fatica, non mi sentivo bene alle gare, non mi piaceva quasi più. Quest’anno non vedo l’ora di partire per andare a correre”.
Di questi tempi, un anno fa, Diggia era letteralmente a piedi: scalzato a fine settembre nel Team Gresini dall’arrivo di un certo Marc Marquez, tutto e tutti sembravano remare contro la permanenza del numero 49 in MotoGP. Fabio ci ha creduto fino all’ultimo, dimostrando in pista (con gare magistrali in Indonesia, Australia e Qatar, tra le quali arrivarono il primo podio e la prima vittoria in top class) di meritare una moto più di chiunque altro. Alcuni retroscena di quei mesi di trattative febbrili e ultimatum cocenti sono stati riavvolti dal pilota romano sul divano di Migno: “Bisogna innanzitutto tornare al 2022; guidavo una Ducati, ero rookie e anche la mia squadra era rookie in MotoGP, sia il mio capotecnico che l’elettronico non avevano esperienza in top class. È stato disastroso, poi il secondo anno è arrivato il nuovo capotecnico Frankie Carchedi (ex capotecnico di Joan Mir in Suzuki e attuale capotecnico di Marc Marquez in Gresini, ndr) con cui ho lavorato benissimo tutto l’anno. Il 2023 è stata la mia vera stagione da rookie e come tutte gli anni da rookie l’inizio è stato così così. Avevo la velocità ma non riuscivo a concretizzare perché accadeva sempre qualcosina, solo a fine anno abbiamo mostrato il nostro potenziale”.
Intanto, però, i giochi di mercato per il 2024 erano più che avviati: “In estate scatta la bomba Marquez – ha spiegato Fabio - cosa assurda se ci pensate, perché un otto volte campione del mondo con un contratto milionario in mano ha lasciato la Honda per andare in un team privato. Noi avevamo una deadline con Gresini a giugno, e loro intanto prendevano tempo, ‘ti vogliamo valutare ancora di più’ dicevano, anche se mi conoscevano da otto anni ed eravamo stati vicecampioni del mondo insieme in Moto3. Qui si apre una parentesi sulla relazione tra Diggia e il Team Gresini, una storia iniziata nel 2016 in Moto3 e ricominciata nel 2021 in Moto2 quando sembrava che Fabio e il Team di Fausto fossero due mondi troppo distanti per rincontrarsi: “Con Fausto non ci parlavamo più, avevamo proprio litigato, l’ultimo anno di Moto3 in cui siamo diventati vicecampioni del mondo non potevo nemmeno entrare in hospitality a mangiare. Poi per fare la Moto2 nel 2021 Gresini cercavano un pilota forte, io cercavo una squadra forte, così Diego si è incontrato con Carlo Merlini, braccio destro di Fausto, e abbiamo fatto un contratto di altri tre anni”. Si torna rapidamente al 2023, a Marc Marquez sempre più vicino al clamoroso passaggio in Gresini e alle porte che si chiudono per Di Giannantonio: “Mi spostano questa deadline a fine settembre, e io gli dico ‘se firmo questa nuova deadline è perché mi sto fidando di voi, perché se poi non mi confermate non trovo nemmeno posto nel campionato dei carrelli per andare a fare la spesa’. A settembre-ottobre già sapevo da un paio di mesi che Marquez avrebbe preso il mio posto. In quel momento ero completamente a piedi. Le voci sulla Superbike e sulla Moto2 non erano vere, perché ci ero rimasto talmente tanto male che non sarei andato da un’altra parte. Questo è un lavoro bellissimo ma devi farlo col sorriso, perché alla fine rischiamo tantissimo".
L’unica possibilità per la permanenza di Diggia in MotoGP sembrava coincidere proprio col posto lasciato scoperto da Marc Marquez in Honda Repsol: “Al sabato sera della Malesia ero praticamente pilota HRC. Al mio manager era anche stato detto di non andare a Sepang per fare tutto la settimana dopo in Qatar, che tanto mancava solo l’ok del capo generale che dagli uomini Honda veniva dato per scontato. Invece la domenica mattina della Malesia arrivo in pista e mi dicono ‘non prendiamo te’. Le voci già giravano su Luca, così facciamo la gara, incontro Luca alle interviste e gli dico ‘guarda il telefono’. Intanto gli scrivo ‘dammi una mano, ti prego, aiutami a prendere il tuo posto in VR’. Allora abbiamo subito organizzato un meeting con Uccio, con cui ci siamo subito presi, però ancora non si era entrati nei dettagli, anche perché il mio manager era in Italia. Fob, che è il mio assistente oltre che migliore amico, al sabato sera del Qatar mi dice che tutte le porte sono chiuse, essendo arrivati gli ultimi no definitivi. Noi infatti in ufficio ci abbracciamo, vedendo le cose positive dell’esperienza ci diciamo ‘grazie a tutti ragazzi, è stato fighissimo’. Ma vinciamo il giorno dopo e lì arriva la svolta. Al martedì Uccio e Diego iniziano a parlare molto più intensamente. Così siamo arrivati al sabato sera di Valencia che abbiamo firmato il mio precontratto per quest’anno. Che sudata, mamma mia”.
Poi è arrivato il momento di parlare delle origini della carriera di Diggia: “Sono contento perché abbiamo fatto un lavorone. Papà vendeva il pesce, io ho sempre corso in moto però non siamo mai stati troppo di questo mondo, Diego viene dal calcio, il mio allenatore non ha mai allenato piloti. Ci siamo tutti adattati, quindi il contratto che ho adesso è come se premiasse un po’ tutto. Sono cresciuto in una famiglia normalissima, andare a girare con le minimoto era diventato un po’ il giochino mio e di mio padre. Il camper è stato il primo investimento che ha fatto mio padre per il figlio pilota. Durante il campionato italiano, in una gara a Misano venne a vedermi in pista Fabrizio Cecchini. Gli piacevo, così parlò a di me a Fausto Gresini e a fine anno mi proposero di correre per loro nel Mondiale Moto3. Mi fecero un contratto di 4 anni…bellissimo perché io non avevo più soldi da spendere per correre. Papà pure all’inizio dell’ultimo anno di Rookies Cup mi disse ‘Fa’ questo è l’ultimo anno in cui possiamo spendere due soldini, dopo questi so’ finiti’. Quindi o andavamo al Mondiale gratis o il giochino finiva. Lavorai per tre anni con Cecchini come capotecnico, che mi insegnò tantissimo, ancora oggi alcune cose che faccio in gara me le porto dietro da Cecco. Cecco mi fece anche trasferire a Misano, mangiavo da lui e dormivo la notte a casa del nonno di Fob, che però quando veniva non voleva nessuno dentro casa. E veniva spesso. Io mica potevo andare in hotel. Sotto casa di Fob c’era un parco con gli scivoli, i cavallucci e una piscina con le palline dentro che è presto diventata casa mia (ride, ndr)”.
In chiusura, Diggia ha menzionato la sua passione (eccezionalmente attiva) per le grafiche dei caschi, prima di parlare dei fatidici momenti pre-gara: “Quando ero piccolo disegnavo mille caschi coi pennarelli, e questa passione me la sono portata avanti. Mi piace tantissimo, ho idee e mi ha sempre dato un po’ fastidio dover dare a qualcuno un’idea che magari non veniva realizzata fino in fondo come la volevo io. Ho imparato da solo, scaricando Illustrator dal pc di mia mamma. Scaramanzie? Ho più che altro una routine, non delle scaramanzie vere. Prima delle gare mi piace andare al muretto, perché nel box ci sono sempre tantissime persone, allora mi prendo proprio due minuti in cui vado al muretto da solo. Parlo un po’ come stesso, entro nella mia fase zen, guardo la pista…è tutta una cosa che mi aiuta per trovare la concentrazione. Sto un po’ sulle mie, faccio una piccola preghiera e poi torno al box”.